La paura fa novanta, pezzo da novanta

Audio

Trascrizione

Membri della famiglia Italiano Semplicemente, un saluto da Giovanni, e vi do il benvenuto in questo nuovo episodio, in questo nuovo podcast di ItalianoSemplicemente.com. Ringrazio tutti del vostro interesse e dei vostri commenti sulla pagina Facebook, spero da parte mia, di esservi utile e di aiutarvi concretamente nell’apprendimento della lingua italiana. Scusate se a volte non riesco a rispondere personalmente ai messaggi su Facebook ma non sempre riesco a trovare il tempo. Ad ogni modo credo sia più produttivo sottolineare due cose, prima di iniziare la spiegazione di oggi.

La prima cosa è che queste espressioni, conoscere le espressioni idiomatiche Italiane è importante per conoscere la cultura Italiana, e difficilmente troverete queste espressioni in un corso di italiano convenzionale, dove lo studio della grammatica è al centro e non c’è spazio per le espressioni tipiche italiane. La seconda cosa, ancora più importante, a mio modo di vedere, è che per ogni espressione tipica italiana bisogna sapere come utilizzarla, in quali occasioni, se è informale o formale, se la potete usare in famiglia o in ufficio o col vostro professore di italiano. È bene sapere quindi anche in quali altri modi esprimere lo stesso concetto, per essere sicuri che stiamo usando bene l’espressione, altrimenti c’è il rischio di fare brutte figure, ed allora è meglio non conoscerla quell’espressione. Sul web ci sono altri siti o canali YouTube, anche molto interessanti,  in cui si spiegano le espressioni italiane, ma tutti questi siti spiegano solo una versione della frase, e si tratta sempre di espressioni familiari, che potete usare e tra amici e non con persone diverse o che non conoscete bene. È per questo, è anche per questo che nelle mie spiegazioni cerco sempre di specificare il contesto di riferimento. Ed è anche per questo che ho deciso di sviluppare il corso di italiano professionale, che potete trovare sul sito e in cui vengono spiegate,  tra l’altro, tutte le frasi che si riferiscono al mondo del lavoro, dalle riunioni, alle conferenze, al colloquio di lavoro,  a come trattare eccetera. Ma torniamo all’espressione di oggi.

L’espressione che ho scelto di spiegarvi oggi, anzi le espressioni di cui ho deciso di parlarvi oggi sono due. Si tratta di “pezzo da novanta” e di “la paura fa novanta”. Credo siano due espressioni interessanti da spiegare e da comprendere.

Queste due espressioni sono state proposte da Leonardo, che saluto. Leonardo mi ha inviato una mail attraverso il link che ho inserito nella pagina delle frasi idiomatiche, e ha scelto due espressioni che contengono la parola “novanta”, che è un numero, come sapete. Novanta è il numero che sta dopo l’ottantanove e prima del novantuno. Ma in Italia il novanta è un numero particolare; non è un numero qualunque.  Sapete infatti,  o forse non lo sapete, che esiste un gioco in Italia che si chiama “Tombola”, un gioco molto famoso.  Ora vi spiego come funziona il gioco della Tombola.

Ecco quindi che per spiegare queste due semplici espressioni contenenti la parola 90, il numero 90, occorre fare una premessa. Occorre spiegare il significato del numero novanta, cioè quello che rappresenta il numero novanta. Questo, inevitabilmente, ci fa entrare nella cultura italiana. Vediamo come quindi.

La tombola, dicevo, è un gioco, un tradizionale gioco da tavolo nato nella città di Napoli nel XVIII secolo, secolo che inizia nell’anno 1701 e termina nell’anno 1800 incluso. Il gioco della Tombola è un gioco in cui vengono sorteggiati dei numeri, vengono estratti dei numeri che vanno da 1 a 90, numeri compresi tra 1 e 90. La Tombola è la versione casalinga del gioco del lotto.

Probabilmente molti di voi conoscono il gioco del lotto ma non conoscono la Tombola.

Ebbene, questo gioco, famosissimo in Italia, è un gioco diffuso a livello familiare, infatti ogni Natale, durante le feste del Natale (che cade il 25 dicembre di ogni anno)  in quasi tutte e famiglie, soprattutto se ci sono dei bambini, si gioca a Tombola: ci si mette tutti attorno ad un tavolo e si gioca tutti assieme a Tombola.  Questo avviene anche nelle feste di paese, dove si gioca a Tombola nella piazza del paese, di molti paesi almeno,  soprattutto al centro-sud. Dicevo che vengono sorteggiati, vengono estratti dei numeri, che stanno dentro ad un contenitore, all’interno di alcune palline. Nelle piazze dei paesi i numeri vengono sorteggiati e vengono urlati con l’aiuto di un megafono, in modo che tutti possano ascoltare.

tombola

Ogni persona, per partecipare al gioco, acquista una “cartella”, cioè un foglio, un foglietto, sul quale sono scritti 15 numeri, in tre file di 5 numeri. C’è poi una persona che estrae un numero alla volta dall’urna, dalla scatola, dal contenitore. Quindi man mano che escono i numeri, uno alla volta, questi numeri vengono detti ad alta voce: “cinque, ventidue, ottantasei” eccetera. Le persone che hanno acquistato una cartella controllano se la loro cartella, il loro foglio contiene il numero di volta in volta estratto. Quando una cartella contiene, su una delle tre file, il numero estratto, normalmente si appoggia un fagiolo sopra quel numero, oppure si fa un buchino sulla cartella con uno stuzzicadenti: diciamo che ci sono vari modi di segnare i punteggi. E quando si vede, quando si verifica, si constata, si appura che avete quel numero nella cartella si dice: “ce l’ho”, e mettete, appoggiate il fagiolo sul numero della vostra cartella di carta.

Quando si vince? Si vince quando qualcuno nella sua cartella riesce per primo, prima degli altri, ad avere due o più numeri in fila, cioè sulla stessa fila, su una delle tre file di ogni cartella: si fa quindi “ambo” (con due numeri), si fa terno con tre numeri, quaterno con quattro e chi ne azzecca cinque, tutti i cinque numeri di una delle tre file fa quella che si chiama “cinquina”.

Chi è poi molto fortunato riesce anche a “fare Tombola”. Fare tombola vuol dire utilizzare tutti i fagioli, tutti e 15 i fagioli, quindi vuol dire che tutti e 15 i numeri della cartella sono stati estratti. Ovviamente chi riesca a fare tombola lo strilla, lo dice a voce alta davanti a tutti non appena viene pronunciato l’ultimo numero: “tombola, ho fatto tombola!”

Chi fa tombola vince generalmente dei soldi, ma a prescindere dai soldi o dal premio che si vince, è un gioco molto divertente.

Questo gioco nasce a Napoli, come ho detto prima, ed a Napoli si danno molta importanza ai numeri ed al loro significato. Cosa significa? Significa che i napoletani hanno attribuito, hanno assegnato ad ogni numero, ad ogni numero da 1 a 90, uno specifico significato.

Quindi esiste un sistema di associazione tra numeri e significati, di solito umoristici. Ogni numero ha un suo significato. Per chi fosse interessato esiste anche un libro, che si chiama “La Smorfia”, che da secoli, da molti anni quindi, associa i sogni ai 90 numeri. Ogni numero ha un suo significato, ed ogni avvenimento, ogni sogno particolare, va tradotto in uno o più numeri.

Ebbene, il numero 90 (novanta) è associato alla paura. Allo stesso modo possiamo dire che la paura è rappresentata dal numero 90. Tutta questa lunga spiegazione per arrivare a questo dunque.

Dunque la paura è il numero 90, e la paura fa 90. Questo è il senso proprio dell’espressione “la paura fa 90”. Inoltre vediamo che si usa il verbo “fare”: “la paura fa 90”.

Allo stesso modo infatti possiamo dire che 47 fa “morto che parla”, oppure che 42 fa caffè.

Quanto fa 40? Vediamo un po’… ah 40 fa noia!

Quindi questo significa che se sognate, se fate un sogno e sognate che il vostro caro nonno, morto tanti anni fa, si beve un caffè e vi racconta delle storie, allora dovete giocare al lotto i numeri 47 (morto che parla) e il numero 40 (caffè). Infatti 40 fa caffè e 47 fa morto che parla. Semplice vero?

“La paura invece fa 90”, ora avete capito che significa, letteralmente, che la paura è rappresentata dal numero 90. Tutto qui. Ma questo è il senso proprio, quello letterale.

La paura fa 90 è però una espressione idiomatica, e questa espressione significa invece che con la paura si possono fare cose incredibili. Sotto lo stimolo della paura si fanno cose che sembrerebbero impensabili in condizioni normali.

Se quindi, ad esempio, siete rincorsi da un cane che vuole mordervi, riuscirete a correre molto velocemente, molto più velocemente del normale: la paura fa 90!

Potete usare questa espressione quindi ogni volta che verificate che con la paura si fanno coe incredibili.

Spero Leonardo sia chiaro il senso della prima frase: la paura da novanta!

Ora vediamo la seconda frase che contiene il numero novanta: “pezzo da novanta”.

Stavolta la tombola non c’entra nulla. Stavolta il numero 90 rappresenta la dimensione, cioè la grandezza, di un cannone. Il cannone è l’arma da fuoco che si usava per sparare sulle navi, un’arma normalmente molto grande (lunga circa 2 metri o giù di lì). Sembra che la larghezza della bocca del cannone, da dove cioè esce la palla di cannone, cioè il proiettile del cannone, si misuri in calibri, e il calibro di un cannone può variare: Nella seconda guerra mondiale esistevano i cannoni a calibro 88 che avevano i tedeschi, e pare che gli italiani possedessero, avessero anche una trentina di cannoni a calibro 90, cioè più potenti.

Esistevano quindi solamente trenta cannoni, trenta cannoni che avevano un calibro pari a 90.

Esistevano quindi solamente 30 pezzi da 90.

Qui occorre spiegare però anche il termine “pezzo”, che normalmente si usa per indicare una piccola quantità, una porzione di qualcosa, come un pezzo di pizza eccetera. Soprattutto nel mondo del commercio la parola pezzo non indica una porzione di qualcosa, ma il termine “pezzo” viene usato in questo caso per indicare una singola unità: un pezzo. Questo vale per qualsiasi cosa: Se voi acquistate un qualsiasi oggetto, e ne acquistate alcune unità, potete dire anche che avete acquistato “alcuni pezzi”. Il termine pezzo quindi non significa solamente “una porzione”, “un pezzo” come quando qualcosa si rompe e “va in pezzi”, cioè si distrugge in piccole porzioni più piccole. Il termine pezzo al singolare significa quindi una singola unità. Al plurale, se voglio acquistare sei bicchieri uguali posso dire alla commessa: scusi, vorrei sei pezzi di questo bicchiere! Cioè vorrei sei bicchieri di questo tipo, sei bicchieri uguali. Quindi quei trenta cannoni speciali, quei trenta cannoni che avevano un calibro 90, erano dei pezzi speciali, dei pezzi quasi unici, perché ne esistevano solamente trenta pezzi: esistevano pochissimi pezzi da 90.

Da allora la frase “pezzo da novanta” ha anche un senso figurato, e viene usata per indicare una persona importante: un pezzo da novanta è un personaggio importantissimo, come ce ne sono pochi al mondo.

Allora ad esempio se conosco il vice presidente di un’importante azienda, posso dire che quello è un pezzo da novanta di quell’azienda, cioè un uomo importante, che svolge un ruolo importante. Non si tratta di un uomo qualsiasi, ma di un vero pezzo da novanta.

Qualcuno di noi, credo, potrebbe conoscere alcuni pezzi da novanta, in qualsiasi ambito. Io, fatemi pensare… dunque, non ho mai conosciuto pezzi da novanta della politica italiana, ad esempio, e non ho neanche mai conosciuto pezzi da novanta dello sport. Totti ad esempio è un pezzo da novanta del calcio italiano e mondiale, e mi piacerebbe molto conoscerlo. Nel mio caso non mi vengono in mente pezzi da novanta che io abbia mai incontrato o conosciuto personalmente.

Avete quindi capito che un pezzo da novanta è una persona importante, molto importante. Non per forza la più importante nel suo settore, ma una delle persone più importanti.

Quindi se ad esempio devo indicare una persona che ricopre un ruolo importante in una azienda ma non ricordo il suo ruolo, cioè non ricordo ad esempio se si tratta del direttore, del vicedirettore, del presidente o del vicepresidente, ma ricordo solamente che è uno importante, posso dire che è un pezzo da novanta, che questa persona è uno dei pezzi da novanta.

Pezzo da novanta è una espressione molto usata in Italia, usata soprattutto nella forma orale e quindi non molto raffinata come espressione. Si dice anche “essere qualcuno”. Se dico che mio padre è qualcuno nel tennis, ad esempio, vuol dire che gioca bene a tennis, che è una persona conosciuta. Essere qualcuno, se detta nel modo giusto, significa quindi essere una persona conosciuta, importante perché conosciuta, una persona rispettata perché importante. Anche questa espressione però è abbastanza familiare.

Se vogliamo esprimerci in modo leggermente meno informale possiamo usare la parola “calibro”, oppure, ancora meglio, possiamo usare la parola “spessore”: allora possiamo dire che una persona importante è un pezzo da novanta, se parliamo con amici, ma possiamo anche dire che questa persona è una persona di grosso calibro, o di un certo calibro, che vuol dire ugualmente un calibro elevato, un livello elevato; questo se parliamo con persone di cui abbiamo molto rispetto, o che non conosciamo abbastanza bene. Il senso è lo stesso però. Esistono persone di grosso calibro, ed anche persone dello stesso calibro, cioè dello stesso valore, della stessa importanza. Esistono poi delle persone che hanno un “elevato calibro morale”, persone cioè che han dimostrato nella loro vita di avere una forte moralità, un forte senso del dovere ad esempio, o elevato senso civico. Se quindi volete fare un complimento ad una persona che stimate molto per la sua correttezza ed onestà, che vi ha dimostrato in molte occasioni, potete dirgli che secondo voi è una persona di un elevato calibro morale.

La parola spessore, infine, può essere usata allo stesso modo: “Quella persona ha un elevato spessore morale”, oppure quella persona ricopre un ruolo di un certo spessore, perché magari è il direttore, o il vicedirettore, o il responsabile di una qualche attività.

Bene, sperando che anche voi un giorno possiate diventare persone di elevato calibro morale, se non lo siete già ovviamente, spero di essere riuscito a farvi capire bene il significato di queste due frasi “pezzo da novanta” e “la paura fa novanta”: se ci sono riuscito posso dire di essere un professore di un certo spessore, anche se questo non è esattamente il mio mestiere. Siamo dovuti un po’ entrare nella cultura italiana per capire bene, ed in effetti è questo il significato profondo di imparare una lingua: se imparate la cultura, imparare la lingua vi risulterà più facile. Spero di non avervi annoiato, ringrazio Leonardo per la domanda e tutti gli altri di essere così numerosi a seguire ItalianoSemplicemente.com.

Ora rispondete a voce alta ad alcune facili domande. Aspettate la domanda e provate a rispondere, così vi esercitate nella pronuncia: saranno delle domandine facili-facili.

La paura fa ottantanove?

No, la paura non fa ottantanove, la paura fa novanta!

La paura fa novantuno?

No, la paura non fa novantuno, la paura fa novanta!

Quanto fa la paura?

La paura fa novanta!

Ripetete ora:

Pezzo da novanta.

Quell’uomo è un pezzo da novanta!

Rispondete:

Ma chi è quell’uomo? Una persona di spessore?

Altroché! Quello è un pezzo da novanta!

Quel tizio è qualcuno nell’azienda?

Sì, lui è un pezzo da novanta! È uno di grosso calibro!

Ciao a tutti, e ricordatevi che tutti i fan di italiano semplicemente sono pezzi da novanta, almeno per me.

Ne ho abbastanza

Audio

Trascrizione

Ciao a tutti gli amici di Italiano Semplicemente. Oggi vediamo una serie di espressioni, tutte abbastanza simili, che si usano per dire una cosa molto semplice: basta!!

“Basta” quindi è la parola più semplice, l’esclamazione più facile che esiste per dire “stop”.

Bene, quindi tale parola esprime quindi, un sentimento, un’emozione, uno stato d’animo: quello stato d’animo che abbiamo quando vogliamo che qualcosa finisca, che qualcosa termini, quando siamo stanchi di qualcosa. “Basta!” è un’esclamazione quindi. Le esclamazioni di usano per esclamare, per esprimere un sentimento, e le riconoscete perché sono seguite da un punto esclamativo, quello col puntino in basso.

Quante volte diciamo “basta” ogni giorno? Lo diciamo ai nostri figli, quando insistono a fare qualcosa che non va, qualcosa che non va bene, qualcosa che non andrebbe fatto, oppure lo diciamo semplicemente perché siamo stressati e siamo stanchi, dopo una lunga giornata di lavoro o di studio. Poveri figli! Oppure lo pensiamo, lo pensiamo al lavoro, lo pensiamo perché non sopportiamo più qualcosa, perché non siamo più disposti a tollerare qualcosa.

Allora in Italia si usano molti modi diversi di dire basta! Io stesso ne ho già utilizzati molti finora. Ho usato anche i verbi “sopportare” e “tollerare”, il primo più familiare, il secondo più formale, più adatto nella forma scritta ad esempio. Questi due verbi possono essere usati per costruire delle semplici esclamazioni, per dire appunto “basta!”.

Vediamo in particolare che ci sono alcune espressioni che gli italiani usano più di frequente, anche più frequentemente del semplice “basta!”.

Vediamo quali sono: “ne ho abbastanza!” è una delle esclamazioni più usate.

immagine_ne_ho_abbastanza

“Ne” si riferisce alla cosa della quale ne avete abbastanza, cioè si riferisce alla cosa di cui siete stanchi, alla cosa a cui dite basta. Ad esempio: “ne ho abbastanza del mio lavoro!”. Ho è il verbo avere.

“Ne ho” quindi vuol dire “io ne ho”. Quindi io, anche se non c’è scritto, anche se non si pronuncia è scontato: sono io che ne ho abbastanza!

Cioè sono io che sono stanco del mio lavoro, ad esempio, sono io che non voglio più lavorare. “Ne ho abbastanza!”. Oppure “ne ho abbastanza di te”: questa è forte ragazzi!! Questa frase potete dirla alla persona che non volete più vedere, la persona con la quale non volete più avere rapporti, anche al vostro fidanzato o fidanzata, anche se non è carino, diciamo…

Ovviamente possiamo utilizzare l’espressione con qualsiasi persona:

Io ne ho abbastanza, tu ne hai abbastanza, lui o lei ne ha abbastanza, noi ne abbiamo abbastanza, voi ne avete abbastanza, loro ne hanno abbastanza. Ma in tutti i casi spesso non troverete il pronome personale davanti.

Spero che nessuno vi dica mai questa frase, sinceramente. Infatti “ne ho abbastanza” esprime un sentimento molto forte. Ne ho abbastanza di qualcosa, in generale vuol dire che col passare del tempo il vostro sentimento di stanchezza è aumentato: all’inizio non eravate stanchi di questa cosa o di questa persona, ma man mano che il tempo è passato, vi siete sempre di più stancati, tanto che non siete più disposti ad accettare questa cosa, ne avete abbastanza. “Abbastanza” come vedete contiene la parola “basta”. Quindi abbastanza vuol dire che non volete più continuare. Abbastanza, come parola, è semplicemente l’equivalente di “enough” in inglese, o di “assez” in francese, ma “ne ho abbastanza” invece è informale, è colloquiale, si usa molto nella forma orale, nel parlato. L’equivalente, la forma equivalente, ma formale, di questa espressione, è molto diversa: “La misura è colma”. Questa espressione è molto formale, ma ha lo stesso identico significato di “ne ho abbastanza!”. L’espressione è “La misura è colma”.

Vediamo bene questa espressione. “Colma” vuol dire piena. Un bicchiere, ad esempio è colmo, quando è pieno fino all’orlo, fino alla fine, fina alla parte più alta del bicchiere, l’orlo. Più di così non è possibile, perché l’acqua uscirebbe.

“La misura è colma” utilizza quindi l’immagine di un contenitore, come un bicchiere, che non può più contenere altro liquido, perché tale bicchiere, tale contenitore, è colmo, è pieno fino all’orlo. “La misura” indica il livello massimo possibile dell’acqua, indica cioè quanto “misura” il contenitore, quanto è ampio, quanto è grande. Quant’è la misura di questa bottiglia? un litro, ad esempio. Questa bottiglia misura un litro esatto, questo contenitore misura cinque litri esatti.

Potete ascoltare o leggere la frase “la misura è colma” all’interno di articoli, anche giornalistici, che parlando di qualcosa di cui qualcuno si è stufato. Qualcosa di cui qualcuno è stufo, è stanco. Infatti “la misura è colma” a differenza di “ne ho abbastanza” si usa di più nella forma scritta.

Ho appena usato anche, involontariamente, l’espressione, la parola “stufato” o “stufo”. Ad esempio posso dire: “sono stufo di questa situazione”, oppure “mi sono stufato di questa situazione”. Ebbene queste due espressioni sono equivalenti a “sono stanco” e “mi son stancato”. “Sono stufo” quindi significa semplicemente “sono stanco”, ma è più familiare, ed anche più forte, esprime una stanchezza maggiore: “sono veramente stufo”: potete ascoltare molto spesso questa espressione in Italia.

Inoltre “stanco”, e la “stanchezza” si usano, sono più usate per indicare la stanchezza fisica. Se andate a fare una corsa a piedi, o in bicicletta, al vostro ritorno potete dire che siete molto stanchi , ma non potete dire che siete stufi, o che vi siete stufati, perché se dite che vi siete stufati vuol dire che non volete più andare a correre, che vi siete stufati della bicicletta ad esempio. Se invece dite “sono stanco” vuol dire che fisicamente la corsa vi ha reso stanchi, vi ha stancato.

Quindi “sono stufo di questa situazione” equivale a “ne ho abbastanza di questa situazione”. Voglio smettere.

Bene, ora vediamo ancora un’altra espressione utilizzatissima, una esclamazione che non ha bisogno di aggiungere nessun’altra parola; è già abbastanza chiara e forte così com’è. L’espressione è: “Non ne posso più!”. Non ne posso più vuol dire “basta!” quindi è anch’essa un’esclamazione. Se vogliamo non ne posso più è una frase che sintetizza una frase più lunga, come ad esempio “non posso più proseguire”, “non posso più andare avanti”. “Non ne posso più” è più breve, più concisa, più secca come esclamazione, come se si volesse accorciare la frase perché si è stanchi persino di sprecare parole a riguardo: “Non ne posso più!”. Anche qui il “ne” si riferisce alla cosa della quale siete stufi, alla cosa di cui ne avete abbastanza. Se dite “non ne posso più!” e non aggiungete altro, potete farlo, ma vuol dire che è già chiaro di cosa stiate parlando. Altrimenti potete anche dire: “non ne posso più… della mia macchina”, ad esempio, o “non ne posso più di lavare i piatti” o “non ne posso più di studiare la grammatica”.

“Non ne posso più di questi esami universitari”. Ecco, se non ne potete più dei vostri esami universitari non è un buon segno, perché faticherete a finirli e quindi faticherete a laurearvi; anche a me è capitato di non poterne più dell’università.

Quindi finora abbiamo visto le espressioni più usate:

– “basta!”;

– “ne ho abbastanza!”;

– “non ne posso più!”

– “la misura è colma”

Come dicevo prima potete anche utilizzare i verbi sopportare tollerare.

Ad esempio “non sopporto più” è anch’essa molto usata. “non ti sopporto più” o anche “non sopporto più una certa persona” sono ugualmente molto utilizzate, e vi capiterà spessissimo di ascoltare queste espressioni in dialoghi, conversazioni informali, davanti alla macchina del caffè, tra amici al bar eccetera.

Invece come dicevo il verbo “tollerare” è più formale, più forbito, diciamo così. Molto usata è ad esempio l’espressione: “non sono più disposto a tollerare questa situazione”. Questa frase potreste ascoltarla in riunioni, anche importanti, in cui uno dei partecipanti manifesta il desiderio di liberarsi di una situazione spiacevole. Magari in una riunione d’ufficio ci si può lamentare del fatto che uno dei colleghi non lavori molto, non aiuti l’attività dell’ufficio, quindi uno dei collegi si potrebbe lamentare di questo e potrebbe dire al dirigente, o ad una riunione a cui partecipa anche il capo, il dirigente dell’ufficio: “non sono più disposto a lavorare a queste condizioni”, “non sono più disposto a tollerare questa situazione”.

Quindi il verbo tollerare si associa, si usa, insieme a “non sono più disposto”, cioè “non sono più disponibile”. Usando un linguaggio più familiare potrei dire: “non mi va più!”, o anche “non ho più voglia”. Ma ovviamente come saprete in un ufficio spesso si utilizzano frasi diverse.

È importante sapere che chi vuole imparare a comunicare in italiano, impari che, come immagino accada anche in altre lingue, ci sono differenze sostanziali, importanti, tra il linguaggio familiare, di tutti i giorni, dal linguaggio d’ufficio, almeno quello da usare per alcune occasioni, come durante le riunioni o quando si vuole esprimere qualche sentimento, qualche preoccupazione, o anche un semplice dissenso, quando non siete d’accordo su qualcosa. In questi caso è importante usare le parole giuste.

Per questo motivo esiste anche il corso di Italiano Professionale, che serve esattamente a questo: a spiegare la differenza tra linguaggio formale e informale, a capire quando usare un’espressione o quando usarne un’altra, più adatta al lavoro, o durante una riunione, o più adatta perché meno aggressiva eccetera.

Per chi è interessato il corso sarà disponibile a partire dal 2018, stiamo sviluppandone i contenuti giorno dopo giorno e chi ci vuole aiutare può visitare la pagina facebook dedicata al corso di italiano professionale dove ci può suggerire dei contenuti interessanti da aggiungere.

Credo che può bastare così per oggi, altrimenti ne avrete abbastanza anche di questo episodio e di italiano semplicemente.

La misura è colma per oggi, ma domani provate ad escoltare ancora questo episodio, altrimenti vi dimenticherete presto e se un giorno vi capiterà di dire basta a qualcosa, o a qualcuno, penserete:

“oddio, com’era che si diceva? Non mi ricordo più!”

Quindi seguite le sette regole d’oro, per chi non conosce le sette regole d’oro per imparare a comunicare in italiano vi invito a dare un’occhiata al sito italianosemplicemente.com e vedrete che ascoltando più volte lo stesso podcast, se il vostro livello di italiano è sufficientemente alto per comprendere almeno il senso del discorso, allora in tal caso la ripetizione dell’ascolto è una delle chiavi per comprendere sempre di più, e vedrete appunto che a forza di ripetere l’ascolto ci saranno delle parole che all’inizio non capite, ma poi, una alla volta, saranno più chiare: il contesto vi aiuterà a capire anche ciò che all’inizio non comprendevate.

Terminiamo l’episodio con un esercizio di pronuncia. Anche questo importantissimo: è la settima regola d’oro: “Parlare”. Quindi ripetete dopo di me per esercitare i muscoli e per abituarvi ad ascoltare la vostra voce, così da non avere imbarazzo o problemi psicologici quando vi capiterà di parlare con un italiano vero.

Proviamo a ripetere alcune frasi che abbiamo visto oggi:

– Ne ho abbastanza degli esami universitari.

—-

– Ne ho abbastanza di te.

—-

– Non ne posso più di questa situazione.

—-

– non ne posso più di questo caldo. Voglio l’inverno!

—-

– Basta, ora la misura è colma.

—-

– Il governo italiano deve cambiare. La misura è colma.

—-

Ciao ragazzi, alla prossima.


> Tutte le espressioni idiomatiche italiane spiegate

In zona Cesarini

Audio

Video con sottotitoli

Trascrizione

Buongiorno ragazzi. Buongiorno a tutti. Una frase veramente curiosa quella di oggi: “in zona Cesarini”. Sicuramente è una di quelle espressioni che non troverete mai in un libro di grammatica italiana, né troverete l’equivalente esatto in lingua inglese, francese eccetera. Credo che anche all’università, durante le lezioni è impossibile che possiate ascoltare o leggere questa frase.

L’espressione di oggi, che mi accingo a spiegare è una di quelle espressioni che racchiudono un pezzo d’Italia. Una di quelle espressioni che, se pronunciate da uno straniero, da una persona non nata e cresciuta in Italia, suscita sicuramente molto stupore, ed un italiano, ascoltando uno straniero che pronuncia questa espressione rimane sicuramente molto stupito, sicuramente molto meravigliato: Penserà: Com’è possibile che questa persona, straniera, conosca l’espressione “in zona Cesarini”? Evidentemente ha vissuto in Italia. Evidentemente ha passato del tempo in Italia. Questo penserà un italiano. Alla fine dell’episodio di oggi, dopo avervi spiegato il significato di questa espressione italianissima, vi farò alcuni esempi di utilizzo, vi suggerirò alcuni contesti in cui potreste utilizzare l’espressione “in zona cesarini”, anche come semplice turista.

Allora, avrete notato, se avete letto o state leggendo in questo momento la trascrizione di questo episodio, che “Cesarini” si scrive con la lettera “C” maiuscola: con la lettera iniziale maiuscola. Avrete anche notato che se provate a cercare su un dizionario italiano online, la parola “Cesarini” i dizionario vi riporta non ad una parola comune, ma ad una persona, al cognome di una persona.

Ebbene sì. “Cesarini”, con la “C” maiuscola è una persona. In particolare è un calciatore. Troverete più persone che si chiamano Cesarini di cognome su internet, ma quando si parla di “zona Cesarini” si sta parlando di Renato Cesarini, un calciatore, cioè giocatore di calcio, che giocava in Italia nel secolo scorso.

renato_cesarini-chacarita-1936
Renato Cesarini

Renato Cesarini è il suo nome e cognome, e questo giocatore giocava con la squadra della Juventus. La conoscete tutti la Juventus, detta anche “Juve”. Ebbene questo calciatore nel 1931, in una partita tra Italia ed Ungheria, precisamente il 13 dicembre 1931, segnò, realizzò un gol, fece un gol, al minuto numero novanta, al novantesimo minuto, cioè all’ultimo minuto della partita.

Questo giocatore, a dire il vero, molto spesso segnava nei minuti finali di una partita: gli era successo più volte di realizzare diversi gol nei minuti finali di partita, anche se si trattava sempre di gol decisivi ai fini del risultato, cioè non tutti questi gol sono stati importanti, importanti nel senso che la partita è stata vinta grazie al gol di Renato Cesarini. Questo fatto, il fatto di segnare negli ultimi minuti, gli era successo molte volte quindi, anche contro avversari di rango, cioè molto forti, come Napoli e Torino ad esempio. Nel calcio, come in tutti gli sport, gli avversari “di rango” sono gli avversari più forti, sono gli avversari più “blasonati”, più difficili da battere. Si dice anche così: blasonati, cioè che hanno un blasone. Il blasone è simbolo di nobiltà. Questa è l’origine del termine blasone. Ma nello sport chi ha un blasone, chi è blasonato, o la squadra blasonata, è la squadra che ha vinto molti titoli. Il Barcellona e la Juventus sono due squadre blasonate quindi, e sono due squadre di rango.

Quindi tornando a Cesarini, a Renato Cesarini, dopo quel gol realizzato contro l’Ungheria, nel 1931, divenne famoso per essere un calciatore che segna sempre nei minuti finali, che fa sempre gol nei minuti finali di una partita. Ebbene? Allora? Cosa c’entra con l’espressione “in zona Cesarini?”

Cos’è la “zona Cesarini”?

Succede molto spesso che una espressione, anche se nasce in uno specifico contesto, può finire per essere applicata anche ad altri contesti, e così l’espressione “zona Cesarini” finì per essere applicata anche ad altri sport, per indicare fatti, avvenuti, o situazioni avvenute all’ultimo momento, in extremis.

Si parla di “zona” perché col termine zona si vuole indicare un periodo temporale, un arco di tempo, si vuole indicare “l’ultimo momento possibile”. Si dice anche “area Cesarini”.

Quindi la zona Cesarini, o l’area Cesarini, è l’ultimo momento; l’ultimo momento utile per fare qualcosa, ed in particolare per porre rimedi, per rimediare, cioè per risolvere una questione, un problema. Solitamente la parola zona invece si riferisce allo spazio: una zona è solitamente un’area di terreno, e si misura in metri quadri, non in tempo. In tal caso invece si indica una porzione di tempo, un preciso periodo, e precisamente la fine di un periodo di tempo.

Normalmente si dice “in extremis”, per esprimere lo stesso concetto, come ho detto anche prima. È la stessa cosa. In zona Cesarini significa esattamente “in extremis”, “all’ultimo momento”.

Quel gol di Renato Cesarini fece sì che l’Italia vincesse tre reti contro due contro l’Ungheria, in una partita valida per la Coppa Internazionale, una competizione che ora non si svolge più. Si è svolta per sei volte nel passato e queste sei edizioni si disputarono dal 1927 al 1960. La Coppa Internazionale È stata la prima competizione per squadre nazionali di calcio disputata in Europa. Ora ci sono, come sapete, i campionati Europei di Calcio.

Vediamo qualche esempio di utilizzo dell’espressione “zona Cesarini”. Potete usare queste espressione in qualsiasi contesto, ma fondamentalmente solo nella forma orale. Non viene usata, se non in articoli giornalistici, nella forma scritta.

Immaginiamo che siate un turista, un turista che viene in Italia e che viene a Roma ad esempio. A Roma ad esempio andate a visitare il Colosseo, e scoprite scopre che l’orario di visita del Colosseo, l’orario in cui è possibile visitare il Colosseo, vederlo cioè dal suo interno, sta per terminare. Siete l’ultima persona del giorno che entra nel Colosseo. Siete molto fortunato, e quindi potreste dire quindi alla persona che gli dà il biglietto “meno male, ce l’ho fatta in zona Cesarini!”.

Vedrete la reazione della persona che sta di fronte a voi: come minimo sgranerà gli occhi: cioè allargherà gli occhi in segno di stupore; sarà stupita, sarà meravigliata, perché avete utilizzato l’espressione “in zona Cesarini”. Penserà forse che siete italiana, o che avete vissuto in Italia per un po’ di tempo.

La stessa cosa la potete usate al ristorante. Se decidete di cenare molto tardi, ad esempio alle 10.30 di sera, magari perché avete visitato Roma o avete passeggiato per le vie del centro, troverete sicuramente dei ristoranti aperti, ma alcuni ristoranti a quell’ora stanno per chiudere. È tardi per cenare, e probabilmente a quell’ora, alle 10.30 di sera,  è più facile che troviate aperti pub, birrerie, che vi possono comunque preparare delle cose da mangiare. Se entrate in un classico ristorante e chiedete: “ è possibile cenare?”. Il proprietario, o il cameriere, potrebbe rispondervi: “stiamo quasi per chiudere, ma entrate pure siete arrivati in zona Cesarini”. Se si accorge che siete degli stranieri sicuramente non userà questa espressione. Anche voi però potreste usare questa espressione: potreste chiedere: “si può entrare in zona Cesarini?”, “cioè “si può entrare anche se siamo arrivati all’ultimo momento?” “anche se siamo arrivati in extremis?”.

Avete capito quindi che la zona cesarini non è una zona fisica, un’area, ma è un periodo di tempo.

“in zona cesarini” è una espressione usata in tutta Italia, assolutamente innocua, usata da tutti. Non abbiate paura quindi di utilizzarla. Per memorizzarla velocemente il trucco lo sapete: dovete ripetere e dovete collegarla a delle emozioni.

Ora faremo un esercizio di ripetizione, mentre riguardo alle emozioni potete provare ad andare su facebook, e scrivere una frase che contiene questa espressione. Magari avrete delle reazioni, dei commenti che agiranno sulle vostre emozioni facendovi ricordare meglio questa frase.

Facciamo ora l’esercizio di ripetizione. Repetita iuvant.

Zona Cesarini

Zona Cesarini

In zona Cesarini

In zona Cesarini

Sono arrivato in zona Cesarini

….

Scusate se arrivo in zona Cesarini

Mi sono salvato in zona Cesarini.

Bene ragazzi, spero che tutto sia chiaro, spero di essere riuscito a spiegare per bene questa espressione. Per conoscere la spiegazione di altre frasi idiomatiche basta andare sulla home page del sito Italianosemplicemente.com e cliccare su “livello intermedio”, lì troverete molte espressioni italiane di suo comune che in nessun libro però riuscirete a trovare né un suo utilizzo, tantomeno una spiegazione.

Vi lascio alla sigla finale, anche perché devo andare a fare la spesa al supermercato e spero di riuscire ad arrivare in tempo prima della chiusura. Se ce la farò, arriverò sicuramente in zona Cesarini, altrimenti, niente cena…

……..

> Tutte le frasi idiomatiche

 

Fare i conti senza l’oste

tutte le espressioni idiomatiche spiegate

Audio

La domanda:


La spiegazione:

Trascrizione

La domanda di Manal (Algeria): ciao Gianni, vorrei sapere il significato dell’espressione: “fare i conti senza l’oste”. Non sono riuscita a trovare nulla su internet

La spiegazione

Buongiorno ragazzi. Oggi vediamo l’espressione idiomatica italiana “fare i conti senza l’oste”, e ringrazio Manal, una ragazza algerina, e più precisamente della città di Shief. Manal studia italiano nell’università di Blida. Spero di aver pronunciato bene tutti i nomi. Manal ha detto di non aver trovato su internet la spiegazione di questa frase.

Bene allora vediamo un po’ se ce la faccio a farvi capire il significato dell’espressione.

Fare i conti senza l’oste. Dunque cos’è “fare i conti”? Per capire occorre spiegare cosa sono i conti. I conti si fanno in matematica. Si prende una calcolatrice, oppure si scrive su un foglio di carta. Quanto fa due virgola tre più tre virgola uno? Facciamo i conti e vediamo quanto fa, vediamo il risultato di questa operazione facendo i conti. I conti è un termine, una parola generica; nello specifico esistono le operazioni matematiche: addizione, sottrazione, moltiplicazione e divisione. In generale si dice: fare delle operazioni, oppure ancora più in generale, si dice fare i conti. In senso matematico quindi, questa espressione si usa al ristorante, in pizzeria, ad esempio: mi fa il conto per favore? In questo caso si usa al singolare: il conto. Per “fare il conto”, il proprietario del ristorante deve fare i conti, deve vedere quello che si è mangiato, fare le singole addizioni e vedere il risultato. Il risultato è il conto, il conto del tavolo.

La cameriera, che serve ai tavoli, potrebbe chiedere al proprietario: “mi fai il conto del tavolo numero due per favore?

Quindi i conti si fanno per calcolare un risultato. Ma in realtà “fare i conti”, l’espressione “fare i conti” è usata in senso più ampio; si può utilizzare non solo al ristorante, in pizzeria eccetera, ma anche quando ci sono delle questioni da chiarire tra due persone. Se ci sono due persone ad esempio che devono ancora concludere una discussione, o hanno avuto una trattativa, ed una delle due persone crede che ancora questa discussione, questa trattativa non sia terminata, perché crede magari che finora non si sia detto tutto e occorre, bisogna terminare la discussione per ristabilire un equilibrio, allora questa persona che si sente in credito, che crede di averci rimesso finora, vuole fare i conti, vuole ristabilire il giusto, un giusto equilibrio, come è giusto che sia, secondo lui.

Se ad esempio un bambino fa un capriccio, fa una cosa che non deve fare, una cosa grave che fa arrabbiare la mamma, la mamma potrebbe dire al telefono a suo figlio:

“appena torno a casa facciamo i conti!”

Ed il bambino probabilmente avrà paura del ritorno della mamma, che vuole fare i conti con lui.

Bene, spero sia chiaro finora. Questo è uno dei significati di “fare i conti”.

osteria

A noi interessa di più però il primo significato, quello di fare i conti al ristorante. Perché “l’oste” è la persona proprietaria non di un ristorante, ma di una osteria. L’oste è il proprietario, oppure colui che gestisce l’osteria. L’osteria è un locale simile al ristorante, ma si serve prevalentemente, cioè quasi esclusivamente, del vino. È quasi come una enoteca, ma si tratta di vino normale, di vino spesso prodotto dallo stesso proprietario, cioè dallo stesso oste, mentre nell’enoteca si vendono diversi tipi di vino. Nell’osteria quindi si beve il vino dell’oste e spesso si può anche mangiare qualcosina, si può fare qualche piccolo spuntino. Lo spuntino è qualcosa di leggero da mangiare velocemente, come uno snack.

Ok quindi l’oste, il gestore dell’osteria vi porta il vino, e normalmente è anche colui al quale si paga dopo aver bevuto il vino. Ebbene è lui che fa i conti; è lui che scrive su un pezzo di carta quanto va pagato alla fine dal cliente. Non si possono fare i “conti senza l’oste”.

Quindi il cliente non può fare i conti da solo, ma li deve fare l’oste.

Chi fa i conti senza l’oste rischia di sbagliarli. Avrete certamente intuito che “fare i conti senza l’oste”, questa locuzione, questa frase idiomatica viene detta a un soggetto che è abituato a prendere decisioni affrettate, che non tengono conto delle volontà altrui e anche di un eventuale rifiuto.

Quindi non è una frase che si utilizza solamente in osteria, ma in tutte le situazioni in cui qualcuno prende decisioni senza tener conto di tutto, soprattutto della volontà di altre persone, del parere di altre persone coinvolte nella decisione. È quindi una frase che si utilizza anche in ambito lavorativo: non è una frase volgare, niente affatto! Si tratta di una espressione molto utilizzata anche in ambienti importanti. Infatti è chiara, fa subito capire cosa si vuole dire, perché se si pronuncia è scontato, si dà per scontato chi sia l’oste in questione.

Se ad esempio sono in una azienda e decido, come presidente, di spostare il luogo di lavoro di alcuni miei dipendenti, senza particolari motivi e soprattutto senza consultare i sindacati dei lavoratori, allora posso dire che sto facendo i conti senza l’oste, perché avrei dovuto consultate l’oste, che in questo caso sono i sindacati, che potrebbero impedire che senza le giuste motivazioni si trasferiscano, si spostino le sedi di lavoro dei lavoratori.

Analogamente se sono l’allenatore di una squadra di serie A italiana e decido di acquistare Lionel Messi, perché credo che sia una giocatore fondamentale per vincere lo scudetto in Italia, allora telefono a Messi, oppure chiamo il suo procuratore, e preso dall’entusiasmo avverto anche i giornali sportivi italiani del prossimo acquisto, di acquistare Messi.

Ma come allenatore ho dimenticato di avvertire l’oste, che in questo caso è il presidente della mia squadra, colui che presumibilmente dovrà pagare l’acquisto di Messi. Ho preso una decisione affrettata. Ho fatto i conti senza l’oste.

Spero, cara Manal, di averti chiarito il dubbio e di averlo chiarito a tutti gli ascoltatori. Non abbiate paura di usare questa espressione perché è assolutamente innocua. È universale e sempre utilizzabile, anche, come ho detto, nel lavoro. A proposito di lavoro, questa è una delle frasi che verrà utilizzata anche nel corso di Italiano Professionale, in preparazione, corso al quale potete già iscrivervi per richiedere di essere avvisati non appena sarà disponibile. Basta cliccare sul link che inserisco all’interno del podcast. In alternativa potete andare sul sito italianosemplicemente.com e cercare “italiano professionale”. Troverete lì il link per richiedere di essere avvisati non appena inizierà il corso.

Ora vediamo di esercitare la pronuncia. Ripetete dopo di me, è importante, anche qualcuno se non ha ben capito tutte le frasi all’interno di questo episodio. La ripetizione è importante perché parlare è parte della comunicazione, ed è anche una delle regole che usiamo in Italiano Semplicemente: la settima ed ultima regola.

Ripetete dopo di me e state attenti alla vostra pronuncia:

Fare i conti senza l’oste

—–

L’oste

Fare i conti

—–

Fare i conti senza l’oste

—–

Fare i conti senza l’oste

—–

Fare i conti senza l’oste

—–

Un ultima volta:

Fare i conti senza l’oste

—–

Bene, è tutto per oggi. Ascoltate questo episodio più volte per esercitarvi, fatelo senza stress, con calma, fatelo molte volte e vedrete che riuscirete a farlo in modo sempre più facile. Non dimenticate la fase di ripetizione, e se andate al ristorante, mi raccomando, non fate i conti senza l’oste!

Grazie Manal, ciao a tutti.


tutte le espressioni idiomatiche spiegate

Ci tengo a te

Audio

Descrizione

Vediamo le espressioni usate per esprimere un sentimento di amore o affetto.

Trascrizione

Buongiorno ragazzi. Oggi vediamo tutti i modi per dire “ti voglio bene”. Quanti modi ci sono in italiano? Vedremo che la fantasia non manca agli italiani, in questo caso, soprattutto in campo amoroso direi!

Ho provato a sottoporre la questione su Facebook, ed ho avuto un riscontro molto positivo.

ci_tengo_a_te

Tutto è nato da un messaggio che mi è arrivato, su Messenger, dove un amico di Facebook mi chiedeva: cosa significa “ci tengo a te”. Cominciamo quindi a spiegare questa frase. Poi vediamo la fantasia di coloro che hanno risposto alla mia domanda fino a che punto si è spinta.

Una cosa a cui non avevo pensato, in effetti, è che non è facile, non è immediato almeno, comprendere questa brevissima espressione. “Ci tengo a te”.

“Ci tengo a te” è uno dei tanti modi di dire “ti voglio bene”. “Ci tengo a te” è l’abbreviazione di “io ci tengo a te”. Quindi il soggetto, colui che compie l’azione è il sottoscritto, io, cioè chi parla, e chi parla “ci tiene” alla persona che ha di fronte, che sta davanti. “Io ci tengo a te”.

Tenere è il verbo utilizzato: tenere significa trattenere, “to keep” in inglese, o anche “to have”, dipende. Tenere significa avere in mano oppure avere tra le mani; stringere qualcuno o qualcosa con le mani, avere tra le braccia o in altro modo perché non cada, perché non si muova, perché non fugga dalla presa. Questo è tenere.

Ma tenere ha molti altri significati. “Tenere a qualcuno” vuol dire voler bene a questa persona, tanto da, avere difficoltà a lasciarla andare. Se una persona ci tiene ad un’altra persona, vuol dire che la vuole con se, le vuole bene, ci tiene.

La stessa frase “ci tengo”, senza aggiungere altro, ma solo “ci tengo”, significa che per me è importante, senza specificare cosa è importante.

Al lavoro potrei dire: “Mi fai questo lavoro per favore? Ci tengo molto!

E quindi posso anche “tenere a qualcuno”. Attenzione perché l’uso della preposizione semplice “a” è molto importante. Vediamo un esempio di come usare la frase “tenerci a qualcuno”:

Io ci tengo a te!

Tu ci tieni a me!

Lui ci tiene a te!

Noi ci teniamo a te!

Voi ci tenete a lui!

Loro ci tengono a te!

Vedete quindi che è sempre presente, oltre alla preposizione semplice “a”, la parolina “ci”.

“Ci” è un avverbio, si chiama così, ma non ce ne frega niente, poiché quello che interessa è come si usa.

“ci” si usa in moltissime circostanze diverse in realtà, ed in questo caso la sua funzione è quella di rafforzare la frase, dare più forza alla frase, infatti potrei anche togliere l’avverbio “ci” in questo caso: potrei anche dire “io tengo a te”, “tu tieni a me” eccetera. In questo caso il significato non cambia ma è meno forte. Questa forma, senza “ci” si usa maggiormente in ambito formale, al lavoro ad esempio: “se tenessi al tuo lavoro, arriveresti puntuale!”, solo per fare un esempio.

Potete quindi dire “io tengo a te”, o anche “tengo molto a te”, senza “ci”, ma attenzione, perché se togliete il “ci” dovete specificare cosa: non potete dire “io tengo”, perché il “ci” ci deve stare, perché serve a sostituire la cosa di cui state parlando: cioè “te”, la persona alla quale si tiene, ad esempio.

Tengo molto a te” è quindi un bel modo di dire “ti voglio bene”. Si può dire anche ad un amico, quindi è più universale di “ti amo”, che invece si applica solamente all’amore romantico, quello per il proprio partner.

È comunque meno usato di “ti voglio bene”, che si usa sempre, con qualunque persona sia importante per te.

“Ci tengo” invece si applica anche alle cose: posso tenere al mio lavoro, posso tenere al mio orologio, alla mia automobile eccetera.

Voler bene si usa solamente con le persone, quindi amanti, figli, genitori, amici, al limite si può voler bene agli animali domestici, ma non si usa con altre cose: non si usa dire “voglio bene al mio lavoro”, se non in circostanze particolari.

Vediamo altri modi diffusi in Italia per dire: “Ti voglio bene”.

Renato ne suggerisce qualcuno: “Abiti dentro del mio cuore” scrive Renato per primo. In realtà si dovrebbe dire “abiti dentro il mio cuore”. Non credo di averla mai sentita utilizzare caro Renato, ma potrebbe sicuramente far effetto a chi ascolta la frase, senza dubbio.

“Senza te, non sono niente”: questa è la seconda frase di Renato. Si può dire, bravo Renato! E di sicuro non può lasciare indifferente. Tra le frasi proposte in realtà non ci sono frasi normalmente utilizzate, ma di indubbia fantasia: “Sei l’aria che respiro”, “Sei l’ossigeno per me”, “Sei il sangue che corre sulle mie vene”, “Sei la mia allegria di vivere”.

Probabilmente la più utilizzata tra quelle proposte da Renato è “Sei la mia fonte di ispirazione”, ma questa frase possono pronunciarla prevalentemente gli artisti e coloro che vivono di ispirazione.

Comunque poi c’è Anna Maria propone “sei il caffè della mia colazione”. Ed Anna Maria ha tenuto a specificare che il caffè è vita per lei.

Nabil propone invece una frase più sobria: “Sei la mia vita, Sei il mio tesoro”. Sicuramente sono entrambe molto utilizzate perché brevi e, diciamo, molto intense.

Lidia invece propone la frase: “IO TI VOGLIO BENE DAVVERO” scritta in caratteri maiuscoli. In effetti la frase “ti voglio bene” è talmente tanto utilizzata che è facile ascoltarla; tutti la possono pronunciare. Quindi dicendo “io ti voglio bene”, ed aggiungendo “davvero!” vuol dire: io non sono come gli altri, io sì che ti voglio bene, io sto dicendo la verità, il mio è un vero sentimento.

Sono stupito che nessuno mi abbia detto la frase “sono pazzo di te”, utilizzatissima come frase in ambito amoroso.

Credo che ci siano anche altre frasi veramente molto utilizzate, vale la pena citare anche delle forme più attenuate, nel senso che ci sono diversi livelli di amore, diverse intensità. Posso amare intensamente o posso anche essere semplicemente interessato ad una persona.

Mi viene in mente la frase “mi interessi!”, o anche “sono interessato a quella ragazza” che manifesta l’intenzione di chi parla nel voler conoscere meglio quella persona, perché attraente, bella, o intelligente.

Se un ragazzo o una ragazza vi dice “mi interessi” vuol dire che gli piaci, o che le piaci: anche se non ti conosce molto bene questa persona è interessata a te. Non è ovviamente ancora amore.

Mi piaci” è generale, si usa spessissimo, ed è un po’ di più di “mi interessi”. Se piaci ad una persona generalmente questa persona ti conosce.

Si usa spesso dire “mi piaci un sacco”, più diffuso di “mi piaci molto”, perché il “mi piace molto” è più adatto agli oggetti, o anche alle vacanze (Roma mi piace molto, l’Italia mi piace molto) ma in realtà si usano entrambi i modi verso una persona: diciamo che “un sacco” è più giovanile.

Comunque anche il “mi piaci” non è vero amore, solamente un po’ di più di un semplice interesse.

Ancora più intenso di “mi piaci” è “ti adoro”. Però per poter dire “ti adoro” ad una persona dovete conoscere molto bene questa persona, non potete certo dirlo ad una persona sconosciuta o che avete conosciuto da poco tempo: dovete conoscerla bene, a fondo, e dovete aver avuto modo di apprezzarne le qualità.

Ti adoro, tra l’altro si dice in occasioni particolari, quando questa qualità che voi apprezzate viene fuori, quando questa qualità emerge con chiarezza e per l’ennesima volta.

Se il vostro fidanzato vi porta sempre i fiori, sapendo che a te piace molto, dopo tre o quattro volte potete dirgli: “ti adoro”, che vuol dire “amo questo tuo atteggiamento”, “amo questa tua attenzione verso di me”, “mi piace questo tuo modo di fare”.

Delle frasi simili a “ti adoro” sono: “mi fai impazzire!”, oppure “mi fai morire!” o anche “sei speciale”, “sei meravigliosa!”

Poi c’è tutto un insieme di frasi che più che amore esprimono attaccamento. La frase più semplice di questo tipo è “mi manchi” (I miss you), ma se volete esagerare, ma state attenti perché rischiate di attaccarvi troppo e di far anche impaurire la persona a cui vi rivolgete, potete dire ad esempio “non riesco a fare a meno di te!”, che non è esattamente come “mi manchi”, più romantica come frase. A chi ama l’amore esclusivo e molto passionale farà sicuramente piacere, ma in generale chi non riesce a fare a meno di un’altra persona ha un attaccamento che ha a che fare con l’egoismo più che con l’amore. Chi ama veramente non dovrebbe dipendere: “l’amore non è dipendenza ma libertà”, dicono gli psicologi.

Meglio che la finiamo qui per oggi. Grazie a tutti coloro che hanno dato il loro contributo. Un saluto da Giovanni.


>> Tutte le frasi idiomatiche

Fare cilecca

Audio (scarica)

Video con sottotitoli

Fare cilecca

Oggi ragazzi vediamo il significato della frase “fare cilecca”. 
Vi ringrazio di essere all’ascolto di questo episodio di italiano semplicemente.
Fare cilecca è una delle tante espressioni italiane che utilizzano il verbo fare.

A memoria mi viene in mente “fare di tutta l’erba un fascio“, poi c’è anche “fare baracca e burattini“, oppure anche “farla franca“, e tante altre espressioni. Nel corso del tempo vedremo tutte queste espressioni di uso quotidiano, basta avere un po’di pazienza.
Fare cilecca credo sia abbastanza semplice da spiegare. Il significato, o meglio uno dei significati dell’espressione fare cilecca è “mancare il bersaglio” .

Quindi fare cilecca si usa ogni volta che qualcuno deve riuscire a centrare un bersaglio ma non ci riesce. Si dice che, in questo caso, questa persona ha fatto cilecca. Il bersaglio è ciò che voi volete colpire, è il vostro obiettivo.
Questo è ovviamente il senso proprio della frase, che si applica alle armi da fuoco. Quando si prova a sparare con una pistola oppure con un fucile, e si cerca di colpire un bersaglio, se si manca il bersaglio, colui che spara ha fatto cilecca.

Fare cilecca è mancare il bersaglio. Si dice così. C’è però un secondo significato: se la pistola o il fucile non spara, non riesce a far partire il colpo, perché l’arma non funziona per qualsiasi motivo, se cioè l’arma da fuoco si inceppa, per cattivo funzionamento, si dice che l’arma ha fatto cilecca. In questo caso è l’arma da fuoco che ha fatto cilecca. Quindi a fare cilecca può essere colui che spara, se manca il bersaglio, o anche la stessa arma da fuoco, se per qualche motivo si inceppa.
Quando l’arma si inceppa, l’arma fa cilecca. Il verbo inceppare, non so quanti di voi lo conoscano, si usa con riferimento all’arma. Quando l’arma si inceppa, fa cilecca.

Ad esempio il grilletto della pistola si incastra, perché magari è poco oleato, perché c’è poco olio, quindi il grilletto è poco lubrificato e quindi si inceppa, si incastra e l’arma non spara.
Questo è il senso proprio della frase, che è abbastanza semplice.

C’è un senso figurato, ovviamente, anche in questa frase idiomatica, ed il senso figurato è molto simile comunque a quello proprio.
Infatti ogniqualvolta che c’è un fallimento, ogniqualvolta qualcosa non funziona come dovrebbe, proprio quando dovrebbe funzionare invece, allora possiamo dire che questa cosa ha fatto cilecca.

Non è detto che si tratti di una pistola quindi, ma anche di un qualsiasi strumento che ad un certo punto non funziona. Attenzione perché non si tratta di un non funzionamento permanente, ma temporaneo: c’è uno strumento che solitamente funziona sempre, ma ad un certo punto non funziona più e poi magari funziona nuovamente. Non si tratta quindi di una rottura, cioè di uno strumento c’è si rompe, ma di un cattivo funzionamento, temporaneo.
Facciamo qualche esempio.
Si dice spesso, in ambito sentimentale, anzi in ambito propriamente sessuale, che un uomo può fare cilecca con una donna. Può capitare. Capita più o meno a tutti gli uomini, prima o poi, di fare cilecca con una donna.

Cosa significa?

Significa che qualcosa non funziona, qualche cosa, che solamente non dà problemi, ogni tanto non funziona. In questo caso lo strumento che non funziona è l’uomo, o meglio, quella parte dell’uomo, che è la più importante nell’attività sessuale.

Può essere per stranezza, può essere per emozione, può essere per eccessivo entusiasmo, o anche per stress. Insomma l’uomo può fare cilecca, e la probabilità di fare cilecca per l’uomo cresce con l’aumentare dell’età.

Più l’era aumenta, più l’uomo invecchia, maggiore è la probabilità che un uomo faccia cilecca con una donna. Questo è probabilmente il modo più comune di usare la parola cilecca nel linguaggio comune.

Naturalmente cilecca è un termine informale, assolutamente sconsigliato in occasioni di lavoro o in ufficio, e il motivo è che come dicevo prima, è un termine utilizzato perlopiù in ambito sessuale. Basta fare una ricerca su internet e vedrete quali saranno i risultati della vostra ricerca.

Ci sono comunque altri ambiti di utilizzo della parola cilecca. Posso dire ad esempio che una gamba ha fatto cilecca. Ad esempio: la gamba mi ha fatto cilecca e sono caduto per le scale. La gamba ha fatto cilecca, cioè non ha funzionato a dovere.

Normalmente la mia gamba non ha problemi, ma in quella occasione mi ha fatto cilecca e sono caduto dalle scale, magari perché ho mancato il gradino, sono scivolato eccetera.

Prima ho detto che la gamba non ha funzionato a dovere. Quando qualcosa non funziona a dovere vuol dire che non funziona bene, che non fa il suo dovere, che non fa ciò che dovrebbe fare, cioè il suo dovere. Quindi quando qualcosa non funziona a dovere e questo è un problema temporaneo, allora questa cosa ha fatto cilecca.
E a voi, amici uomini, è mai capitato di fare cilecca con una donna? Spero che in quell’occasione la vostra donna sia stata comprensiva con voi.

Spesso accade che in quelle circostanze le donne credano che sia colpa loro, credono di essere loro le colpevoli della défaillance del loro partner, ed invece sappiate che non è mai questo il motivo. Sappiate che, mi rivolgo alle donne che ascoltano, non è colpa vostra o del fatto che non siete abbastanza attraenti.

Può capitare.

Certo che se capita molto spesso non si può più parlare di cilecca ma di problema. Un problema da risolvere senza dubbio.
Esercizio di ripetizione ora. Ripetete dopo di me, state attenti alla pronuncia. In particolare state attenti alla doppia c.
Cilecca
…..
Cilecca
…..
Io ho fatto cilecca
…..
Tu hai fatto cilecca
…..
La mia gamba ha fatto cilecca
….
Noi abbiamo fatto cilecca
…..
Vi avete fatto cilecca
…..
Loro hanno fatto cilecca
….
Adesso al futuro.
Spero che domani non farò cilecca
…..
Spero che domani ti non farai cilecca
…..
Spero che la gamba non mi farà cilecca
….
Noi faremo cilecca
….
Voi farete cilecca
….
Essi faranno cilecca
…..
Cari amici anche questo episodio volge al termine, spero vivamente di essere stato chiaro e che ora non abbiate più alcun dubbio sul significato della frase “fare cilecca“.

Un’espressione simile è: “andare in bianco

– – – – –

Donazione personale per italiano semplicemente

Se vuoi e se puoi, aiuta Italiano Semplicemente con una donazione personale. Per il sito significa vita, per te significa istruzione.

€10,00

Scongiurare un pericolo, Dio ce ne scampi e liberi

Audio

Video con trascrizione

Descrizione

Vediamo le espressioni usate per allontanare un pericolo, sia in modo serio che scherzoso.

  • Scongiurare un pericolo
  • Dio ce ne scampi e liberi
  • Per carità
  • Dio ce ne guardi
  • Per l’amor di Dio

Trascrizione

Buongiorno amici. Buona giornata a tutti gli amici di Italiano Semplicemente.

Oggi per la sezione frasi idiomatiche, spieghiamo un’espressione idiomatica italiana. L’espressione è “Scongiurare un pericolo”. Non è in realtà una vera espressione idiomatica, perché il verbo scongiurare si applica praticamente soltanto al “pericolo”. Quindi l’espressione ha soltanto un senso proprio. Spiegare la frase di oggi, in realtà equivale a spiegare il verbo “scongiurare”. Con l’occasione però vedremo una frase idiomatica, oggi, collegata al verbo scongiurare, quindi collegata alla frase “scongiurare un pericolo”. La frase idiomatica che vediamo e che è collegata alla frase “scongiurare un pericolo” è la seguente: “Dio ce ne scampi e liberi”.

Quindi vedremo due frasi oggi: “scongiurare un pericolo” e “Dio ce ne scampi e liberi”.

Dunque, cosa significa “scongiurare un pericolo”? Sapete tutti cos’è un pericolo? Un pericolo è una cosa pericolosa! Un pericolo è una cosa che può accadere, e che ci potrebbe far male, ci potrebbe procurare un danno, ci potrebbe procurare un dolore, ci potrebbe nuocere. Questo è un pericolo: se una cosa porta del pericolo, vuol dire che questa cosa è pericolosa. Una cosa pericolosa è una cosa che può procurarci del male, che può procurarci qualcosa di negativo. Questo è il pericolo. Scongiurare un pericolo: come dicevo prima il verbo “scongiurare” si applica praticamente soltanto con il pericolo.

Scongiurare è un verbo. Vi ho detto che il pericolo che si riferisce a delle cose che possono accadere, ma queste cose posso anche non accadere. Quindi una circostanza negativa può verificarsi oppure può non verificarsi. Se si verifica questa circostanza negativa, questo pericolo diventa un fatto negativo, se invece non si verifica abbiamo scongiurato un pericolo. Quindi scongiurare un pericolo significa semplicemente fare in modo che una cosa negativa non si verifica.

Ad esempio l’altro ieri c’è stata la partita Italia-Germania, vinta dalla Germania ai calci di rigore. Sto parlando dei quarti di finale dei campionati europei di calcio 2016, Italia e Germania sono due squadre molti forti. Quindi la Germania rappresentava un pericolo per l’Italia, così come l’Italia rappresentava un pericolo per la Germania. Ebbene l’Italia non è riuscita a scongiurare il pericolo Germania. La Germania, dal canto suo, invece, è riuscita a scongiurare il pericolo Italia. L’Italia quindi non è riuscita a scongiurare il pericolo Germania, la Germania invece è riuscita a scongiurare il pericolo Italia.

Quindi scongiurare è il verbo che si usa in questi casi, quando si vuole evitare che qualcosa di negativo diventi un pericolo. Scongiurare è molto simile al verbo “giurare”, ma non ha niente a che vedere col verbo giurare. Infatti giurare significa promettere, promettere solennemente, cioè promettere con forza. Giurare è un verbo che si applica soprattutto alle cose a cui teniamo molto: ad esempio si dice “giuro sui miei figli”. Vuol dire che sto dicendo la verità, prometto che sto dicendo la verità: giuro sui miei affetti più cari, giuro sulle cose a cui tengo di più, giuro sui miei figli, cioè prometto solennemente che sto dicendo la verità, vi prometto che non sto dicendo una bugia, vi prometto che non sto mentendo: “giuro sui miei figli”. Quindi giurare significa promettere, scongiurare invece ha a che fare con i pericoli: non c’entra nulla col verbo “giurare”.

La frase idiomatica collegata all’espressione “scongiurare un pericolo” è invece, come vi avevo accennato prima, la frase “Dio ce ne scampi e liberi”.

“Dio ce ne scampi e liberi” è un’espressione idiomatica, una frase cioè una cosa che si dice quando si è in pericolo. Quindi “Dio ce ne scampi e liberi” contiene la parola “Dio”, di conseguenza è una richiesta di aiuto a Dio. Si chiede a Dio di liberarci di qualcosa: di liberarci dal pericolo, di liberarci da questa circostanza negativa che vogliamo scongiurare. Un evento può verificarsi oppure no: è per questo che è pericoloso; noi non vogliamo che si verifichi, di conseguenza invochiamo Dio: chiediamo a Dio che ci liberi da questa cosa, che non la faccia verificare: “Dio ce ne scampi e liberi”. Cosa significa “ce ne scampi”?

“Scampi” viene da “scampare”, e scampare è un verbo. È un verbo che, anche questo, si applica solamente ai pericoli, come scongiurare. Infatti si dice anche: “scampare da un pericolo”, che è analoga alla frase “scongiurare un pericolo”. Non è esattamente uguale però. Adesso vi spiego le differenze. Scampare significa “evitare” un pericolo. Scampare un pericolo significa evitare qualcosa che si è verificato, oppure significa evitare qualcosa che si potrebbe verificare, quindi  potrebbe essere sostituita alla frase “scongiurare un pericolo”, ma la frase “scampare un pericolo” si applica anche quando qualcosa si è già verificato. Ad esempio se c’è stato un terremoto da qualche parte, ed io sono riuscito a sopravvivere, sono riuscito a scappare, quindi non ho subito le conseguenze negative del terremoto, posso dire: “sono riuscito a scampare dal pericolo terremoto”, “sono riuscito a scampare dal terremoto”: quindi il terremoto si è verificato, c’è stato il terremoto, ma io sono scampato dal terremoto, invece se il terremoto c’è stato vuol dire che non si è riusciti a scongiurare il pericolo terremoto, perché il terremoto si è effettivamente verificato, di conseguenza non siamo riusciti a scongiurare il pericolo terremoto, però io sono riuscito a scampare dal terremoto.

Quindi queste sono le differenze. Invece “scampi” viene appunto da scampare. “Dio ce ne scampi” vuol dire “Dio ci liberi”, “Dio ci faccia sopravvivere”, “Dio faccia in modo che non si verifichi questa cosa negativa”. Posso dire “Dio ci liberi dal terremoto”, oppure “Dio ci faccia scampare dal terremoto”, cioè “Dio ci faccia sopravvivere dal terremoto”. Quindi “Dio ce ne scampi e liberi”. In questo caso “liberi” è un rafforzativo di “scampare”: cioè “Dio ce ne scampi, dal terremoto”, “Dio ci liberi dal terremoto”. Significano entrambi la stessa cosa. Dio ce ne scampi e liberi vuol dire “spero che Dio faccia in modo che questo terremoto non avvenga”, cioè “ce ne liberi”. “Dio faccia in modo di sopravvivere al terremoto”, cioè “Dio ce ne scampi”.

Quindi “Dio ce ne scampi e liberi” è una frase collegata all’espressione “scongiurare un pericolo” perché ogniqualvolta c’è qualcosa di pericoloso che vogliamo scongiurare, che non vogliamo cioè che si verifichi, possiamo dire questa frase: “Dio ce ne scampi e liberi”.

Questa è una frase che possiamo usare tra amici, tra familiari, tra conoscenti, ma è una frase che si pronuncia ogniqualvolta c’è una circostanza pericolosa, ogniqualvolta c’è un pericolo imminente, c’è qualcosa di pericoloso che sta per accadere, e noi vogliamo manifestare il nostro desiderio di allontanarci da questo pericolo, di scongiurare questo pericolo, quindi possiamo dire “Dio ce ne scampi e liberi”. Quindi ad esempio se ci sono due persone che parlano, e la prima persona dice: “ho sentito il telegiornale e dicono che domani potrebbe esserci una grande scossa di terremoto”. L’altra persona potrebbe dire: “per carità!, Dio ce ne scampi e liberi!

Quindi si dice anche “per carità!”. Per carità è un altro modo di scongiurare un pericolo: “per carità!, Dio ce ne scampi e liberi!”. Sia “per carità”, sia “Dio ce ne scampi e liberi” sono due espressioni colloquiali, sono due espressioni di tutti i giorni, due espressioni familiari, che hanno tutte lo stesso significato. Il modo più normale diciamo, più diffuso, di esprimere questo “sentimento”, di esprimere la volontà di scongiurare un pericolo è “Dio ce ne guardi”, o “Per l’amor di Dio”. Per l’amor di Dio significa “per l’amore di Dio”. Anche in questo caso si sta chiedendo l’aiuto di Dio. “Per carità” invece è una frase un po’ più corta, che però si usa anche in senso scherzoso, ogni volta che vogliamo scongiurare un pericolo. Una frase che si dice in qualsiasi circostanza, anche non necessariamente pericolosa, proprio perché vogliamo ironizzare su un fatto, su una cosa divertente che vogliamo far apparire come pericolosa. Quindi ogniqualvolta c’è una cosa anche brutta da vedere, e noi non la vogliamo vedere, possiamo dire “per carità”. Anche se c’è una cosa cattiva da mangiare, che non è buona, possiamo dire “per carità!”. Ad esempio se io amo il caffè senza lo zucchero, se una persona mi dice:

“Giovanni, vuoi un po’ di zucchero nel caffè?”, io posso dire “per carità! Per carità il caffè con lo zucchero”. Cioè: “non voglio il caffè con lo zucchero, non mi mettere lo zucchero nel caffè; non voglio il caffè con lo zucchero”; “per carità”, “per l’amor di Dio”, “Dio ce ne scampi e liberi”.

Queste quindi sono tutte espressioni che vengono utilizzate nella lingua italiana per scongiurare un pericolo, come anche “Dio ce ne guardi”.

Ovviamente tutte queste espressioni non sono formali, che si possono usare in contesti più importanti, da un punto di vista professionale, ma soltanto da un punto di vista informale, quindi potete utilizzarle con gli amici, con i vostri conoscenti, con i vostri familiari. Da un punto di vista formale posso usare altre espressioni. Quindi se ad esempio sono il capo di una azienda che viene a conoscenza della possibilità di una crisi economica, per scongiurare il pericolo della crisi economica, potrei dire, anziché “per carità”, o anziché “Dio ce ne scampi e liberi”, o “Dio ce ne guardi”, potrei dire: “spero che questa circostanza non si verifichi, sarebbe molto negativo se questa crisi economica si verificasse”. Quindi non è una frase ironica, che fa ridere.

Quando si parla in modo professionale e si vuole scongiurare un pericolo non possiamo suscitare dell’ironia ma dobbiamo parlare seriamente, e questo significa dire esattamente le cose come stanno. Se c’è una crisi economica non possiamo dire “Dio ce ne scampi e liberi”, a meno che questi colleghi di lavoro siano dei conoscenti, degli amici. Possiamo quindi dire: speriamo non accada, sarebbe una evenienza molto negativa. La crisi economica sarebbe la fine della nostra azienda. Quindi amici spero di non avervi annoiato oggi. Abbiamo quindi visto all’inizio il significato del verbo scongiurare e la frase, l’espressione “scongiurare un pericolo”. Abbiamo visto che il verbo scongiurare si applica solamente ai pericoli. Poi abbiamo visti il significato dell’espressione “Dio ce ne scampi e liberi”, quindi abbiamo visto che “Dio ce ne scampi” e “Di0 ce ne liberi” vogliono più o meno dire la stessa cosa. Poi abbiamo visto che la stessa espressione si può dire anche in differenti modi: possiamo dire “dio ce ne scampi e liberi”, possiamo dire “per carità”, possiamo dire “Dio ce ne guardi”. Possiamo anche dire “Per l’amor di Dio”. Abbiamo infine detto che queste sono espressioni utilizzate sempre in un linguaggio informale, mentre non si possono utilizzare in occasioni importanti, in riunioni di lavoro, eccetera.

Facciamo adesso il solito esercizio di ripetizione: credo che questo sia un esercizio molto importante, lo dico sempre alla fine dei miei podcast. Esercitatevi anche a parlare, perché potreste anche conoscere tutte le regole grammaticali italiane, potreste anche comprendere perfettamente un qualsiasi libro di italiano, potreste leggere qualsiasi giornale italiano senza problemi, potreste anche aver frequentato l’università di Italianistica, ma se non vi esercitate a parlare, il vostro italiano non sarà mai molto buono: è importante esercitarsi, esercitarsi fin dall’inizio, ed è per questo che vi raccomando sempre alla fine dei miei podcast di ripetere delle frasi complicate. Vi invito a farlo dopo di me, a ripetere le frasi dopo di me. Non pensate alla grammatica ma soltanto a ripetere.

Dio ce ne scampi e liberi

……

Dio ce ne scampi e liberi

……

Dio ce ne scampi e liberi

……

Dio ce ne scampi e liberi

……

Dio ce ne scampi e liberi

……

Ce ne vuol dire “a noi”. “Ce” vuol dire “a noi”, “ne” vuol dire “di questa cosa”, “del pericolo”.

Per l’amor di Dio

…..

Per l’amor di Dio

…..

Per l’amor di Dio

…..

Per carità

…..

Per carità il caffè con lo zucchero

…..

Per carità il caffè con lo zucchero

…..

Per carità il caffè con lo zucchero

…..

Dio ce ne scampi e liberi

….

Dio ce ne guardi

…..

Dio ce ne guardi

…..

Dio ce ne guardi

…..

Per l’amor di Dio

….

Scusatemi se oggi c’erano un po’ di rumori perché ho registrato il podcast, quindi ogni tanto passavano delle macchine. Spero che dopo aver ascoltato questo podcast non pensiate “Dio ce ne scapi e liberi da Italiano Semplicemente!”.

Ciao Amici!

Lasciare a desiderare

Audio

Bassa velocità

Normale velocità

Trascrizione

lasciare a desiderare_immagineBuongiorno amici. Oggi vi spiegherò una espressione italiana relativamente facile, ma ovviamente sarete voi a giudicare.
L’espressione è “lasciare a desiderare“.
Non so quanti di voi conoscano già questa espressione, che appartiene al linguaggio di tutti i giorni, usata in ogni regione italiana indistintamente, ma anche se ne conoscete il significato vi consiglio ugualmente di ascoltare la spiegazione. Ascoltare non fa mai male. Oggi poi proviamo a registrare il podcast in due velocità, facciamo questo esperimento in modo che anche coloro che hanno un livello più basso di comprensione possano esercitarsi ad ascoltare.
Lasciare a desiderare dunque è l’espressione di oggi, diffusissima in tutta Italia, utilizzata in ogni contesto, in ogni momento, in ogni circostanza diversa, dallo sport alla moda, dallo studio allo stadio. Se proprio dobbiamo fare delle differenze, vi devo dire che ad utilizzarla sono maggiormente le persone un po’ più colte.
In ogni modo ci sono tanti modi per esprimere li stesso concetto ed oggi cercheremo di vederne qualcuno.
Lasciare è un verbo, lo sapete, ed è il verbo, che se utilizzato in senso proprio significa mollare: Se voi tenete in mano un oggetto e lo stringete con la mano, se poi lo lasciate, lo lasciate andare, lo mollare, vuol dire che non lo tenete più. Lo avete lasciato.
Il verbo lasciare è usato in molti modi diversi però in italiano. Si può lasciare un oggetto, ma di può lasciare anche un fidanzato, o una fidanzata: chi di noi non è stato lasciato almeno una volta nella vita? Se quindi venite lasciati dal vostro fidanzato, da quel momento non state più insieme. Siete stati lasciati. Da quel momento non siete più fidanzati.
Un altro modo ancora di usare il verbo lasciare è farlo seguire dalla preposizione semplice “a”.
Posso dire ad esempio “lasciare a te“, lasciare a te la decisione, ad esempio, lasciare a te il comando,
lasciare a ” è analogo a “lasciare per“. Quindi vuol dire dare a qualcun altro.
Se ad esempio io lascio a te la decisione, posso anche dire che lascio che sia tu a prendere la decisione. Se tu lasci che io comandi, posso anche dire che tu lasci a me il comando. Un altro esempio: Se io lascio a te l’onore di salire sulla mia auto, posso anche dire che lascio che tu abbia l’onore di salire sulla mia automobile.

C’è però anche un altro significato del verbo lasciare. Se ad esempio sono in macchina e siamo in due persone, posso fermarmi e far scendere questa persona. La lascio scendere, cioè le permetto di scendere, lascio scendere questa persona e quindi lasciare scendere significa fare in modo che questa persona scenda dell’automobile, fare in modo che questa persona lasci l’automobile e scenda, lasciare che questa persona scenda dall’auto. Lasciare =permettere.
Ed allora arriviamo all’espressione di oggi lasciare a desiderare. Il senso proprio dell’espressione lasciare a desiderare è che se ad esempio ti lascio a desiderare, vuol dire che io lascio che tu desideri, io ti permetto di desiderare.
Questo è il senso proprio di lasciare a desiderare.
C’è però un significato secondario, figurato ovviamente che vi dico subito.
Se una cosa lascia a desiderare significa che non è molto bella, o molto buona, o che non è molto adatta al suo scopo. Questo non significa che va malissimo, non è un giudizio molto negativo.
Se ad esempio il mio vestito lascia a desiderare vuol dire che non è un bel vestito.
Se ci pensate bene, rende bene l’idea, infatti se il mio vestito lascia a desiderare è come se non facesse felice chi lo indossa o chi lo guarda, e quindi gli fa desiderare di avere un vestito diverso, più bello. Il mio vestito lascia, chi lo guarda, a desiderare un vestito più adatto, lo lascia a desiderare un vestito più bello.
Evidentemente non è un bel vestito. L’espressione è adatta a qualsiasi cosa,ai vestiti come anche ad altri oggetti ed anche alle persone. E non solo.
Se ho un esame universitario e un mio amico mi chiede: come è andato l’esame?
Potrei rispondere:

La prima parte dell’esame è a data bene, è ok, poi però ho un po’ lasciato a desiderare.

Quindi io ho lasciato a desiderare, al passato dunque. Solitamente comunque si usa dire: “un po’ a desiderare” , oppure “molto a desiderare”.
Difficilmente ascolterete semplicemente che una cosa lascia a desiderare. Solitamente si dice: il mio esame ha lasciato molto a desiderare, la mia prestazione ha lasciato un po’ a desiderare, la tua idea lascia un po’ a desiderare. Si dice anche abbastanza o leggermente a desiderare.
Dicevo prima che l’espressione è utilizzata più da persone colte ed istruite ed in effetti è un modo abbastanza delicato di dire che una cosa non piace e che non è molto buona o positiva.
Per esprimere lo stesso sentimento, la stessa sensazione di disapprovazione, di giudizio negativo ci sono molti modi, a secondo della situazione in cui vi trovate o del grado negativo del vostro giudizio.
Non mi piace“, o “non mi piace per niente“, sono espressioni più universali. “Fa schifo” invece, rappresenta il modo meno gentile per esprimere un giudizio negativo. “Questo gelato fa schifo” , ad esempio, è molto forte ed anche offensivo se lo dite a chi vi ha dato il gelato. Invece “questo gelato lascia un po’ a desiderare” è più gentile e molto meno offensivo.
In termini più tecnici, più adatti al lavoro di ufficio, se vogliamo, possiamo dire: “Essere insoddisfacente“, o anche “non corrispondere alle aspettative
Il tuo lavoro lascia molto a desiderare quindi equivale a il tuo lavoro è insoddisfacente, cioè non soddisfa le mie aspettative, quindi io mi aspettavo di più da te, dal tuo lavoro, quindi il tuo lavoro non corrisponde alle mie aspettative. Se volete la frase: “Non sono soddisfatto del tuo lavoro” è il modo più semplice per dire la stessa cosa.
Ma se volete essere più eleganti potete dire “il tuo lavoro lascia molto a desiderare”.
Questa espressione di conseguenza è adatta ad un contesto lavorativo quindi è una delle tante espressioni che utilizzeremo anche nel corso di italiano professionale.
Voglio dirvi ad esempio che, personalmente sono molte le cose in cui lascio molto a desiderare.
Lascio a desiderare nel gioco del tennis, ad esempio, poiché non sono molto bravo a giocare e lascio a desiderare in molti altri sport. A scuola lasciavo abbastanza a desiderare in storia. Ognuno di noi lascia a desiderare in molte cose ed in altre invece dà il meglio di sé.
Facciamo ora il consueto esercizio di ripetizione, prima al presente poi al passato.

Io lascio a desiderare
………
Tu lasci a desiderare
………
Lui lascia a desiderare
………
Noi lasciamo a desiderare
………
Voi lasciate a desiderare
………
Essi lasciano a desiderare
………

Vediamo al passato:

Io ho lasciato molto a desiderare
………
Tu hai lasciato un po’ a desiderare
………
Lui ha lasciato molto a desiderare
………
Noi abbiamo lasciato un po’ a desiderare
………
Voi avete lasciato molto a desiderare
………
Essi hanno lasciato abbastanza a desiderare
………

Ascoltate se volete altre volte questo episodio se volete memorizzare questa espressione ed il corretto modo di utilizzarla.
Un saluto a tutti i fedeli ascoltatori di Italianosemplicemente.com.

Non c’è verso, tentar non nuoce

Audio

scarica MP3

scarica PDF

Trascrizione

non ce verso tentar non nuoce

Ramona: ciao Gianni. Una frase mi è venuta in mente: ho provato tante volte ad imparare a nuotare, con mio padre, con i miei amici, ma non c’è verso: non riesco a superare la paura dell’acqua.

Gianni: Buonasera, amici di Italiano Semplicemente, benvenuti sul nuovo podcast, che tratterà di una, anzi di due espressioni idiomatiche italiane. Non si tratta in realtà di vere espressioni idiomatiche, ma le definirei semplicemente due espressioni molto utilizzate  nella lingua italiana.

Sono due espressioni molto brevi, che si possono applicare nello stesso contesto, che è quello di “fare qualcosa”, decidere di fare qualcosa.

Questo podcast è dedicato a tutti coloro che hanno un livello di italiano intermedio, quindi dal livello universalmente riconosciuto come A2, quindi non esattamente principianti, fino al livello C1, e forse dovrei dire anche C2. Cercherò di parlare abbastanza chiaramente per fare comprendere bene tutte le parole che pronuncerò durante questo podcast, affinché tutti quanti possano comprendere bene. Nello stesso tempo, per coloro che hanno un livello un po’ più avanzato (che conosceranno sicuramente queste due espressioni che oggi sto per spiegare) concentrerò la mia attenzione su un aspetto particolare che riguarda esattamente queste persone di livello un po’ più avanzato. Ho fatto caso, durante le mie chiacchierate con tutti gli stranieri che ho avuto nell’ultimo anno utilizzando questo fantastico strumento che è whatsapp, agli errori più comuni che commettono le persone anche molte esperte, coloro che sanno molto bene l’italiano, ma che, nonostante tutto continuano a sbagliare delle cose. Mi riferisco alle preposizioni semplici.

Di conseguenza oggi spiegherò queste due frasi, che sono “non c’è verso” e “tentar non nuoce”.

Queste sono due frasi, due frasi che si applicano in un contesto decisionale, quindi entrambe vanno bene ogni qualvolta si devono prendere delle decisioni, e nello stesso tempo, mentre spiegherò queste due frasi, mi concentrerò sulle preposizioni semplici che utilizzo, e spiegherò perché si usano a volte si usano quelle preposizioni semplici, e perché a volte invece se ne usano altre.

Dunque, le preposizioni semplici italiane non sono molte (ma neanche poche),  e sono le seguenti:di, a, da, in, con, su, per, tra, fra.

LE preposizioni semplici si ricordano facilmente a memoria, perché hanno un suono abbastanza melodioso. Una cosa che io ricordo dalle scuole elementari, quindi credo sia facile per tutti.

Cominciamo con la prima espressione: “NON C’E’ VERSO”. Significa semplicemente “non c’è modo”, “non c’è alcun modo”. Qual’è la differenza? Intanto spiegherò la parola “verso” , poi mi concentrerò più sull’espressione.

Cos’è il verso? Il verso ha a che fare con la direzione. Quando si va in un posto preciso, ammettiamo che dobbiamo fare il percorso da A a B, ad esempio da Roma a Napoli, cioè la strada che sto facendo io in questo momento. Sono partito da Roma e sto andando verso Napoli . Quindi se vado da Roma a Napoli, la direzione si chiama Roma-Napoli. Ladirezione Roma-Napoli è uguale alla direzione Napoli-Roma: è la stessa direzione.

Da un punto di vista geometrico la direzione non fa riferimento alla partenza e all’arrivo, ma solamente alla direttrice che collega il punto A al punto B. Se invece io dico che vado verso Napoli, cioè IN direzione Napoli.

Attenzione! Ho appena detto IN In direzione Napoli. “In” è una preposizione semplice, ed in questo caso proprio “IN”. In davanti alla parola direzione vuol dire cje state andando verso quella parte, verso quel luogo: “in direzione Napoli”.

Questo è il verso. Ci sono due versi per ogni direzione, da Roma verso Napoli e da Napoli verso Roma. L’espressione “non c’è verso” però per il momento ancora non è chiaro, ma se ci pensate bene, la parola “verso” può anche essere utilizzata in sostituzione della parola “modo”. Per quale motivo? Il motivo è il seguente: quando voi cercate di fare qualcosa, quando prendete una decisione (si parla appunto di decisioni), e prendete la decisione di raggiungere un certo obiettivo, che non è detto sia un luogo in cui voi stiate andando, un luogo in cui vi stiate recando (come me che sto andando verso Napoli), ma semplicemente raggiungere un obiettivo, cioè ottenere un risultato.

In questo caso avete preso la decisione di raggiungere un obiettivo, o potete provare a raggiungere l’obiettivo “in” più modi: potete provare il modo “A” (la strada “A”) oppure il modo “B” (la strada “B”) . Quindi ci sono diversi modi, diverse strade che vi possono portare a raggiungere un obiettivo. Di conseguenza quando si dice la frase “non c’è verso”, che equivale all’espressione “non c’è modo”, significa semplicemente che avete già provato attraverso più modi, più strade, a raggiungere quell’obiettivo, e non ci siete mai riusciti. Quindi avete provato a risolvere il problema in differenti modalità, utilizzando strade diverse, in differenti modi, ma non ci siete ancora riusciti. Quindi “non c’è verso” è un sinonimo di “non c’è modo”.

La differenza, dicevo prima, tra “non c’è modo” e “non c’è verso” è che, appunto, quando dite “non c’è verso” vuol dire che avete già provato molte volte, che avete insistito, avete provato tante volte ma non ci siete mai riusciti. Quindi quando si pronuncia questa espressione significa che avete provato molte volte, avete insistito e vi siete arresi: significa che non proverete più, state constatando che non c’è nessun modo per risolvere il problema, non c’è nessun modo per raggiungere l’obiettivo, vie siete arresi e di conseguenza fate questa esclamazione.

Non c’è verso “di”. Attenzione! Non c’è verso “di”. Se voi dite non c’è verso di imparare a nuotare, ad esempio, come ha detto la nostra amica Ramona, significa che avete provato più volte a nuotare, ma non ci siete mai riusciti: Non c’è verso “di” nuotare, non c’è verso “di” imparare a nuotare. Quindi attenzione perché si usa la preposizione “di”.

Non potete usare altre preposizioni. Un italiano vi potrebbe comprendere lo stesso, ma non è detto che vi comprenda. Quindi non c’è verso “di”:

  • fare
  • imparare
  • riuscire

C’è sempre un obiettivo che dovete raggiungere. Nel caso di Ramona l’obiettivo era di imparare a nuotare. Avete fatto più tentativi e non ci siete riusciti: non c’è verso.

Invece nella frase “non c’è modo” non è detto che voi abbiate già tentato di raggiungere l’obiettivo; probabilmente avete constatato che non c’è nessun modo, nessuna maniera per ottenere quel risultato, ma non è detto che voi abbiate già tentato e che vi siate arresi.

Questa è la differenza tra “non c’è verso” e “non c’è modo”..

Vediamo la seconda frase, che è “tentar non nuoce“.

Anche questa frase ha a che fare con le decisioni e con il raggiungimento di un obiettivo specifico, che sia di arrivare fino a Napoli (come nel mio caso), come il tentativo di ottenere un obiettivo qualsiasi.

Cosa significa? “Tentar” deriva da “tentare”, quindi è il verbo “tentare”, dove si toglie l’ultima lettera. Tentare diventa tentar. “Non nuoce”: non è la negazione, e nuoce viene dal verso “nuocere”.

Cosa significa “nuocere”? Nuocere vuol dire “fare del male”. Se cercate sul vocabolario il verbo nuocere troverete che significa “fare del male”. Solitamente il verbo nuocere è preceduto dalla parola “non”, quindi è usato in senso negativo, anche se a volte potete trovarlo anche in frasi affermative.

Ad esempio, sui prodotti che fanno male alla salute, come nel caso di prodotti con particolari sostanze chimiche, potreste leggere sulle istruzioni del barattolo”nuoce gravemente alla salute”, cioè “fa male alla salute”. Non nuoce quindi vuol dire che non fa male. Quindi nuocere è un verbo che si usa fondamentalmente per iscritto, sulle confezioni, sui barattoli dei prodotti che fanno male alla salute. Non troverete mai scritto “fa male alla salute”, ma troverete sempre scritto “nuove (gravemente) alla salute”. Invece non nuoce vuol dire che non fa male, che  non nuoce.

Tentar non nuoce quindi vuol dire che tentare non nuoce, cioè “provare non nuoce”, “provare non fa male”. Quand’è che si usa questa frase: tentar non nuoce?

La frase è abbastanza melodiosa, perché ogniqualvolta si taglia l’ultima vocale di una parola, come in questo caso (“tentare” è diventato “tentar”).

Ogni qualvolta si toglie l’ultima lettera di una parola è per rendere la frase più melodiosa all’udito. Quindi “tentare non nuoce” è una frase correttissima in italiano, però non si usa. Normalmente si usa “tentar non nuoce”, che è una esclamazione, una frase che può essere usata ogni qualvolta si voglia invitare una persona a fare un tentativo (tentare-tentativo), quindi quando si vuol spingere una persona a provare a risolvere un problema, a provare a raggiungere un obiettivo. Quindi se ad esempio io faccio l’università e vorrei fare la facoltà di ingegneria, però ho sentito dire che la facoltà di ingegneria è molto dura, che gli esami sono molto difficili “da” superare, (“da” è un’altra preposizione semplice), ebbene, in questo caso potrei dire a me stesso:

ma sì, dai, proviamo “a” fare ingegneria , tentar non nuoce!

Cioè provare non fa male: posso provare a fare ingegneria, e se poi verifico che la facoltà di ingegneria è una facoltà complicata, una facoltà troppo difficile per me, ebbene, “in “questo caso, cambierò facoltà; passerò ad un’altra facoltà. 

Tentare non nuoce, così come la prima frase che abbiamo visto, vale a dire “non c’è verso”, sono due espressioni italiane UTILIZZATISSIME, in tutti i contesti, in contesti sia informali che formali. Probabilmente la prima frase la troverete più adatta ad un contesto informale e all’orale, quindi più nel linguaggio parlato che nel linguaggio scritto, perché “non c’è verso” in effetti è una frase più adatta al linguaggio parlato, di tutti i giorni, ma se la utilizzate anche in un contesto importante, più formale, nessuno si scandalizzerà: nessuno vi dirà: ma cosa stai dicendo? Hai utilizzato una espressione volgare!

Non si tratta di una espressione volgare, si tratta di una espressione italiana, molto utilizzata, che in ogni caso è più adatta sicuramente ad un linguaggio parlato piuttosto che ad un linguaggio scritto. 

Anche tentar non nuoce probabilmente è una espressione più utilizzata all’orale che per iscritto, ma in realtà, come vi ho detto precedentemente, il verbo nuocere è messo per iscritto in tutte le confezioni dei prodotti che fanno male alla salute, ma la frase “tentar non nuoce” è una frase che potete tranquillamente utilizzare per iscritto. Probabilmente è più adatta ad una email, ad una chat, piuttosto che ad un documento formale, perché è una frase che si utilizza quando si sta parlando ad una persona, quindi quando si scrive una lettera, una email, si sta chattando con una amico o un conoscente. “Tentar non nuoce” e “non c’è verso” sono due espressioni quindi che si utilizzano quando si parla con un’altra persona in un contesto decisionale, in un contesto in cui si sta prendendo una decisione. Si può incitare una persona e dire:

Tentar non nuoce. Dai, fai questo tentativo, provaci, non si sa mai!

“Non si sa mai”, in effetti, è un’espressione abbastanza simile a “tentar non nuoce”.

Tentar non nuoce di conseguenza vuol semplicemente dire che se provi, se provi a fare un tentativo, non può succederti nulla di male. Non c’è nulla di sbagliato nel provare, perché provare non costa nulla.

Ovviamente non potete utilizzare “tentar non nuoce” in tutte le occasioni. Se ad esempio mi viene voglia di lanciarmi col paracadute, ad esempio, però ho paura di lanciarmi col paracadute perché non l’ho mai fatto in vita mia, un amico mi potrebbe dire:

Dai, prova, tentar non nuoce!!!

Ed invece in questo caso tentar nuoce, eccome se nuoce! Quindi non è il caso (in questo caso) di utilizzare l’espressione “tentar non nuoce”.

Così come mi viene in mente di provare ad andare a 200 km orari utilizzando la mia nuova automobile.Non mi verrebbe mai in mente di dire a me stesso:

Vabè, dai, prova! Vediamo a che velocità riesci ad arrivare, tentar non nuoce!

Anche in questo caso, tentare NUOCE!! Nuoce gravemente alla salute!

Di conseguenza questa è una frase che si pronuncia in tutte quelle occasioni in cui non c’è nessun pericolo, altrimenti non ha nessun senso utilizzare questa espressione.

Spero che tutti coloro che ritengono di appartenere alla categoria C1 o C2 abbiano fatto caso a tutte le preposizioni semplici che ho utilizzato all’interno di questo podcast.

Quando si dice quindi “vado in direzione Napoli”, oppure “vado a Napoli”, va bene in entrambi i modi, ma non posso dire: “vado a direzione Napoli”.

Posso dire “vado verso” Napoli, “vado in direzione Napoli”. Se dico “verso”, non devo usare “in”.

L’uso delle preposizioni semplici è molto importante. Ho notato personalmente che in fase di presentazione, quando ci si presenta ad un amico, ho notato che anche le persone che hanno un livello di italiano molto alto e che parlano benissimo, molto spesso si presentano e dicono:

Piacere, sono Alberto (ad esempio) e vengo da Marcocco. 

 

ad esempio, o “da Algeria”..

Ho fatto solo un esempio, avrei potuto dire Germania, Francia, Spagna, Irlanda, eccetera

L’uso delle preposizioni semplici in questo caso si può spiegare molto semplicemente: in italiano, quando dovete dire che voi abitate in una determinata nazione, in una certa nazione, si usa solamente dire: “Sono marocchino”, o “sono algerino”, o “sono francese”, “sono danese”, “sono tedesco”, “sono italiano”. Non si dice “io sono di Italia” o “io sono da Italia”. Si dice semplicemente: sono italiano, francese, tedesco. Quindi l’uso della preposizione semplice, in questo caso, è sempre sbagliata.

In effetti la preposizione semplice “di” non si usa mai con le nazioni, con i paesi, ma si usa soltanto con le città:

Sono di Roma!

Sono di Londra, di Calcutta, di Berlino. Quindi quando dovete dire che abitate, che siete residente, che siete un abitante di una città, dovete usare “di”. Dovete usare solamente “di”. Non c’è un’altra preposizione semplice adatta: io sono di Roma. Certo, se dovete dire che ABITATE in un certo posto, dovete dire “io abito a Roma”. In questo caso si usa la preposizione semplice “a” (abitare + città). 

Io abito a Roma, io abito a Londra, io abito a Beirut! (come Ramona), io abito a Berlino

Per le nazioni potete usare “in”. Quindi:

Io abito in Brasile, io abito in Albania, io abito in Italia.

Quindi l’uso delle preposizioni semplici, quando si parla di dire dove abitate o di dove siete è uno degli esempi tipici che mi viene in mente che anche coloro che hanno un livello abbastanza alto sbagliano molto spesso. Credo di aver affrontato abbastanza marginalmente il problema delle preposizioni semplici ma non voglio annoiarvi naturalmente. L’obiettivo di Italiano Semplicemente non è quello di insegnare la grammatica, come molti di voi già sapranno. Per coloro che ci seguono per la prima volta vi consiglio di leggere le sette regole d’oro di Italiano Semplicemente, che utilizziamo in ogni episodio. Per coloro che sono interessati potete andare sul sito italianosemplicemente.com e cercare le sette regole d’oro. Credo sia tutto per oggi ragazzi. Spero che dopo aver ascoltato questo episodio non diciate:

Non c’è verso di imparare l’italiano!

Provate. Secondo me dovete provare. Provate a seguire le sette regole d’oro. Vi garantisco che sono delle regole molto importanti per imparare l’italiano, e per imparare a passare dalla fase della comprensione alla fase dell’espressione. Provate, tentar non nuoce.

Ciao amici.

Adriana: A me piace cucinare con mia madre, ma non c’è verso di cucinare un piatto buono come lei!!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Putacaso ti tradissi?

Audio

 

Trascrizione

se_qualora_immagine_tradimentoBuongiorno a tutti amici di Italiano Semplicemente. Oggi affrontiamo un argomento molto interessante. Vediamo tutti i modi per dire “se”.

Lo facciamo con l’aiuto di Adriana e Jasna, che ringrazio calorosamente.

Conoscete questa parolina italiana “se”?

Mi riferisco al “se” congiunzione, quella parola usata per costruire delle frasi che contengono delle ipotesi, come ad esempio: “se domani c’è il sole vado al mare”. Infatti la parola “se” ha anche altri significati, e tra l’altro si può scrivere anche con l’accento, come ad esempio “parlare di sé”. Oppure, con accento o senza, posso dire “pensare solo a se stessi”.

Ecco, in questo episodio di Italiano Semplicemente vorrei invece parlare solamente del “se” congiunzione.

Bene, una frase molto semplice come quella vista prima: “se domani c’è il sole vado al mare, in cui è presente la parola “se”, la congiunzione “se” può essere scritta, in realtà, in molti altri modi.

Non c’è dubbio che “se” è la parola più semplice da usare e questa è la parola  che si impara per prima, ma vediamo appunto quali possono essere le varianti, quando si possono usare ed anche quanto sono diffuse tutte queste alternative, tutte questi modi alternativi di dire “se”.

Cercherò di fare questo  cercando degli esempi divertenti, sperando di riuscirci. Credo che Adriana e Jasna saranno molto importanti.

Vediamo la prima parola: “qualora”.

Dunque la parola “se” non è semplicemente sostituibile con la parola “qualora”, che è anch’essa una congiunzione, perché vuole solamente il verbo al congiuntivo. Questa è la spiegazione classica che si dà, ma vediamo degli esempi, perché la grammatica a noi non interessa ed è anche molto noiosa.

“Qualora ci fosse il sole, domani andrei al mare”.

Quindi “qualora ci fosse”, e non “se c’è”; “andrei al mare” e non “vado al mare”. La frase quindi è un po’ più complicata perché non si utilizzano i verbi al presente, ma si usa il congiuntivo e poi il condizionale.

Un italiano, vi dico subito, è difficile che usi questa frase, perché in generale la semplicità è sempre preferita da tutti. Soprattutto è più facile non sbagliarsi, e vi dico che anche il 50% degli italiani sbaglia regolarmente o molto spesso quando deve usare il condizionale o il congiuntivo.

La parola “qualora” si usa più in ambito lavorativo, nel lavoro, e si usa molto nella forma scritta. Difficile nella forma parlata.

A dire il vero si può anche dire in altri modi questa frase, anche usando la parola “se”: “se ci fosse il sole, domani andrei al mare” quindi il “se” posso sostituirlo a “qualora”. Non posso fare il contrario però.

Posso anche dire, ed è ancora più comune: “se ci sarà il sole, domani andrò al mare” . In questo caso si usa il futuro, ed anche questo è un modo corretto di scrivere la frase.

Vediamo ora: “nel caso in cui”.

“Nel caso in cui domani ci fosse il sole, andrei al mare”. Abbiamo semplicemente sostituito “qualora” con “nel caso in cui”. Semplice. Diciamo che è un po’ più informale però. “Nel caso in cui” si usa normalmente in ogni contesto. Qualora è un po’ più difficile e più adatto a situazioni professionali e formali. Possiamo anche togliere “in cui” e dire semplicemente “nel caso domani ci fosse il sole, andrei al mare”. Oppure, se avessi una fidanzata come Adriana…

Adriana: “Nel caso in cui mi tradissi, farei lo stesso”.

Gianni: Ma no, cara, sai che non ti tradirei mai!

Adriana: ma qualora lo facessi, anche io ti tradirei”.

Ecco questo è un altro esempio. Adriana interpreta la mia ragazza, o mia moglie, e dice che se io la tradissi, anche lei mi tradirebbe. Se io cioè non le fossi fedele, se io la tradissi con un’altra donna, anche lei farebbe lo stesso, con un altro uomo…. Credo.

Nell’eventualità che io tradissi Adriana, anche lei mi tradirebbe.

Nell’eventualità” è un altro modo di esprimere lo stesso concetto. L’eventualità è una frase ipotetica, una circostanza che potrebbe verificarsi, che potrebbe avvenire. Nel caso in cui è la stessa cosa che “nell’eventualità”, che è la contrazione di “nella eventualità”, che è come dire “nel caso in cui”.

“Nell’eventualità che” equivale a “nel caso in cui”. Quindi la prima frase che abbiamo visto oggi diventa:

“nell’eventualità che domani ci fosse il sole, andrei al mare”.

Adriana: nell’eventualità che mi tradissi, ti ucciderei!

Ecco appunto…

Vediamo l’avverbio “eventualmente”.

Eventualmente si usa molto, ma è un utilizzo particolare.

Ad esempio potrei rispondere ad Adriana, che mi voleva uccidere e potrei dirle: “Amore, eventualmente potresti accettare le mie scuse?”.

Eventualmente si utilizza moltissimo, ma spesso si usa con il “se” davanti: “se eventualmente ci fosse il sole, domani, andrei al mare”.

Oppure posso fare due esempi in cui eventualmente  indica una alternativa finale. Il primo esempio è:

“se domani piove, sto a casa, ma se eventualmente dovesse uscire il sole, andrei al mare”.

Oppure, secondo esempio: “se Adriana mi perdona, sono contento, ma eventualmente, mi cerco una nuova casa”.

Quindi eventualmente in questi due casi è “se non dovesse accadere”, “nel caso in cui non accadesse”, o “in caso contrario”, quindi, come dicevo prima, indica un’alternativa finale, dopo che abbiamo scartato una ipotesi iniziale.

“Se” ed “eventualmente” quindi non sono la stessa cosa, e come abbiamo visto si possono anche utilizzare insieme.

Vediamo una parola molto simpatica: “putacaso”. P_U_T_A_C_A_S_O

“Putacaso” si può scrivere anche staccato, con due parole: puta e caso. Puta caso.

Ad esempio: “se putacaso ti tradissi ancora, Adriana, mi perdoneresti?” Ok, ok, non c’è bisogno che rispondi.

Putacaso significa “ipotizzando”, cioè “per ipotesi”.

“Se per ipotesi ti tradissi ancora, mi perdoneresti?” Anche con putacaso ci vuole il congiuntivo: tradissi e poi il condizionale: perdoneresti. Con putacaso non cambia nulla: “se putacaso ti tradissi ancora”: è la stessa cosa quindi.

Possiamo anche dire “ipotizziamo che”.

Ipotizziamo che io ti tradisca. Mi perdoneresti?

Ipotizziamo che domani ci sia il sole. In tal caso andrei al mare. Posso anche mettere il “se” davanti: se ipotizziamo che domani ci sia il sole…

Dopo “ipotizziamo” quindi ci va il “che”: ipotizziamo che.

Una forma familiare di dire “se” è “metti che”. Metti che equivale a “ipotizziamo che”, “o ancora meglio ”ammettiamo che”, ma ora stiamo dando del tu. “metti che” viene quindi da “ammettiamo che”.

Metti che io ti tradisco, Adriana… ad esempio

Metti che domani c’è il sole. Avrete notato che il verbo è al presente.

È quindi una forma molto familiare di “se”. Non possiamo usarlo con una persona che non conosciamo.

Al limite posso dire “mettiamo che”, che è un po’ meno intimo, ed infatti in questo caso potrei anche usare il congiuntivo: “mettiamo che io ti tradisca”. Ecco quindi l’uso del congiuntivo al posto del presente ci dà già una indicazione del fatto che l’espressione non è familiare. Ma volendo potete anche usare il presente. Dipende dalla situazione familiare o non familiare.

Se invece uso “ammettiamo che”, allora non è più familiare, ed ancora meno familiare è “ipotizziamo che”.

Vediamo ancora un altro modo dire “se”.

Se volessi dire alla mia fidanzata, che qui è interpretata ancora da Adriana, che ho un’altra donna, che cioè ho una relazione con un’altra donna, dovrei trovare le parole più opportune, le parole più adatte, perché avrei paura che lei, avrei paura che lei si arrabbi, e allora in questo potrei usare una forma diversa:

Adriana: dai, dimmi pure!

Gianni: Ascolta Adriana, “nella lontana ipotesi” che io abbia un’altra donna, cosa faresti?

Adriana: ti ucciderei! È facile!

Gianni: ah ok, grazie cara.

Ecco quindi questa forma “nella lontana ipotesi” si usa per dire che è poco probabile quello che sto dicendo. È una ipotesi, ma è una ipotesi lontana, come se fosse un luogo lontano da raggiungere, quindi è una ipotesi poco probabile.

Anche questa è una forma colloquiale, ma si usa anche molto su internet, sui giornali, perché oltre al “se” si dice anche quanto è probabile questo evento. Quindi si aggiunge un’informazione in più. Non solo una ipotesi, ma è una lontana ipotesi.

Ci sono anche altri modi di aggiungere qualcosa in più, quindi di “allontanare” una ipotesi, o di prendere le distanze da una ipotesi, o anche semplicemente di considerare una semplice eventualità, possibile o anche impossibile che si realizzi.

Posso dire ad esempio – espressione molto familiare questa – “facciamo finta che”.

Ad esempio:

Gianni: Facciamo finta che io abbia un’altra donna, Adriana!

Adriana: ti ucciderei! È facile!

Gianni: sì, ok, abbiamo capito.

Quindi con “facciamo finta” si vuole dire: “non succederà, ma fingiamo, cioè facciamo finta che io ho (o abbia) un’altra donna”. Molto colloquiale come espressione.

Quindi anche qui ci si sta allontanando, si stanno prendendo le distanze, si sta dicendo che è una finzione, facciamo finta, fingiamo che è ( o sia) vero; non è vero, ma facciamo finta che è (o sia) vero.

Un altro modo ancora è “semmai”.

“Semmai dovessi tradirti”, oppure “semmai ci fosse il sole domani, andrei al mare”.

Questa è abbastanza facile, basta sostituire “se” con semmai. Si usa nello stesso modo.

Dicevo che anche qui stiamo dicendo che non è molto facile che avvenga, non è molto probabile. “Semmai” dovesse accadere. Semmai contiene la parola “mai”. E si può scrivere anche staccato “se mai”.

Semmai è usato anche in altro modo, ma qui ci interessa questo utilizzo: quello come congiunzione, quindi da usare al posto di “se”.

Ci sono altre due modalità di dire “se”, molto usate in Italia.

Una è “nel momento in cui”. L’altra è “supponiamo che”. Più o meno sono espressioni equivalenti.

Queste due espressioni sono usate molto nella forma orale, sono abbastanza colloquiali quindi, e la prima forma (nel momento in cui) è più usata della seconda (supponiamo che), che invece è più adatta al lavoro, ma in ogni caso si tratta di espressioni abbastanza universali.

Io potrei dire ad esempio: “supponiamo che ci sia il sole domani”, oppure “supponiamo che Adriana si arrabbi!” Eccetera. Analogamente una seconda ragazza, Jasna, potrebbe dire ed esempio:

Jasna: nel momento in cui Adriana scoprisse che abbiamo una relazione, cosa farebbe?

Gianni: non lo dire neanche per scherzo!

Nel momento in cui si usa molto spesso per dire “quando”, “appena”, o ”non appena”, o anche “subito dopo” quindi c’è il tempo di mezzo. Fondamentalmente si usa al posto di “quando”, ma spesso può capitare di ascoltare frasi di questo tipo:

“nel momento in cui riuscissi ”, oppure “nel momento in cui potessi” oppure come nella frase di Jasna, “nel momento in cui Adriana scoprisse che abbiamo una relazione, cosa farebbe?”. In questo caso Jasna sta prospettando una possibilità, sta dicendo:

“se Adriana scoprisse che abbiamo una relazione, cosa farebbe?”

Adriana: ti ucciderei! È facile!

Bene, il risultato non cambia quindi!

Bene amici, spero però che Adriana non ci scopra (Jasna: lo spero anch’io!). Lo speriamo entrambi! Ma speriamo anche di essere riusciti a farvi capire quanti modi ci sono per dire “se”.

Adriana: se vi prendo, vi ammazzo a tutti e due!

Jasna: aiuto!

Passiamo alla ripetizione. Non pensate alla grammatica, ma ripetete dopo di me:

– Se domani c’è il sole, vado al mare”

– Qualora domani ci fosse il sole, andrei al mare

– Nel caso in cui domani ci fosse il sole, andrei al mare.

– Nell’eventualità che domani ci fosse il sole, andrei al mare.

– Se eventualmente ci fosse il sole, domani, andrei al mare”.

– Se putacaso Adriana mi scoprisse, sarei morto!

– Ipotizziamo che Adriana mi scopra. In tal caso sarei morto!

– Metti che Adriana ci scopre? Che facciamo?

– Mettiamo che Adriana ci scopra. Che facciamo?

– Ammettiamo che Adriana ci scopra. Che facciamo?

– Nella lontana ipotesi che Adriana ci scopra, che facciamo?

– Facciamo finta che Adriana ci scopre (o scopra). Che facciamo?

– Semmai dovessi tradirmi, ti perdonerei.

– Nel momento in cui dovessi tradirmi, ti perdonerei.

Bene, quindi ora concludiamo il podcast. Se, come spero, sono riuscito a spiegarmi, ne sarei molto contento, ma qualora non fossi riuscito a farvi comprendere bene come fare per dire “se” e quanti modi diversi ci sono, ebbene, in tale eventualità, vi consiglio di ripetere l’ascolto di questo file audio più volte.

L’ascolto ripetuto è molto utile, e, nel momento in cui vogliate ascoltare il mio consiglio, vedrete che non ve ne pentirete. Putacaso però voi non ne abbiate voglia, perché, per un motivo o per un altro, crediate sia tutto molto chiaro, allora questo vuol dire che il vostro livello di conoscenza dell’italiano è molto avanzato. In tale eventualità vi ringrazio comunque dell’ascolto, così come ringrazio anche tutti le altre persone, ed auguro a tutti un buon proseguimento di giornata.

Un saluto a tutti, ciao.

Qualora l’Italia vincesse gli europei, ne sarei molto felice. Nel caso in cui non lo vincesse,invece, me ne farei una ragione.