Giovanni: c’è un uso del verbo valere che sicuramente gli studenti di lingua italiana conoscono poco. Infatti valere solitamente è associato al valore, specie quello economico.
La mia auto vale 12000 euro.
Ma non c’è solo questo utilizzo.
Vale assolutamente la pena approfondire la questione.
No, non è questa espressione l’argomento di oggi. Comunque ci sono andato vicino, siamo lì perché parlo dell’uso transitivo del verbo valere.
Infatti quando “vale la pena” fare qualcosa significa che conviene fare questa cosa, anche se ogni azione ha un costo, anzi, una “pena”, intesa nel senso di fatica, o comunque come effetti negativi legati all’azione.
C’è anche un’altra espressione:
Il gioco vale la candela
Con senso assolutamente identico, che però in genere si usa con la negazione (il gioco non vale la candela) per esprimere la propria contrarietà a compiere un’azione, o meglio la contrarietà a fare un sacrificio perché non farà ottenere un risultato positivo soddisfacente, proporzionato.
Oppure il famoso detto:
Parigi val bene una messa.
Che sta a significare che vale la pena sacrificarsi per ottenere qualcosa di grande valore.
Ultimamente il termine sacrificioricorre spesso nei nostri episodi, ci avete fatto caso?
Andiamo avanti comunque.
Si parla sempre di convenienza, di qualcosa che ha un senso fare, cioè si tratta di qualcosa di utile.
Più in generale, possiamo usare il verbo valere per indicare che qualcosa può procurare un certo guadagno o risultato positivo, può fruttare un guadagno. Un’azione che permette di ottenere un risultato. Anziché usare “permettere di ottenere” o “fruttare” o “procurare” si può usare valere, seguito dal risultato, in genere positivo, ma non necessariamente.
Si usa prevalentemente al passato.
Le cinque vittorie consecutive mi valsero il primo premio.
Il suo gesto gli valseil plauso della cittadinanza.
Questa vittoria potrebbevalere il titolo di campione d’Italia.
L’ordine è questo: azione, poi valere e poi il risultato. Si può usare riferito ad una persona (mi valse, gli è valso ecc.) oppure, come nell’ultimo esempio, riferito a qualcosa che ha un valore.
Questa vittoria vale lo scudetto
Le numerose bugie che diceva sempre gli valsero il soprannome di Pinocchio.
Quest’ultimo è un utilizzo piuttosto negativo. Il fatto di dire sempre bugie ha portato, come effetto, il fatto che venne soprannominato Pinocchio.
Pinocchio, per chi non lo conoscesse, è un burattino di legno al quale cresceva il naso quando raccontava bugie.
Ogni bugia gli valeva qualche centimetro di naso in più
C’è da dire che più spesso, quando il risultato è negativo, si preferisce usare il verbo “costare“.
Ogni bugia gli costava qualche centimetro di naso in più
Il verbo costare si usa in questo caso in senso figurato, nel senso di comportare dure conseguenze.
Un altro esempio:
Il tuo atteggiamento strafottente ti costerà caro.
Questa sconfitta potrebbe costarti lo scudetto.
Il tradimento a sua moglie gli ècostato il matrimonio.
Vedete che “costare” implica il pagamento di un “prezzo”, che è appunto ciò a cui si rinuncia a seguito dell’azione, quindi la conseguenza negativa.
“Pagare un prezzo” infatti ha anche un senso fugurato.
Il tuo gesto l’hai pagato a caro prezzo!
Quando le conseguenze di un’azione sono negative, posso, come visto prima, anche usare il verbo valere, ma è meno adatto rispetto a costare.
La tua mancanza di voglia di studiare ti è valsa la bocciatura.Sicuramente è preferibile dire:
…ti è costata la bocciatura.
Credo sia abbastanza per oggi che ne dite?
Un esempio in più potrebbe costarmi qualche lamentela o mi varrebbe un ringraziamento?
Aggiungo solamente che a volte si usa la preposizione per
Es:
Una vittoria che valeper lo scudetto.
Vincendo si fanno punti che valgonoper la classifica
Oppure:
Un esame che mi è valso per ottenere la laurea
In questi casi non è sempre la stessa cosa. Una vittoria che vale per lo scudetto non è detto sia la vittoria che da sola permette di vincere lo scudetto.
Spesso vale esprime semplicemente qualcosa di molto importante, che ha un certo valore, ma non è detto sia determinante.
Non è detto sia cioè la vittoria che valse lo scudetto.
Si esprime utilità, qualcosa di vantaggioso per raggiungere uno scopo, simile a servire, anche senza la preposizione per:
I tuoi sforzi non valsero a nulla;
Le ripetizioni valgono a migliorare la pronuncia
Mariana: Cosa sarebbe la lingua italiana senza il verbo fare? L’ultimo episodio di Italiano Semplicemente, il numero 712, per inciso,fa sì che noi non madrelingua possiamo farci capire benché ci manchino a volte alcuni verbi. Bell’episodio, come sempre ben fatto.
Peggy: a me fa un po’ strano veramente usare il verbo fare in questo modo, però senza dubbio fa molto italiano.
Ulrike: Il verbo fare non è che sia difficile da capire, ma occorre fare alcuni distinguo. A volte infatti mi ha dato del filo da torcere. Ricordo ancora quando ho avuto a che fare con la locuzione “avere un fare” Insomma ci vuole tempo, ma va bene così.
Harjit: si, va bene, fatto salvo se, come me, hai una certa fretta. Io devo andare in Italia a lavorare tra un paio di anni. Devo assolutamente imparare a esprimermi come si deve. Fortunatamente ho deciso di iniziare per tempo a studiare la lingua italiana. Non sia mai che poi io debba ricorrere ad un corso accelerato.
Hartmut: per fare una capatina a Roma da turista può andar bene anche un corso qualsiasi per principianti, ma tu, Harjit, puoi fare di necessità virtù con Italiano Semplicemente.
Conosci questo antico proverbio?
Con questo proverbio si vuole ammonire colui che ha prodotto la causa del proprio danno, o dolore: costui (cioè questa persona) dovrà prendersela esclusivamente con sé stesso, e non addossare la responsabilità ad altri.
Prendersela con una persona significa esattamenete questo: dare la colpa ad altri, addossare la colpa ad altri
Chi causa il proprio male incolpi sé stesso.
Ecco, oggi vorrei parlare di ammonizioni. Un’ammonizione è simile ad una accusa, ed è un po’ più che un avvertimento.
Un’ammonizione non è solamente il cartellino giallo dell’arbitro mostrato ad un calciatore dopo un brutto fallo.
Quella sicuramente è l’ammonizione più famosa.
Per ammonizione si può intendere anche un forte rimprovero. Si potrebbe parlare anche di ammonimento, che rappresenta però un rimprovero meno grave dell’ammonizione. L’ammonimento è quasi un consiglio, un preavviso.
Ad esempio si potrebbe dire ad una persona:
Non si fa così, altrimenti…
Attento, questa cosa che hai fatto è sbagliata, perché potrebbe accadere che…
Questi sono ammonimenti.
Hai fatto una sciocchezza, se continui così ci saranno gravi conseguenze.
Questa è più un’ammonizione. L’ammonizione somiglia più ad un’accusa come dicevo e meno ad un consiglio o un avvertimento.
Quando diciamo ad una persona che ha fatto qualcosa di sbagliato e lo accusiamo per questo, dicendo che è colpa sua potremmo ricordarle il proverbio di cui sopra:
Chi è causa dei suo mal, pianga sé stesso.
Normalmente però, nella vita di tutti i giorni, ci sono frasi e espressioni molto più utilizzate. Se qualcosa è già accaduto si può trattare di accuse esplicite tipo:
Così impari!
Peggio per te!
Es:
Bravo, sei caduto. Ti avevo detto di non correre. Così impari a non correre!
L’hanno arrestato. Gliel’avevo detto di darmi ascolto. Non ha voluto seguire i miei consigli e adesso così impara! Peggio per lui!
Per ammonire qualcuno ci sono anche due locuzioni più complicate:
Te la sei voluta!
Te la sei cercata!
Es:
Ti avevo avvisato che c’era la pandemia in Cina. Sei voluto andare ugualmente e adesso hai preso il virus. Te la sei cercata! Ben ti sta!
Oppure:
Andare in montagna con questo tempo si sapeva fosse molto pericoloso. Quei ragazzi che hanno rischiato la morte se la sono voluta.
Si può trattare anche di avvisi, quindi di frasi pronunciate prima che la conseguenza delle azioni sbagliate accada:
Vuoi sposarti con quel Don Giovanni? Io ti avviso, non è una buona scelta. Poi, fai come vuoi, peggio per te!
Attento ragazzo, non mi provocare. Oggi te le cerchi!
Oppure:
Secondo me proprio non è il caso di uscire con questo tempaccio. Cos’è, le vai cercando?
Si tratta del verbo cercare e cercarsela. Cercarsela significa comportarsi in modo tale da attirarsi qualcosa di spiacevole, negativo, dannoso, che pure sarebbe stato prevedibile ed evitabile.
Si usa spessissimo nel linguaggio colloquiale:
È proprio andato a cercarsela!
Se l’è cercata!
Si usa anche col plurale come si è visto.
Andare a cercarsele.
Andarsele a cercare
Ma allora te le cerchi!
Si usa anche quando una persona ha un atteggiamento provocatorio verso di te o qualcun altro. A queste persone possiamo dire:
Che fai, te le cerchi?
Oggi te la cerchi!
Si usa anche:
Cosa vai cercando?
Oggi le vai cercando vedo!
Quest’ultima frase si usa anche per alludere alle botte o ai guai.
Cercare o cercarsi le botte, cercare guai.
Si sentono spesso frasi simili in bocca a genitori arrabbiati con i figli che non li ascoltano:
Fai il bravo, non te le cercare anche oggi!
Oggi te le cerchi proprio! 😄
A volte, ma solo al passato, si usa anche il verbo volere:
Se l’è voluta, te la sei voluta, se la sono voluta, ecc.
Il significato è il medesimo:
Se l’è cercata, te la sei cercata, se la sono cercata, ecc.
Hartmut: Qualcuno potrebbe pensare che chiedere di unirvi all‘associazione “Italiano Semplicemente” sia un’offerta indebita, considerando che internet è così ricco di contenuti, ma vi chiedo di pensarci bene invece: nella nostra associazione ci sono contenuti che riguardano ogni situazione di vita e una comunità di studenti da tutto il mondo pronti ad aiutarvi!
Il metodo di Italiano Semplicemente ci piace e piacerà di sicuro anche a voi. Prendete spunto da quanto hanno già fatto 100 e passa persone per farvi strada nel campo della lingua italiana.
Nell’ultimo episodio di due minuti con Italiano Semplicemente ci siamo occupati dell’espressione “se vogliamo“. Ricordate? Abbiamo visto il verbo volere, in questa espressione colloquiale si usa per esprimere una opinione, facendo una associazione più o meno condivisibile.
Natalia (Colombia): Ho appena ascoltato i due minuti di oggi, molto usata nel parlato comune, ma volevo sapere se questa espressione è equivalente a “volendo”. Me lo puoi spiegare per favore?
Certo Natalia, grazie della domanda.
Allora, può sicuramente capitare di ascoltare “volendo” usato impropriamente al posto di “se vogliamo“, ma volendo rappresenta semplicemente l’espressione della nostra volontà, quindi non si deve usare con lo stesso senso di “se vogliamo” che abbiamo spiegato.
“Volendo” significa “se c’è la volontà”, “se si vuole”, quindi si può usare per esprimere una volontà, oppure una proposta, o una alternativa ad una proposta:
Per divertirci potremo andare a cena a casa mia va bene? Volendo possiamo anche acquistare del vino, che ne dite?
Posso anche dire:
Giocavo con la palla e non volendo, ho rotto il vetro, scusate!
Questo significa che non c’era volontà da parte mia. Non l’ho fatto apposta, non volevo. L’ho fatto non volendo, l’ho fatto inavvertitamente. Posso anche dire così.
Se devo dare una risposta, ma non sono convinto o non voglio dire proprio “no” posso usare “volendo”:
Se vuoi possiamo cena insieme una di queste sere che ne dici?
Non siete proprio convinti di questo, anzi vorreste proprio rifiutare, ma…. meglio glissare!
Risposta: sì, volendo…
In questo caso il tono non deve essere molto convincente però 🙂
Posso anche usarlo al posto di “se vogliamo“, ma in questo caso si usa il verbo volere normalmente. Se ad esempio facciamo un esame di lingua italiana e non va molto bene, il professore potrebbe dire:
Se vogliamo essere generosi, possiamo dire che raggiungi la sufficienza!
Quindi è come dire: volendo essere generosi“, se c’è la volontà di essere generosi. Non è un’azione necessariamente legata a “noi”, ma si usa lo stesso questa forma, a volte anche solo per darsi un tono.
Questa frase però non ha affatto lo stesso significo di “se vogliamo”, nel senso di fare una associazione forzata condivisibile o meno. Non stiamo facendo questo.
Per fare una ulteriore differenza rispetto a “se vogliamo” posso dire che “volendo” si usa con i fatti, è collegata più spesso ad azioni, non ad associazioni o opinioni.
Quindi si tratta semplicemente di volere nella forma del gerundio. Più simile a “se mi gira” molto spesso. Anche di questa espressione ci siamo già occupati.
Un altro membro mi ha chiesto se “addirittura” può sostituire “volendo“.
In realtà no, perché addirittura ha la funzione di sottolineare la straordinarietà di un fatto, si usa per esprimere anche una esagerazione. Non è questo il caso.
Ascoltiamo adesso il ripasso quotidiano:
Leijla (Bosnia): La diffusione del nuovo Coronavirus è andata al di là delle previsioni dell’Istituto Mondiale di Sanità. Questo può preoccupare, ma se vogliamo può capitare di sottovalutare gli effetti di un nuovo virus se ti prende alla sprovvista. La cosa importante è avere sempre ben presente il benessere mondiale senza sgarrare troppo spesso: non si può essere perfetti, qualcosa può sfuggire ogni tanto. Intanto però più di 400 persone sono già andate. Poveracce. Chissà se si fossero già fatte un’idea dell’aldilà…
– – –
Camille (Libano 🇱🇧):
L’inizio e/o la fine di ogni episodio dei “due minuti con Italiano Semplicemente” servono a ripassare le espressioni già viste e sono registrate dai membri dell’associazione. Se vuoi migliorare il tuo italiano, anche tu puoi diventare membro. Ti aspettiamo!
Oggi ci occupiamo ancora del verbo “volere”. Abbiamo già visto più modi di usare questo verbo. Oggi vi parlerò di “se vogliamo“. Non si tratta di interpretare queste due paroline nel modo classico, perché la particella “se” generalmente indica una condizione da rispettare, o una possibilità: ad esempio:
Se vuoi posso darti un bacio
Se vogliamo oggi possiamo fare colazione insieme
eccetera.
No, non parlo di frasi di questo tipo. “Se vogliamo” spessissimo è usata nel linguaggio colloquiale non per indicare una condizione o una possibilità, ma come una modalità per esprimere un concetto ma con una certa forzatura. E’ un modo di parlare impreciso in realtà: si cerca di fare una associazione tra idee ma senza troppe pretese di precisione, di veridicità assoluta o di validità universale. A volte è solo un’opinione. Qualche esempio vi schiarirà la mente:
Le lezioni di Italiano Semplicemente sono interessanti, e, se vogliamo, anche divertenti a volte.
Ecco, qualcuno quindi potrebbe trovare queste lezioni non solo interessanti, ma anche divertenti, perché no!
La vita di coppia può dare molte soddisfazioni, e se vogliamo, tutto sommato è anche meno noiosa della vita da single.
Qualcuno potrebbe trovarla meno noiosa dunque (la vita di coppia), altri penseranno che questa sia una sciocchezza, altri una fortuna, altri ancora solo una forzatura, appunto.
Chi si batte per la difesa dell’ambiente è da lodare. Sono persone meno egoiste delle altre, e se vogliamo anche più intelligenti.
Notate che non si usa solamente con la versione “vogliamo” (relativa a noi). Si può usare anche nella forma “se vuoi“, ma è meno diffuso. Si usa nello stesso modo comunque:
La cosa importante è che enunciamo un concetto e poi un altro. In mezzo ai due mettiamo “se vuoi” o “se vogliamo”. Quasi sempre troverete la congiunzione “e”.
Ora ripassiamo alcune espressioni passate, grazie a Ulrike e Leijla, due membri dell’associazione Italiano Semplicemente:
Ulrike: Ciao Leijla! Ti ricordi della puntata numero 58 di questa rubrica? L’hai presente?
Leijla: Ulrike, siamo giunti quasi a 200 puntate. In cosa verte la numero 58? Abbi pazienza, non ricordo.
Ulrike: Ah sì, scusami, si tratta dell’espressione un’ anima in pena.
Leijla: Ah ok, e cosa vuoi dirmi in merito?
Ulrike: Sai, ho rispolverato qualche vecchia espressione, tra cui questa, e stavo pensando alla situazione preoccupante per gli studenti qualora la rubrica dei due minuti dovesse finire. Questo esempio si trova in quell’episodio.
Leijla: ah sei tu l’anima in pena dunque? Questa possibilità ti ronza per la testa? Ma Come sarebbe a dire che finisce la rubrica? anzi, non hai notato la nascita delle due ulteriori rubriche realizzate sulla falsariga della prima? Tranquilla!
Ulrike: Va beh..avrai ragione Leijla, sicuramente un’idea peregrina questa, però una volta sorta, piano piano mi aveva causato un crescendo di preoccupazioni inutili. Evidentemente quest’esempio non ha niente a che spartire con la realtà. Grazie mi sei stata d’ausilio. A presto Leijla, una carezza alla bimba.
– – –
L’inizio e/o la fine di ogni episodio dei “due minuti con Italiano Semplicemente” servono a ripassare le espressioni già viste e sono registrate dai membri dell’associazione. Se vuoi migliorare il tuo italiano, anche tu puoi diventare membro. Ti aspettiamo!
E’ possibile ascoltare e/o scaricare tutti i file audio di questo episodio in formato MP3 tramitel’audiolibro (+Kindle) in vendita su Amazon, che contiene 54 espressioni italiane e 24 ore di ascolto.
Video 1^ parte
Trascrizione
1^ parte
Ciao amici, bentornati su Italiano Semplicemente, io sono Giovanni e oggi in questa nuova puntata di italiano semplicemente, vi voglio parlare di desideri, cioè di ciò che vogliamo, che desideriamo, ciò che vorremmo accadesse nel futuro.
Lo faremo in un episodio diviso in più parti per rendervi più facile e meno stancante l’ascolto e per poter fare anche un po’ di ripetizione, in omaggio alla settima regola d’oro di italiano semplicemente.
Come fare per esprimere un desiderio? Abbiamo solo l’imbarazzo della scelta.
Chi può dire di non avere desideri d’altronde? Innanzitutto vorrei dirvi che ci sono i desideri, che sono ciò che si desidera, poi ci sono le semplici volontà, una parola che non cambia al plurale (la volontà, le volontà), al contrario dei desideri, che al singolare diventa desiderio.
Le volontà rappresentano ciò che si vuole, un concetto forse meno nobile rispetto a ciò che si desidera.
Volere, desiderare: ma non sono solo questi gli unici verbi che si usano per esprimere un desiderio. Notate che le nostre volontà si chiamano anche i nostri voleri.
Curioso quest’ultimo termine: “voleri” è simile a volontà, ma si usa solamente in talune circostanze, come quando c’è un’autorità :
Bisogna rispettare i voleri del popolo
I voleri di sua maestà la regina.
Un volere indubbiamente esprime un desiderio, ma si usa solo quando qualcosa va rispettato, e questo qualcosa è la volontà di qualcuno di importante, come appunto una regina o l’intero popolo di una nazione.
Cominciamo dalle cose semplici. Per esprimere un desiderio o un volere normalmente si usa “vorrei”.
È il modo più semplice possibile:
Vorrei andare in Italia
Vorrei visitare Roma,
Vorresti andare a Venezia?
Tuo padre vorrebbe che tu ti laureassi?
Noi vorremmo aiutarvi
Loro vorrebbero venire
Però il verbo “volere” esprime una volontà, o un desiderio, diciamo in modo semplice, così come se usiamo il verbo piacere, sempre al condizionale.
A me piacerebbe imparare l’arabo.
Stavolta però è un po’ più lontano come desiderio, mi piacerebbe esprime più una possibilità, come un provare piacere al pensiero di raggiungere qualcosa, non una volontà forte ed emozionante.
Si usa spesso quando devo esprimere un desiderio lontano, oppure anche un desiderio irrealizzabile, ed in questo caso usiamo il condizionale passato, come se fosse accaduto nel passato ma ormai fosse tardi. Ad esempio:
Mi sarebbe piaciuto essere un’aquila
il presente in questo caso non si usa, proprio perché è impossibile diventare un’aquila, al massimo saremmo potuti nascere aquila, ammesso che questa frase abbia un senso.
Il condizionale passato ovviamente lo usiamo per tutti i desideri svaniti, ormai non più realizzabili, non solo per quelli irrealizzabili per definizione, quindi:
Mi sarebbe piaciuto vederti ieri
Quindi in generale mi piacerebbe e mi sarebbe piaciuto sono più adatti per desideri lontani, ipotetici o irrealizzabili, mentre vorrei e avrei voluto (al passato) sono più consoni ad esprimere volontà, vere volontà, cioè desideri reali, realizzabili, vicini.
Se ieri avreste voluto fare una cosa che per mancanza di tempo non avete potuto fare potete quindi dire:
Ieri avrei voluto mangiare insieme a te.
Comunque tranquilli, non succede nulla se usate mi piacerebbe o vorrei in entrambi i casi.
Una cosa da ricordare è che non dovete dire “a me mi piacerebbe” ma “a me piacerebbe” oppure “mi piacerebbe”. Queste ultime sono le uniche due forme corrette.
È un errore comune nei bambini e negli stranieri.
Iniziare con “A me”, sottolinea il soggetto:
A Giovanni piacerebbe visitare la Francia, a me invece piacerebbe andare in Norvegia.
In questo caso si deve usare “a me” perché devo sottolineare la differenza tra me e Giovanni.
Il verbo desiderare si può ugualmente usare in tutti gli esempi visti, ma il desiderio è qualcosa di più importante della volontà, un desiderio esprime qualcosa che ha a che fare con la felicità, e solitamente i desideri non sono molti per ognuno di noi. C’è chi ha un solo desiderio nella vita:
Visitare la mecca, diventare famosi, sposare l’uomo dei sogni, aprire un’attività, ottenere un lavoro, trasferirsi in un paese, questi possono essere chiamati desideri.
I desideri sono solitamente raggiungibili, devono essere raggiungibili, alla nostra portata, altrimenti si avvicinano a dei sogni o a delle utopie.
Desideri e sogni sono più o meno identici, forse il sogno è visto un po’ più lontano. L’utopia invece è qualcosa di impossibile, scollegato dalla realtà.
Seconda parte
C’è un modo interessante con cui potete chiamare i desideri: I desiderata.
Desiderata è un termine che si usa ed esiste quasi sempre al plurale. I desiderata sono i propri desideri, ma possiamo parlare anche di un solo desiderata, inoltre i desiderata si usano solo in certe occasioni.
Si tratta di richieste, di desideri ma nell’uso burocratico o amministrativo.
Quali sono i vostri desiderata?
“I vostri desiderata”, attenzione, quindi plurale maschile: I desiderata.
Quali sono i vostri desiderata?
Questa è una domanda che non può fare un cameriere di un ristorante ai clienti o una madre ai propri figli. Invece potrebbe farla un dirigente ai lavoratori di una azienda, o in una biblioteca, il responsabile della biblioteca a degli utenti, dei clienti o visitatori della biblioteca.
Sono qui pronto a soddisfare i desiderata dei cittadini.
Non c’è nessun sogno nei desiderata, questa è la principale differenza rispetto ai desideri. Potrei ad esempio dire che con questo episodio spero di soddisfare i desiderata di chi ha cercato su Google questo argomento o questa parola. Se così fosse sarebbero soddisfatti della mia spiegazione.
Desiderio e volontà: Chi ha dei desideri possiamo dire che è desideroso di qualcosa. Essere desiderosi però non significa essere volenterosi.
Essere desiderosi è avere un desiderio, mentre essere volenterosi significa avere forza di volontà. La parola volontà esprime infatti un volere, ma anche una forza, quella forza che ci fa raggiungere ciò che vogliamo.
L’uomo volenteroso ad esempio è un uomo che è determinato ad ottenere un risultato, tanto da impegnarsi quanto necessario, tanto da mettercisi con la testa e col cuore.
Essere volenterosi quindi è il contrario che essere sfaticati, fannulloni, indolenti, e non significa volere o desiderare qualcosa, il desiderio è la forza che ci spinge verso il risultato, la volontà è lo strumento che usiamo.
Due verbi particolari sono gradire ed apprezzare. Vedremo che più che i desideri, questi due verbi hanno a che fare con le sensazioni. Per esprimere un desiderio bisogna usare il condizionale: gradirei, apprezzerei, ma ad ogni modo il piacere è più importante del desiderio. Vediamo di distinguere però:
Il verbo gradire è più collegato al piacere ed alla piacevolezza.
Al bar o al ristorante si usa spesso:
Gradisce un caffè?
I signori gradiscono qualcosa da bere?
Si usa spesso e quasi solamente nei locali dove si fanno degli ordini, dove si consuma qualcosa. Significa accettare con piacere, ricevere con soddisfazione, apprezzare: gradire un regalo, una visita, una notizia. Si usa quindi in formule di cortesia, nell’offrire qualcosa.
Vedete quindi che anche gradire ha a che fare con i desideri, ma si tratta di piaceri momentanei, di piaceri dei sensi soprattutto.
Si usa più per distinguere ciò che si gradisce da ciò che invece non si gradisce.
Apprezzare è quasi identico a gradire. Ma apprezzando si riconosce una qualità ad una persona o ad un aspetto particolare di qualcuno o qualcosa; è come se riconosciamo il valore di qualcosa o qualcuno. Es:
Apprezzo molto i complimenti, specie i tuoi.
È da apprezzare la sua capacità di adattamento.
Quindi sia il gradimento che l’apprezzamento sono diversi da desiderare e volere: sono più due modi di riconoscere il valore di qualcosa o qualcuno. Apprezzare si usa di più con le persone e con i comportamenti:
Apprezzo il tuo altruismo
Apprezziamo la vostra generosità
Si usa quindi con le qualità e i meriti delle persone.
Gradire si usa più con le gentilezze e i regali.
Ho gradito molto il regalo che mi hai fatto. Apprezzo soprattutto la tua fantasia.
Vediamo adesso bramare e agognare.
Parliamo adesso di un forte desiderio. Quando un desiderio è talmente forte da sembrare esagerato, quasi come una malattia, possiamo parlare di bramosia. La bramosia è il forte desiderio di qualcosa.
Più che forte, il termine più adatto nei desideri è ardente. Desiderare ardentemente una cosa significa bramarla, agognarla.
Molto comune è la bramosia del potere, che ossessiona gli esseri umani, o meglio, qualche essere umano.
Essere ossessionati da qualcosa significa pensare solo a quella cosa, avere una ossessione, e in questo caso usare la parola bramosia il verbo bramare è molto adatto.
La bramosia, o brama, è il desiderio smodato, incontenibile, che si riflette nel comportamento e in ogni atto dell’individuo.
Si dice avere brama di potere, o essere bramosi di qualcosa.
Es:
Sono bramoso di rivederti
Vale a dire: desidero ardentemente rivederti, lo desidero moltissimo.
Terza parte
Agognare è identico. Si usa maggiormente però come aggettivo:
Finalmente ho ottenuto la tanto agognata laurea.
C’è anche qui un forte desiderio, un desiderio che esisteva da tanto tempo. Molto simile è il verbo ambire.
L’ambizione però è diversa dal desiderio. Più che altro è un tipo particolare di desiderio. È un desiderio assiduo, costante ed egocentrico di affermarsi e distinguersi.
Riguarda quindi la sfera lavorativa, quella della realizzazione personale. In senso positivo, è il desiderio legittimo di migliorare la propria posizione o di essere valutato secondo i propri meriti.
Una persona può essere quindi ambiziosa, mentre un oggetto può essere ambito, cioè desiderato, e quando un oggetto è ambito vuol dire che non tutti possono raggiungerlo, averlo. Si può trattare anche di un posto di lavoro, che evidentemente può essere occupato soltanto da una persona.
Molti politici ad esempio ambiscono a diventare presidente del consiglio. Attenzione all accento: ambìto ed ambito si scrivono nello stesso modo, ma ambito è un sostantivo e vuol dire ambiente, circostanza ecc.
Le aspirazioni sono abbastanza simili alle ambizioni. Ciò a cui si aspira equivale a ciò à cui si ambisce. Si può aspirare ad una carriera lavorativa soddisfacente, ad un matrimonio felice, a diventare ricchi e famosi. E tu? A cosa aspiri? A cosa aspiri nella tua vita? Eh sì, perché le aspirazioni sono obiettivi di vita in ambiti specifici, nel lavoro, in famiglia, eccetera. Quando si aspira a qualcosa e poi si raggiunge l’obiettivo ci si sente appagati, soddisfatti, realizzati. Ma c’è chi dice che questa realizzazione, questo appagamento, duri un attimo, è subito ci si pone un obiettivo più alto ed ambizioso.
Restiamo nell’ambito del forte desiderio. Esiste anche il verbo fremere. Questo verbo si usa spesso quando il desiderio è associato all impazienza.
Fremo dalla voglia di vederti.
Allo stesso tempo c’è uno stato di nervosismo. Si usa infatti dire, quando non ci riesce a trattenere:
Mi fremono le mani
Le mani fremono quando hanno voglia di muoversi e così le dita vengono strisciate tra loro, in segno di impazienza.
Quindi una persona si dice che freme quando è impaziente e dà dei segnali di insofferenza, si agita nervosamente, perché non sa aspettare.
Quando una persona freme non vede l’ora di fare qualcosa, scalpita, sta sulle spine. Scalpitare è identico a fremere, ma mentre fremere fa pensare alle dita che si muovono, scalpitare fa pensare al cavallo, che dimostra di essere irrequieto, e batte continuamente il suolo con gli zoccoli. Gli zoccoli sono la parte terminale delle zampe del cavallo.
Un verbo simile è pretendere. Anche pretendere esprime un desiderio, ma in questo caso si tratta di un sentimento negativo. Quando una persona pretende qualcosa, è perché crede che sia sua, o che se la sia meritata. Si tratta di qualcosa che gli spetta (o che le spetta se di sesso femminile).
C’è una canzone italiana che fa:
Io non ti voglio, ti pretendo!
Il sostantivo è pretesa e pretese. Un sostantivo femminile quindi, al contrario di desiderio che è maschile. Pretendere ha una seconda caratteristica: quando si pretende qualcosa lo si fa quasi sempre da qualcuno. Se il tuo partner non si sente amato e ti chiede di più, puoi dirgli:
Cosa pretendi da me?
Pretendo un minimo d’attenzione accidenti!
Pretendi troppo!
Una pretesa è ovviamente un desiderio, ma è una cosa che pensiamo di meritare, una cosa che crediamo ci spetti.
Spettare è simile a pretendere. Però è più usato per i diritti che per i desideri.
Ci sono alcune differenze poi. Spettare significa due cose diverse. Il primo significato è legato ai desideri ma come dicevo più ai diritti: “Essere dovuto per diritto”, quindi è come pretendere ma più formale.
A me spetta rispetto!
Voglio dire che ho il diritto di essere rispettato. Desidero rispetto.
Mi spetta una fetta della torta.
Quindi pretendo una fetta di torta, è mia di diritto. Ma è più formale, si può usare anche in contesti più seri.
Il secondo significato ha a che fare invece con le competenze, con ciò che si deve fare: rientrare fra le competenze, i compiti di qualcuno; competere.
Mi spiego meglio
Se dico:
Spetta a me pulire casa.
Significa che è mia competenza, sono io la persona che deve pulire casa, sono io la persona a cui spetta pulirla.
Se facciamo una volta ciascuno posso dire che spetta una volta a ciascuno di noi la pulizia della casa.
Attenzione perché in entrambi i modi di usare spettare si usa spesso la preposizione “a” quindi potreste confondere:
L’eredità spetta a me.
Le pulizie spettano a me.
Se invece c’è il pronome gli o le (ed anche ci, vi) non vi potete sbagliare:
Gli spetta, le spetta si usano solamente per i diritti.
Spetta a lui, spetta a me, spetta a loro eccetera si usa sempre (o quasi) per indicare i doveri, cioè il secondo significato di spettare.
Tornando all esagerazione del desiderio si dice anche “avete sete” di qualcosa. Sete di potere, sete di successo, si usano molto spesso. Molto simile alla bramosia ed all’ardente desiderio.
Se invece non vogliamo esagerare ed il mio desiderio voglio esprimerlo in modo pacato, posso dire “sarebbe bello“, che è abbastanza simile a “mi piacerebbe” e a “vorrei”. Forse è più un desiderio che dipende meno da noi. Sicuramente però non c’è bramosia, nessuna pretesa, nessun egoismo. Solo un desiderio, un sogno ad occhi aperti.
La parola sogno si associa spesso ai desideri, sono più o meno sinonimi, e se sognamo ad occhi aperti spesso sospiriamo, guardiamo in alto e pensiamo: oh, come sarebbe bello se…
Terminiamo questa carrellata di espressioni e verbi con una singola parola: magari!
Un’espressione che esprime desiderio allo stato puro, o una speranza legata a qualcosa che potrebbe accadere. Nella speranza che sia stato esaustivo, auguro a tutti voi che riusciate ad esaudire tutti i vostri desideri.
Un abbraccio.
Quarta parte
Benvenuti nella quarta parte dedicata ai desideri, alle volontà ed ai voleri.
Ho deciso di fare una quarta parte in quanto mi sono reso conto di poter ampliare la discussione ad altri modi molto usati per esprimere alcuni tipi di desideri.
In effetti mi ero dimenticato dei bisogni.
Bisogni e desideri sono concetti abbastanza simili.
I bisogni esprimono qualcosa di cui si sente la mancanza. Se ci manca qualcosa, ci sono due possibilità:
La prima è che si tratta di qualcosa di cui sentite il bisogno, cioè la necessità, di qualcosa che vi risulterebbe utile, che vi risolverebbe un problema particolare. Ad esempio se state cucinando la pasta avrete bisogno del sale per salare l’acqua, per rendere cioè salata l’acqua in cui butterete la pasta. In questo caso potete tranquillamente dire:
Scusami Giovanni, ho bisogno di una manciata di sale grosso per la pasta.
Questo vale per qualsiasi tipo di oggetto (e non solo oggetti). Il bisogno è una necessità, qualcosa di necessario che ha una specifica utilità, un fine definito.
Potete anche dire:
Necessito di sale.
O anche:
E’ necessario un po’ di sale per la pasta.
Tuttavia “necessitare“, come verbo, è usato più in circostanze formali, usato maggiormente allo scritto che all’orale.
Necessitate è simile a “bisognare”, ed entrambi i verbi hanno una particolarità: si usano anche quando non è una persona ad avere bisogno di qualcosa. Ad esempio:
L’armadio ha bisogno di una sistemata.
L’armadio bisogna di una sistemata.
Le pareti della nostra cucina hanno bisogno di una nuova pittura.
Le pareti bisognano di una nuova pittura.
La nostra casa necessita urgentemente di una ristrutturazione
Questo tuo comportamento necessita di una spiegazione
In questi casi non si tratta di un desiderio dell’armadio, della parete o dell’appartamento ma sempre di una persona, quella che parla. Sono verbi che si usano per esprimere opinioni:
Secondo me l’armadio ha bisogno di una sistemata.
La necessità quindi esprime qualcosa che è necessario fare, un bisogno, una mancanza che va colmata.
Si tratta pur sempre di desideri, ma trattati da un punto di vista diverso, quello delle esigenze, dei bisogni.
Ho usato il verbo “colmare“, che è un verbo che si usa spesso quando si parla di desideri: colmare una mancanza significa riempire un vuoto, soddisfare un desiderio.
Esigenze e bisogni ci portano poi a discutere dei due verbi associati: esigere e bisognare.
Del verbo bisognare abbiamo già visto qualche esempio. “Bisognare di” è il modo giusto di usare il verbo.
Ancora però non vi ho parlato del verbo esigere, perché questo verbo esprime un significato diverso dalle esigenze.
Esigere è simile a pretendere, reclamare, richiedere, rivendicare.
Esigere: Quando una persona esige qualcosa vuol dire che sta pretendendo qualche cosa, e la pretende in virtù di un diritto che si ha o che si crede di avere, oppure in virtù della propria autorità, della propria forza, importanza.
Si tratta quindi di qualcosa di diverso di un desiderio o di una esigenza. ecco perché vi ho detto che esigere ed esigenza non hanno molte cose in comune in realtà.
L’esigenza è simile al desiderio e si usa molto nelle comunicazioni commerciali e con i clienti:
I clienti scelgono i loro prodotti in base alle loro esigenze.
Non c’è niente di male ad usare il verbo esigere in questo caso. Niente a che fare col verbo esigere.
Avere delle esigenze: si tratta semplicemente di aver bisogno di qualcosa.
Nonostante questo nei vostri dizionari troverete che una esigenza è una richiesta non sempre legittima e per lo più è pretensiosa, fatta valere nei confronti del prossimo con altezzosità.
In questi casi si usa sempre il verbo esigere e non il termine esigenza/e.
Basta citare alcuni esempi:
Esigere obbedienza
Esigere rispetto
Esigere interessi troppo alti
Esigere uno stipendio eccessivo;
Esigere delle prove
Esigere una spiegazione
C’è sempre “esigere”. Invece l’esigenza difficilmente si usa in questi contesti di pretenziosità, di qualcosa che ci spetta di diritto.
Posso dire che:
Per me la ginnastica quotidiana è un’esigenza
Per te la lettura delle notizie su internet è un’esigenza
Ci sono le:
Normali esigenze della vita
che semplicemente sono ciò di cui si ha bisogno per vivere: le normali esigenze della vita.
Si dice molto spesso:
Fare fronte alle esigenze quotidiane
In ufficio posso:
Modificare l’orario di lavoro per esigenze di servizio.
Un dirigente di un ufficio può:
Venire incontro alle esigenze dei lavoratori o della clientela.
Quindi esigere ed esigenza sono concetti apparentemente simili ma molto diversi nel loro utilizzo.
Prima abbiamo usato il verbo “colmare” quando parlavamo di mancanze. In effetti il verbo colmare ha questo utilizzo, anche con la parola bisogno:
Occorre colmare il bisogno di informazioni
ad esempio.
Molto simile è il verbo “Supplire“: supplire ad una mancanza o supplire ad un bisogno, ad una necessità.
Ogni volta che abbiamo un desiderio, un bisogno e non riusciamo a soddisfarlo, potremmo cercare di supplire a questa mancanza con qualcos’altro. Supplire vuol dire rimediare, sopperire, sostituire. Colmare significa riempire un vuoto, come quando abbiamo un bicchiere vuoto e lo riempiamo, lo facciamo diventare colmo. Invece se abbiamo un bisogno, un desiderio e non riusciamo a soddisfarlo, allora posso supplire a questo bisogno, posso compensare a questa mancanza con qualcosa che possa sostituire il bisogno.
Ad esempio:
Posso supplire alla mancanza di affetto con del cioccolato
Il desiderio di affetto posso quindi sostituirlo con del cioccolato. A volte funziona 🙂
Vediamo che in generale si usano anche altri verbi: quando si riesce a soddisfare un desiderio posso dire che si riesce a rispondere a delle esigenze (si una proprio questo verbo “rispondere“). In tali casi si soddisfano dei bisogni, si dice anche che si appagano le esigenze.
Soddisfare, appagare, colmare, rispondere, supplire sono tutti verbi adatti a questo scopo. Si usano a seconda dell’occasione.
C’è anche un altro verbo: quando si trova qualcosa che è in grado di soddisfare delle esigenze, dei bisogni, delle necessità, possiamo anche usare il verbo “confare“.
Uno strano verbo vero? In realtà non si usa mai alla forma infinita. Vediamo come si usa:
Ho trovato una casa che si confà perfettamente alle esigenze della nostra famiglia.
Si confà: si usa quasi sempre solamente in questo modo, al singolare; difficilmente troverete cose che si “confanno” a delle esigenze. Sicuramente è più raro.
Quando qualcosa, come una casa, si confà alle esigenze (alle nostre, ad esempio), alle esigenze della nostra famiglia, ebbene significa che la casa è adatta alla nostra famiglia, ai nostri bisogni, ai nostri desideri.
La casa è in grado di soddisfare le nostre esigenze.
Usare la parola desideri qui è un tantino esagerato. Meglio esigenze, o al limite bisogni.
Voglio ritornare e sottolineare che le esigenze hanno poco a che fare col verbo esigere, a meno che non accompagnate le esigenze con altre parole: tante, troppe, eccessive esigenze.
Solo in questo caso le esigenze somigliano molto alle pretese, ed alle cose che si esigono.
Abbiamo poi più volte parlato di desideri eccessivi, esagerati, bisogni esagerati, smodati: abbiano già visto le bramosie e il verbo agognare.
In questi casi possiamo usare anche le smanie e il verbo smaniare. Molto simile a fremere.
Smanie non c’entra con le manie, infatti cambia anche l’accento: smànie, manìe.
Avere la smania di fare qualcosa significa avere fretta di fare qualcosa, molta fretta.
Vediamo le differenze: smaniare non è come avere una bramosia, perché la bramosia è più negativa, è usata sempre in situazioni negative e con il potere o con il sesso.
La smania invece si può usare in contesti più leggeri, situazione di tutti i giorni; sempre come una esagerazione, come una fretta esagerata di cui sarebbe meglio fare a meno.
Smaniare è praticamente come fremere: indica uno stato di nervosismo legato ad un desiderio che è molto vicino al realizzarsi.
Es:
Io smanio ogni volta che devo partire per una vacanza.
È molto simile a “non vedere l’ora“.
Tu smani (o tu hai la smania) di aprire il regalo di compleanno.
Non vedi l’ora di aprire questo regalo di compleanno che hai ricevuto, hai quindi questo desierio molto forte e fremi, smani dalla voglia di aprirlo.
Questa è la smania: uno stato di agitazione, di nervosismo, di inquietudine, di ansia, di impazienza e di frenesia. “Non vedere l’ora” è simile come significato ma non esprime molto nervosismo ma più che altro la felicità dell’approssimarsi dell’evento futuro.
Il desiderio poi possiamo esprimerlo anche come una forma di “appetito“. Appetito: Sapete bene che quando una persona ha fame, cioè ha voglia di mangiare, possiamo dire che questa persona ha appetito. E’ una forma di desiderio solitamente associata al cibo: un desiderio di mettere qualcosa sotto i denti. Solitamente si usa per indicare una forma leggera di fame.
Si dice che bisogna alzarsi da tavola sempre con ancora un po’ di appetito, cioè che non bisogna mangiare fino a farsi passare la fame. Questo è un consiglio dei nutrizionisti e dei medici per vivere in salute.
La parola appetito deriva comunque dal latino e significa “aspirare a” e questo significa che avere appetito significa in realtà aspirare, ambire a qualcosa, desiderare qualcosa, benché si usi prevalentemente a tavola.
La parola appetito infatti si usa qualche volta in modo figurato, alludendo ironicamente a chi, pur ottenendo molto nella vita (talvolta non onestamente), cerca di avere sempre di più. Una forma di appetito un po’ negativa quindi, un desiderio negativo.
Si parla anche di “appetiti”, al plurale, per indicare un desiderio di possedere qualcosa.
Gli appetiti dei politici
Gli appetiti dei clan della mafia
Gli appetiti del crimine
Ogni volta che si parla di appetiti ci sono cose scorrette, contro la legge o comunque egoistiche. Le persone che hanno appetito di successo, ad esempio, sono le persone che, pur avendo avuto successo, pur essendo state fortunate nella loro vita da questo punto di vista, ne hanno ancora voglia, hanno ancora appetito di successo. Posso anche dire “fame” di successo, ed in questo modo indico un desiderio ancora maggiore: proprio come avviene con il cibo l’appetito è una forma più leggera di fame.
Si dice in questi casi che “l’appetito vien mangiando“, cioè l’appetito viene mangiando”, espressione che si usa ogni volta che si desidera qualcosa solo dopo che si è iniziato a mangiare e non solo a mangiare: si usa anche per le cose che non si mangiano; al di fuori dell’ambito culinario.
Potreste quindi sentir parlare di “appetito di potere”, dell’appetito di successo, eccetera.
Infine voglio parlarvi della parola peggiore possibile associata al desiderio: la cupidigia.
Chi ha studiatoDante Alighierie la Divina Commedia ha sicuramente memoria di questa parola.
La cupidigia è un termine che indica in genere la fame, o l’appetito per i beni terreni, quindi la fame, la voglia dei beni terreni, non solo di soldi, ma di tutto ciò che non è spirituale, tutto ciò che è superfluo, e che quindi è giudicato sbagliato e pericoloso per l’uomo.
La cupidigia è uno dei “sette vizi capitali” di cui Dante Alighieri parla nella Divina Commedia, la sua opera più importante. Uno dei vizi più grandi dell’essere umano: Si dicono vizi “capitali” poiché sono i più gravi, i vizi principali dell’uomo. Così come la capitale di una nazione è la città più importante della nazione.
La cupidigia è un desiderio intenso, ma è qualcosa di più di un desiderio intenso, è una bramosia sfrenata. Ancora peggiore della bramosia quindi.
E’ una brama peccaminosa, un desiderio che porta al peccato. Si tratta di un costante senso di insoddisfazione per ciò che si ha già e un bisogno sfrenato (cioè senza freni), un bisogno esagerato di ottenere sempre di più.
Dante Alighieri parla della cupidigia nell’Inferno, all’inizio del suo viaggio. E la cupidigia è raffigurata come una bestia selvatica, una bestia feroce: una lupa. La lupa, cioè la femmina del lupo, è una bestia feroce, malvagia, che rappresenta proprio la cupidigia. La lupa è la bestia più feroce delle tre fiere (sono chiamate così) nella Divina Commedia di Dante Alighieri. Le altre due fiere rappresentano la lussuria e la superbia.
William Blake: illustration to Dante The Divine Comedy, Inferno, Canto I, 1-90
Dante indica la cupidigia come il vizio peggiore, perché è il difetto dell’uomo più difficile da cui liberarsi poiché è quasi istintivo nell’uomo. E’ come se l’uomo fosse portato naturalmente ad avere desideri egoistici, quindi l’uomo, per liberarsene, deve andare contro la sua natura.
La cupidigia tutti gli italiani se la ricordano per merito di Dante, che la chiama anche “avarizia” e ogni volta che gli italiani usano la parola cupidigia pensano a Dante. Difficilmente viene usata nel linguaggio comune se non per indicare una forma di desiderio esagerato che andrebbe punito con l’inferno, come fa Dante. Con la cupidigia delle persone è impossibile avere pace e giustizia, riteneva Dante.
Tutti in Italia abbiamo studiato la Divina Commedia alle scuole superiori, e Dante indica nella cupidigia l’origine di tutti i mali d’Italia ed anche l’origine della corruzione della Chiesa.
Ciao ragazzi, e grazie dell’ascolto di questo episodio.