Paura di parlare in italiano?

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Descrizione

In questa puntata di italiano semplicemente Ulrike, membro della nostra associazione, utilizza molte espressioni italiane che ha imparato sulle pagine del sito.

Trascrizione

Voglio parlare del parlare, e precisamente della paura di uno straniero di parlare l’italiano. Volevo farlo già da un bel po’ di tempo, *vuoi per* esercitarmi, *vuoi dopo* aver scoperto che siamo in tanti noi stranieri che cerchiamo di evitare un discorso a voce. Allora adesso colgo l’occasione e prendo il toro per le corna:. Mi chiedo perché si riesca a scrivere in una chat apparentemente senza problemi (certo con degli errori), ma almeno senza o con poca paura di farne, ed invece sì abbia molta paura di parlare. Perché fra le due possibilità di comunicare si preferisce solitamente la scrittura? A me pare che i problemi comincino ad emergere quando si inizia ad usare la propria voce.

Il suono della propria voce, quando si pronunciano parole straniere, sembra una cosa quasi che non ci appartiene, quasi la voce di un alieno.

Chi parla, sono proprio io? Poi, con la tua voce, facendola ascoltare ad altri, riveli un po’ della tua personalità, fai sentire le tue incertezze in modo più diretto, più vicino a chi ascolta; si sente il tuo respiro, i sottili rumori della lingua, ci si accorge come sei in cerca delle parole giuste per esprimere quello che vuoi trasmettere, si può notare la tua agitazione. Così la distanza fra te e i tuoi interlocutori viene ridotta e tu risulti più esposto a critiche. Una difficoltà particolare si incontra nei discorsi con degli interlocutori invisibili come nel gruppo Whatsapp dell’ Associazione Italiano Semplicemente, perche registrando il tuo messaggio parli quasi nel vuoto. Putacaso vedessi la mimica, anche un solo sguardo, una qualunque reazione immediata al tuo intervento vocale, potresti scoprire subito se sei stato comprensibile e saresti quindi in grado di reagire a tua volta, magari cercando un’altra parola, fare delle domande. Insomma potresti provare a spiegarti meglio.
Tutti questi aspetti – tra l’altro – compongono quello che chiamiamo timidezza o paura di parlare. Conoscete il detto la paura fa novanta? Significa che la paura stimola nel fare cose a volte impossibili. Nel parlare invece questo detto non vale per niente. Cosa fare allora per superare la preoccupazione che parlando si faccia cilecca nel senso di non raggiungere l’obiettivo comunicativo sperato? Permettetemi qualche pensiero e di dare alcuni suggerimenti all’ascoltatore in merito: Il primo: comincia a leggere ogni tanto ad alta voce qualche pezzo del tuo libro italiano preferito o di un qualsiasi testo in italiano. Poi cerca di parlare come mangi, quindi in parole povere, cioè in modo semplice, almeno quando parli spontaneamente senza precedente preparazione.
Terza proposta: comincia con poche parole, forse solo con un breve saluto. Dopo un po’ continua con poche frasi, volendo anche con l’aiuto degli appunti preparati prima. Ci vuole parecchia pazienza per ottenere più sicurezza ma così il gioco funziona e piano piano ci si butta a parlare più facilmente e più spesso in modo spontaneo. Restano i molti errori che credevi superati, ma ciò vale anche per la comunicazione scritta, che è tutta un’altra cosa. Gli errori non sono importanti! Checché se ne dica, c’è solo un modo di imparare a parlare e questo è propri PARLARE!

Fattene una ragione e datti il via libera per il prossimo messaggio a voce.

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Problemi al lavoro

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Descrizione

Ascoltiamo un breve discorso di Daria, membro dell’associazione Italiano Semplicemente, che prova ad utilizzare le espressioni contenute in una lezione del corso di ITALIANO PROFESSIONALE (la lezione n. 9) dedicata ai problemi ed ai fallimenti.

    Tascrizione

    Si dice che un dirigente esperto sappia gestire i suoi dipendenti cosi che le cose vadano liscio senza prendere ecesaariamente parte al loro lavoro.
    Quando gli obiettivi sono chiari, non si brancola nei buio ma si rimuovono gli ostacoli e si continuano a svolgere le funzioni.
    A tale fine è sicuramente anche necessario la capacità di fissare termini stabiliti perche’ la tentazione di battere la fiacca è forte talvolta. Piu’ dettagliato è il programma del lavoro, meno alta è la possibilita’ di un suo fallimento a causa di colleghi che, anziché quagliare, fanno continuamente buchi nell’acqua. Esistono poi persone che mettono i bastoni tra le ruote e cosi facendo creano dei problemi per sé stessi e per gli altri.
    Io personalmente sono un’allarmista, cioè preferisco preoccuparmi in anticipo dei possibili e potenziali problemi. Errare è umano, ma io non vorrei ripetere gli errori: sarebbe diabolico perseverare nell’errore
    So di non essere stress-resistente e quando un problema mi arriva tra capo e collo, mi innervosisco e brancolo nel buio invece di concentrarmi e risolverlo mantenendo il sangue freddo.
    Come tutti non mi piace fungere da capro espiatorio e neanche contare esclusivamente su qualcuno come se fosse sempre l’ancora di salvezza.
    Essere allarmista non significa comunque che io me le vada a cercare col lanternino. Nel caso in cui si possa portare a termine un compito un po’ prima del previsto, credo sarebbe meglio, per risparmiare tempo, la risorsa più preziosa nel mondo del lavoro.

    Come come errare è umano, anche avere tempo in aggiunta è sempre un vantaggio.
    Non capisco le persone che mandano per le lunghe i loro compiti e poi cercano qualsiasi soluzione che risulti appena sufficiente.
    E voi che tipo di persona siete?

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    Dispiacersi del passato

    Audio 1 (di 2)

    E’ possibile ascoltare e/o scaricare i file audio di questo episodio in formato MP3 tramite l’audiolibro (+Kindle) in vendita su Amazon, che contiene 54 espressioni italiane e 24 ore di ascolto.

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    Trascrizione

    Buongiorno amici di italiano semplicemente. Ho una domanda per voi.

    Avete qualcosa da lamentarvi? Avete rimpianti, rimorsi? Rimpiangere qualcosa del vostro passato? Oppure siete pentiti di qualcosa che avete fatto? Non so se tutti voi abbiate capito ciò che ho detto e se le domande siano chiare per tutti, ma qualunque sia la vostra risposta, credo che potreste aver avuto difficoltà ad esprimervi correttamente in italiano nelle vostre risposte

    Ed è questo il motivo per cui oggi, in questa puntata di italiano semplicemente, parliamo di pentimenti, di lamentele, di rammarico, di dispiacere, di rimorsi e di rimpianti.

    Perché tutti questi termini insieme? Cosa accomuna questi termini tra loro? Semplicemente il dispiacere. Non è divertente, lo so, non vi arrabbiare con me! Ogni tanto si deve parlare anche di questo però se vogliamo conoscere bene la lingua italiana.

    Anche un’altra cosa però a dire il vero accomuna questi termini. In tutti i casi, in tutti i termini che ho usato, si parla di sentimenti negativi sul passato, cioè di qualcosa che è già accaduto.

    È questo un episodio molto particolare, che mi è stato suggerito da un membro dell’associazione Italiano Semplicemente, e colgo l’occasione per salutare Bernadette.

    Parliamo sempre del passato, più o meno tutti i giorni. A volte ne parliamo con piacere, a volte con dispiacere.

    Parliamo di quello che abbiamo fatto, di quello che ci è accaduto, delle scelte che abbiamo fatto e di quelle che non abbiamo operato. Parliamo di cose che ci riguardano direttamente, in prima persona, e cose che non ci riguardano personalmente.

    Ogni tanto in questo episodio proviamo anche a ripetere qualche frase ok? Non dimenticate la settima regola d’oro di italiano semplicemente: parlare.

    Dinqie, quando ad esempio ci lamentiamo, possiamo farlo in diversi modi e non solo del passato. Ma se ci lamentiamo di cose accadute o di come sono andate certe cose nel passato vuol dire che non siamo molto contenti e se potessimo cambieremmo molte cose del passato: le cose in questo caso non sono andate per il verso giusto, cioè non sono andate per il meglio (due espressioni equivalenti) e noi, come conseguenza, ce ne rammarichiamo: Ci rammarichiamo, cioè ci dispiace del fatto che le cose non siano andate nel verso giusto, o per il verso giusto.

    C’è anche chi non si lamenta mai però. E queste persone lo fanno perché dicono che tutti gli errori fatti in passato ci insegnano sempre qualcosa, ci insegnano a non sbagliare più ad esempio.

    C’è invece chi ha un atteggiamento meno costruttivo e tende a lamentarsi a rammaricarsi di quanto accaduto. Lamentarsi e rammaricarsi sono abbastanza simili come verbi.

    Il rammarico è un sentimento di dispiacere, di amarezza, di contrarietà. Provare rammarico o anche sentire rammarico o sentirsi rammaricati è come dire essere contrariati, amareggiati, per qualcosa che è accaduto. Si prova rincrescimento per qualcosa, afflizione. Il rincrescimento è simile al rammarico.

    Il rammarico, questo è importante da dire, si usa principalmente quando è accaduto qualcosa nel passato a cui non si può rimediare, esprime ovviamente un dispiacere ma difficilmente si usa quando succede qualcosa di molto grave a un nostro conoscente. In questi casi si usa maggiormente il rincrescimento o l’afflizione: sono rincresciuto, sono afflitto per quanto accaduto.

    Quando accade qualcosa di brutto a un nostro amico posso dire:

    Mi rincresce veramente tanto!

    Con questa frase si esprime rincrescimento, cioè un forte dispiacere, una afflizione. Si è vicini alla persona con cui si parla, si esprime pertanto empatia, vicinanza emotiva, coinvolgimento emotivo.

    Le espressioni dispiaciute del volto spesso accompagnano una frase di questo tipo, proprio a dimostrazione della volontà di comunicare vicinanza e comprensione.

    Il rincrescimento si usa esclusivamente nei rapporti sociali però, quando accade qualcosa di negativo a qualcun altro. Solitamente è per qualcosa di grave, tipo delusioni sentimentali, obiettivi falliti o anche perdite familiari. In quest’ultimo caso in genere si fanno le cosiddette “condoglianze” se parliamo direttamente con la persona che ha perso un familiare, ma se parliamo con altre persone possiamo dire:

    Sono veramente rincresciuto per quanto accaduto a Maria (ad esempio)

    Vediamo adesso la desolazione e la costernazione. Sono altri due modi per esprimere dispiacere.

    Sono desolato, sono costernato. Quando possiamo usare queste due modalità?

    La desolazione è abbastanza simile al rammarico, ma è più distante, sicuramente. A dire il vero il termine desolazione ha molti utilizzi diversi.

    Nel senso di dispiacere per qualcosa di accaduto posso dire:

    Sono veramente desolato!

    Questa frase esprime dispiacere, sicuramente, ma non coinvolgimento emotivo, non una vicinanza affettiva.

    Equivale a: sono veramente dispiaciuto, mi spiace veramente, ma è più distante come dicevo e per questo motivo magari è più usata la desolazione quando parliamo con qualcuno che conosciamo poco.

    Comunque non vi consiglio di usare la desolazione in questo modo. Sicuramente meglio esprimere un normale dispiacere quando non sapere quale modalità usare.

    Si usa molto invece la desolazione quando si fanno grossi errori, quindi è un modo per chiedere scusa. Dispiacere e scuse nello steso tempo quindi.

    Un giocatore di calcio fa un autogol?

    Sono desolato, ho fatto un errore inspiegabile!

    La desolazione infatti esprime in questo caso un modo per dire: è tutta colpa mia, c’è il concetto di solitudine (desolazione contiene la parola “solo”); è come dire: mi isolo, mi prendo tutta la responsabilità da solo.

    Fate un errore al lavoro?

    Sono desolato, veramente desolato e vi porgo le mie scuse.

    La desolazione però, dicevo, ha diversi significati, non si usa quindi solamente per esprimere dispiacere e per scusarsi.

    Un luogo desolato ad esempio può essere un luogo dove non c’è nessuno, e con questo termine vogliamo indicare la sensazione che proviamo noi osservando questo luogo: ci sentiamo tristi guardando questo luogo, vediamo un luogo abbandonato e ci fa tristezza.

    Magari è un luogo che avrebbe grosse potenzialità, o che in passato aveva un aspetto molto migliore invece adesso è stato abbandonato da tutti.

    Può anche trattarsi di un luogo in condizione di rovina, di abbandono, di squallore, un luogo senza apparente possibilità di ripresa.

    Ad esempio la desolazione di una città che è stata bombardata è assolutamente indescrivibile.

    Ma attenzione perché in questo senso possiamo anche non parlare di luoghi, ma anche di situazioni sociali. Io potrei sentirmi in uno stato di desolazione nel senso che mi sento molto triste, mi sento in uno stato di afflizione o di solitudine senza conforto. È impossibile confortarmi, riprendermi, migliorare il mio umore.

    In questo senso esprime solitudine (la parola parla chiaro ancora una volta).

    Posso dire ad esempio che alla sua morte, un papa lascia a comunità cristiana in una profonda desolazione. I Cristiani si sentono soli, abbandonati quando muore il loro papa.

    Quindi la desolazione si usa per esprimere dispiacere per il passato, che è l’argomento di oggi, ma anche per scusarci, per descrivere la tristezza di un luogo o anche una sensazione di solitudine e di abbandono.

    Vediamo adesso la costernazione.

    Termine analogo al rammarico, al rincrescimento all’afflizione ed alla desolazione. Anche la costernazione infatti si usa per cose gravi.

    La costernazione ha però delle sue caratteristiche peculiari. Prima di tutto esprime anche stupore per quanto accaduto. C’è un grave abbattimento, una afflizione profonda, ma anche uno stupore, uno sgomento.

    Sono costernato!

    Potete sentire o leggere questa frase in diverse circostanze, e spesso si usa quando non c’è una vicinanza stretta con le persone o con i fatti accaduti. Un po’ come la desolazione.

    Se muoiono delle persone in una città, il sindaco di quella città può dire:

    Sono costernato e desolato per le vittime

    Il sindaco è costernato e desolato. La costernazione indica un grave dispiacere, ma verso accadimenti che non ci riguardano personalmente o i nostri cari (Se muore tuo padre non puoi dire di essere costernato!).

    Posso anche dire:

    Sono costernato dalle parole di Giovanni!

    In questo caso si esprime anche stupore, non solamente dispiacere. Più che stupore comunque meglio parlare di sgomento, quella sensazione che proviamo quando siamo profondamente turbati da qualcosa, siamo visibilmente smarriti, sbigottiti, attoniti. Ci sono molti modi per esprimere questa forte sensazione di stupore legata ad una sensazione negativa: stupore e dispiacere insieme.

    La costernazione si usa molto nelle dichiarazioni di tutti i personaggi pubblici. Se andate su Google News e digitate “sono costernato” trovate tutte dichiarazioni di sindaci, presidenti e altri personaggi, che si dispiacciono, esprimono un forte dispiacere per qualcosa di grave che è accaduto, o per delle parole dette da altre persone, parole che stupiscono e turbano allo stesso tempo.

    Allora ricapitoliamo: abbiamo parlato di dispiacere – concetto abbastanza generico, di rammarico, più utilizzato per le cose non troppo gravi che accadono e di rincrescimento, più usato nei rapporti sociali. Abbiamo parlato di afflizione (un forte coinvolgimento emotivo) e di desolazione (dispiacere ma un po’ lontano, scuse, tristezza e solitudine).

    Abbiamo infine parlato di costernazione, termine molto usato dalle autorità pubbliche. Si può usare di conseguenza anche al lavoro, in occasioni formali, in caso di eventi, cioè cose accadute, che colpiscono i nostri colleghi o società: licenziamenti, fallimenti eccetera. Adatto anche allo scritto, per comunicare in una lettera o email un dispiacere in questi casi.

    Adesso vediamo invece due concetti particolari: il rimpianto ed il rimorso.

    Qualcosa è accaduto nel passato. in conseguenza di questo si prova del dispiacere. Questo accomuna sia il rimpianto che il rimorso. In entrambi i casi poi si parla di scelte personali. Si parla di scelte quindi, di nostri possibili errori passati che hanno portato delle conseguenze negative.

    Ma qual è la differenza tra rimpianto e rimorso?

    Vi faccio degli esempi e vediamo se riuscite a capire:

    Ho un rimpianto: se avessi studiato di più all’università mi sarei potuto laureare e adesso farei il medico!

    Ho un rimorso: Se non avessi perso così tanto tempo durante gli anni dell’università, adesso farei il medico!

    Maria ha un rimpianto: se avesse avuto un figlio, ora sarebbe felice!

    Maria ha un rimorso: se non avesse deciso di abortire, ora avrebbe un figlio e sarebbe felice!

    Ogni volta che si ha un rimpianto quindi si è dispiaciuti per qualcosa accaduto nel passato, ed in particolare, attenzione, per qualcosa che non si è fatto, che non si è potuto fare, non importa il motivo. Quello che importa è che qualcosa non è accaduto, e la colpa è nostra.

    Se avessi studiato di più all’università (cosa che non ho fatto evidentemente) mi sarei potuto laureare e adesso farei il medico! Invece non ho studiato molto. Avrei potuto studiare di più, quindi ho un rimpianto per qualcosa che non ho fatto. In questi casi posso anche usare il verbo rimpiangere.

    Io rimpiango il fatto che se non avessi perso così tanto tempo durante gli anni dell’università, adesso farei il medico!

    Questo è dunque il verbo rimpiangere, mentre il sentimento che si prova è il rimpianto.

    Il rimorso invece è un sentimento analogo, simile, ma il rimorso si prova quando si è fatto qualcosa e si è sbagliato. In questi casi si dice: se non avessi fatto… quindi il sentimento si chiama rimorso in questo caso.

    Ho un rimorso: Se non avessi perso così tanto tempo durante gli anni dell’università, adesso farei il medico!

    Vedete che la frase è quasi identica con rimpianto e con rimorso, cambia solo il punto di vista: col rimpianto si “piange”, anzi si rimpiange per una scelta, per un qualcosa che non è stato fatto. Per il rimorso invece ci si rammarica per un errore: non per quanto non è stato fatto, ma per quello che si è fatto, che ha portato delle conseguenze negative.

    Nel secondo esempio si vede ancora più chiaramente la differenza:

    Maria ha un rimpianto: se avesse avuto un figlio, ora sarebbe felice!

    Maria ha un rimorso: se non avesse deciso di abortire, ora avrebbe un figlio e sarebbe felice!

    Quindi Maria rimpiange il fatto di non aver avuto un figlio. Se fosse accaduto la vita oggi sarebbe diversa e lei sarebbe felice.

    Ma Maria ha anche un rimorso. Perché non ha avuto un figlio? Perché a suo tempo decise di abortire, e questo è l’errore di cui Maria si è pentita oggi. Maria ha un tremendo rimorso. Ha abortito, quindi questo errore oggi è il motivo della sua infelicità.

    Ho parlato di “pentimento” descrivendo il rimorso. In realtà anche il rimpianto è un pentimento. entrambe sono decisioni sbagliate, scelte sbagliate, errori di cui oggi siamo consapevoli.

    Quello che non vi ho detto è che la parola rimpianto ha anche altri significati abbastanza vicini a quello di cui vi ho parlato. Si ha sempre dispiacere nel passato, ma per altri motivi.

    Ad esempio se parlo di mio nonno, posso dire “il mio rimpianto nonno” (o anche compianto) per dire che era una persona cara che mi dispiace aver perduto.

    Oppure posso dire: “i rimpianti giorni della giovinezza” ad esempio, per indicare il dispiacere che quei giorni, i giorni della giovinezza, della gioventù, sono passati.

    In questi due casi non si tratta di errori o di scelte sbagliate, di pentimenti o cose del genere, ma semplicemente di dispiaceri legati al passato.

    Notate infine che esiste il verbo rimpiangere, legato al rimpianto, e il verbo legato al rimorso è invece rimordere. Rimpiangere si usa però non solo per evidenziare errori o scelte sbagliate, come abbiamo visto finora con rimpiangere ma anche semplicemente per ricordare con malinconia il passato. Sempre di dispiacere però si tratta. Ad esempio

    Io rimpiango il passato.

    Rimordere invece si usa solamente in un modo, analogamente al rimorso. Quindi posso dire:

    Mi rimorde di essere giunto troppo tardi

    Mi rimorde, cioè mi spiace, sono dispiaciuto (attenzione perché si usa “mi”). Sono dispiaciuto, cioè ho un rimorso. Ho fatto uno sbaglio, come abbiamo visto prima con rimorso, per l’appunto.

    Si dice spesso anche “mi rimorde la coscienza” per indicare un rimorso molto sofferto, un errore fatto che chiama in causa la propria coscienza, i nostri valori. Evidentemente si tratta di un errore gravissimo di cui siamo pentiti e a cui pensiamo molto spesso.

    Questa puntata di Italiano Semplicemente è stata utile anche perché, parlando del passato, inevitabilmente abbiamo usato la particella “se” ed ovviamente anche le diverse forme del congiuntivo e del condizionale:

    se avessi fatto…avrei… se fosse stato…sarebbe… eccetera

    Se può esservi utile potete ascoltare anche due episodi passati di Italiano Semplicemente che hanno dei legami con l’episodio di oggi. Sto parlando di quello dedicato a tutti i modi di dire “se” e quello relativo al periodo ipotetico, se vi fa piacere.

    Grazie a tutti per l’ascolto, visitatori e donatori, grazie a Bernadette per avermi suggerito questo interessante episodio e grazie a tutti i membri dell’associazione italiano semplicemente. 

    Un abbraccio da Giovanni

     

    Ah, quasi dimenticavo.

    Ho accennato alla delusione, che è un sentimento o una sensazione che ha molto a che fare col passato e con il dispiacere.

    La delusione è un disagio morale, una sensazione di disagio provocata da un risultato contrario alle proprie speranze, alle proprie previsioni.

    Quando si usa il termine delusione vuol dire che qualcosa è accaduto che mi ha lasciato deluso, mi aspettavo qualcosa in più, credevo accadesse qualcosa di positivo, ed invece la realtà è diversa… che delusione…

    Il verbo è “deludere” che significa venire meno alle aspettative, alle previsioni appunto, alle speranze. La delusione suscita disagio, amarezza, sconforto, disappunto. Vedete quanti termini ci sono: il disagio (è il contrario di agio) non si riferisce al passato, perché il termine indica una condizione o una situazione sgradevole, cioè poco gradevole, non gradevole, per motivi forse morali, economici o di salute. L‘amarezza, lo dice la parola, ci lascia l’amaro in bocca, è quindi legato alla sgradevolezza degli eventi, quindi è una forma di dispiacere legata al passato, o al presente, o anche al futuro, se sappiamo che accadrà qualcosa di negativo.

    Lo sconforto è un senso di amarezza o di prostrazione in conseguenza di gravi fatti o continui eventi avversi. Lo sconforto si prova quando accade qualcosa, e quello che si prova è che non si vedono sbocchi, soluzioni, non si capisce come si può risolvere il problema, allora è un avvilimento. Quindi posso dire che  in un momento di sconforto una persona ha tentato di suicidarsi, ha tentato di uccidersi, di togliersi la vita. A questo può portare lo sconforto.

    C’è una espressione idiomatica tipicamente legata allo conforto: “farsi cadere le braccia“.

    Se dico: mi cadono le braccia, è un’immagine che indica non la caduta, la perdita fisica delle braccia, ma una sensazione di sconforto: sento che non posso fare più nulla per risolvere il problema. Sono veramente sconfortato.

    Ed a te c’è qualcosa che ti fa cadere le braccia? Qualcosa che ti causa un dispiacere, uno sconforto?

    La prostrazione è anch’essa molto grave: è una grave depressione fisica o anche morale, spesso conseguente a gravi malattie che ti consumano il fisico e ti mettono alla prova. Spesso la prostrazione arriva a seguito di eventi traumatici, molto negativi: mi sento prostrato! Questa è veramente una sensazione molto brutta.

    Ho parlato anche di disappunto. Abbiamo visto in un episodio le “espressioni di disappunto“. Ebbene anche queste sono sensazioni negative legate ad eventi accaduti. Spesso non si tratta di cose gravi però. Quello che si prova è un senso di delusione per un improvviso accadimento che ci ha contrariato.

     

     

     

     

     

     

     

    Il segno dei gemelli (introduzione)

    Audio introduzione

    Durata: 28 minuti

    Descrizione

    Vediamo come descrivere i nati sotto il segno dei gemelli. 20 modi diversi, 20 caratteristiche, venti aggettivi per descriverli.

    Episodio dedicato ai membri dell’associazione Italiano Semplicemente.

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    Capitare a tiro

    Audio

    • E’ possibile ascoltare e/o scaricare il file audio in formato MP3 tramite l’audiolibro (+Kindle) in vendita su Amazon.

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    Trascrizione

    Buongiorno amici di Italiano Semplicemente, oggi ci occupiamo di una parola interessante. La parola di cui sto parlando è TIRO.

    In particolare vediamo anche un’espressione idiomatica molto usata: capitare a tiro.

    Tiro: quattro semplici lettere che però possono essere usate in molti contesti diversi. Cominciamo proprio da questa parola.

    Questa parola è molto particolare, perché a seconda della frase in cui è inserita o del contesto in cui è utilizzata ha dei significati completamente diversi tra loro.

    Cominciamo dal mondo del calcio. Il tiro, nel calcio, è quando un calciatore calcia la palla, quando colpisce il pallone.

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    Ma non si tratta di un calcio qualsiasi alla palla, non si tratta di colpire la palla semplicemente, ma di colpire la palla con l’intenzione di fare gol. L’obiettivo del tiro è quello di fare gol, quello di mettere la palla nella porta avversaria. Il termine tiro quindi nel calcio è un sostantivo. Un tiro avviene quando un calciatore tira. Quindi tiro è un sostantivo, mentre tira indica l’azione del tirare da parte del calciatore.

    Tirare è il verbo. Tirare significa quindi calciare la palla verso la porta avversaria. Questo è il senso di tirare nel calcio. Tirare è molto simile a calciare. Ma calciare è semplicemente colpire la palla, mentre tirare è calciare con l’intenzione di fare gol.

    Siamo quindi al verbo tirare. Se usciamo dal calcio e parliamo in generale ci accorgiamo però che tirare ha un significato duplice, cioè un doppio significato.

    Da una parte significa allontanare da sé qualcosa, imprimendogli una forza, quindi significa gettare, lanciare. Qualcosa come un pallone, quando si tira, si allontana da noi, e va verso un un compagno, oppure si tira in rete, verso la porta avversaria; analogamente si può tirare un sasso, una scarpa, i capelli e tante altre cose.

    Dall’altra, tirare significa anche l’esatto contrario, cioè far muovere qualcosa o qualcuno verso di sé esercitando una forza. Ad esempio tirare un cassetto dell’armadio. La mattina quando vado a cercare dei calzini da indossare vado verso l’armadio ed apro il cassetto dei calzini. Per aprirlo devo tirarlo verso di me.

    Analogamente posso tirare il freno a mano della mia macchina quando parcheggio. Posso tirare una persona per la giacca, posso tirare il gatto per la coda (i bambini lo fanno spesso) eccetera. Questo è il doppio significato di tirare dunque: verso di sé oppure verso qualcun altro.

    Tirare in realtà è un verbo usato in molte espressioni tipiche italiane. Abbiamo già visto la frase “tirare a campare” qualche tempo fa, ma questo è uno dei tanti esempi: esiste anche tirarsela ed altre espressioni.

    La parola tiro poi ha altri significati. Un secondo significato è relativo alle sigarette.

    Un tiro in questo caso è l’atto dell’aspirare aria dalla sigaretta. Si tira l’aria verso di sé, quindi si fa “un tiro”, questo però fa parte del linguaggio parlato più che altro, perlopiù giovanile.

    Mi fai fare un tiro?

    Questa è una frase che si sente spesso tra giovani che stanno fumando una sigaretta in compagnia.

    Veniamo al terzo significato di “tiro”.

    Un tiro rappresenta un atto simile al calcio di un pallone. Quello che viene lanciato stavolta è però un’altra cosa: un proiettile ad esempio, oppure una freccia. Il proiettile è la munizione della pistola o del fucile o in generale di un’arma da fuoco. La freccia è la munizione dell’arco, quello che usano gli indiani ad esempio.

    Quindi qui torniamo allo senso di “tirare” che abbiamo nel gioco del calcio: lanciare, allontanare qualcosa verso un obiettivo. Quindi possiamo tirare anche una freccia, una lancia, un colpo col fucile.

    Quindi il “tiro” in questo terzo caso è il lancio di un colpo ma non nel senso sportivo.

    Ci stiamo avvicinando al senso di “capitare a tiro“.

    Quando infatti cerco di colpire un bersaglio, che questo sia una porta di calcio o un oggetto volante o un bersaglio, allora quand’è che noi tiriamo? Noi tiriamo quando siamo abbastanza sicuri di colpire il nostro bersaglio. In caso contrario aspettiamo ancora del tempo prima di tirare.

    Detto in altri termini, noi proviamo a tirare quando il nostro obiettivo “capita a tiro“, cioè quando col nostro tiro facilmente potremo colpire il bersaglio.

    Perché usiamo il verbo capitare?

    Il verbo capitare è un verbo particolare. In genere lo usiamo quando qualcosa accade in modo non programmato, quindi in modo casuale. Quindi “capitare” è come dire “arrivare per caso”, giungere per caso, arrivare in modo improvviso e inaspettato. Non c’è una programmazione.

    Allora qualsiasi cosa può capitare.

    Può capitare una giornata sfortunata? Certo. Capita a tutti prima o poi.

    Può capitare di incontrare casualmente un amico per strada? Ovviamente, capita spessissimo.

    Può capitare di mangiare male in un ristorante dove normalmente si mangia benissimo? Sì anche questo può capitare.

    La stessa cosa “capitare a tiro”. Se giocate a calcio e state pensando di tirare la palla per fare gol, lo farete appena vi capiterà, lo farete non appena vi capiterà la giusta occasione, cioè non appena la porta avversaria vi capiterà a tiro.

    Anche in senso figurato però posso però usare questa espressione.

    Consideriamo che il tiro si fa verso un bersaglio o verso una porta avversaria, quindi se qualcosa vi capita a tiro non è mai una bella notizia per il bersaglio 🙂

    Allora se una persona vi capita a tiro, in senso figurato vuol dire che stavate aspettando la giusta occasione da un po’ di tempo. Stavate aspettando il momento opportuno. Finalmente ora vi è capitata a tiro e potete sfruttare l’occasione.

    Se ad esempio un collega vi fa un torto, fa qualcosa contro di voi, voi siete diapiaciuti per questo, ed è probabile che questo vi farà nutrire dei sentimenti negativi verso questo collega e avrete voglia di dirglielo, di sfogarvi, di vendicarvi per il torto che avete subito.

    Allora non appena ne avete l’occasione, cioè non appena vi capita a tiro potrete fare ciò che avete pensato a lungo: sfogarvi, vendicarvi, o semplicemente dirglielo, sgridarlo, alzare la voce con lui, per fargli notare che vi ha fatto un torto che non avete dimenticato.

    Questo è il senso figurato di capitare a tiro. State sparando in senso figurato, volete colpire un bersaglio non necessariamente in modo fisico.

    Hai sentito cosa mi ha detto il direttore davanti a tutti? Non posso perdonarglielo, aspetto solo che mi capiti a tiro!

    Oppure:

    Ho aspettato molto tempo prima di rivedere il mio ex fidanzato. Mi aveva lasciato senza neanche una telefonata. Ma ieri mi è capitato a tiro per caso. Sapessi quante gliene ho dette!

    Può capitare talvolta di usare o sentire l’espressione non in senso negativo ma è sicuramente più raro e meno adatto. Quindi può accadere che ascoltate:

    devo ricordarmi di avvisare la mia fidanzata di prenotare l’hotel. Appena mi capita a tiro lo farò.

    Può capitare di ascoltare frasi simili ma è sicuramente più raro.

    Ci sono espressioni abbastanza simili a capitare a tiro, che tuttavia vanno usate in occasioni diverse.

    Ad esempio “essere a portata di mano“, questa espressione si usa più con gli oggetti, quando sono abbastanza vicini per essere presi, cioè a portata di mano, vale a dire che se allungo la mano riesco a prendere questo oggetto. Se si usa con le persone è abbastanza minacciosa come espressione.

    Più simile è “capitare sotto le mani” che si usa invece in senso figurato. E’ più informale di capitare a tiro, e esprime maggiormente il senso di voglia di rivalsa, la volontà di fare male a qualcuno, non solo fisicamente intendo.

    Poi c’è venire (o cascare) come il cacio sui maccheroni, che si usa ugualmente per indicare una casualità, ma si usa per sottolineare che è capitata una bella occasione, da non perdere, proprio l’occasione giusta, come il cacio, cioè il formaggio quando lo mettete sui maccheroni, cioè sulla pasta. Ci sta benissimo il formaggio sulla pasta, giusto?

    Grazie di avermi fatto compagnia anche oggi, spero sia stato abbastanza esaustivo. Buona serata a tutti.

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    Fare cilecca

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    Fare cilecca

    Oggi ragazzi vediamo il significato della frase “fare cilecca”. 
    Vi ringrazio di essere all’ascolto di questo episodio di italiano semplicemente.
    Fare cilecca è una delle tante espressioni italiane che utilizzano il verbo fare.

    A memoria mi viene in mente “fare di tutta l’erba un fascio“, poi c’è anche “fare baracca e burattini“, oppure anche “farla franca“, e tante altre espressioni. Nel corso del tempo vedremo tutte queste espressioni di uso quotidiano, basta avere un po’di pazienza.
    Fare cilecca credo sia abbastanza semplice da spiegare. Il significato, o meglio uno dei significati dell’espressione fare cilecca è “mancare il bersaglio” .

    Quindi fare cilecca si usa ogni volta che qualcuno deve riuscire a centrare un bersaglio ma non ci riesce. Si dice che, in questo caso, questa persona ha fatto cilecca. Il bersaglio è ciò che voi volete colpire, è il vostro obiettivo.
    Questo è ovviamente il senso proprio della frase, che si applica alle armi da fuoco. Quando si prova a sparare con una pistola oppure con un fucile, e si cerca di colpire un bersaglio, se si manca il bersaglio, colui che spara ha fatto cilecca.

    Fare cilecca è mancare il bersaglio. Si dice così. C’è però un secondo significato: se la pistola o il fucile non spara, non riesce a far partire il colpo, perché l’arma non funziona per qualsiasi motivo, se cioè l’arma da fuoco si inceppa, per cattivo funzionamento, si dice che l’arma ha fatto cilecca. In questo caso è l’arma da fuoco che ha fatto cilecca. Quindi a fare cilecca può essere colui che spara, se manca il bersaglio, o anche la stessa arma da fuoco, se per qualche motivo si inceppa.
    Quando l’arma si inceppa, l’arma fa cilecca. Il verbo inceppare, non so quanti di voi lo conoscano, si usa con riferimento all’arma. Quando l’arma si inceppa, fa cilecca.

    Ad esempio il grilletto della pistola si incastra, perché magari è poco oleato, perché c’è poco olio, quindi il grilletto è poco lubrificato e quindi si inceppa, si incastra e l’arma non spara.
    Questo è il senso proprio della frase, che è abbastanza semplice.

    C’è un senso figurato, ovviamente, anche in questa frase idiomatica, ed il senso figurato è molto simile comunque a quello proprio.
    Infatti ogniqualvolta che c’è un fallimento, ogniqualvolta qualcosa non funziona come dovrebbe, proprio quando dovrebbe funzionare invece, allora possiamo dire che questa cosa ha fatto cilecca.

    Non è detto che si tratti di una pistola quindi, ma anche di un qualsiasi strumento che ad un certo punto non funziona. Attenzione perché non si tratta di un non funzionamento permanente, ma temporaneo: c’è uno strumento che solitamente funziona sempre, ma ad un certo punto non funziona più e poi magari funziona nuovamente. Non si tratta quindi di una rottura, cioè di uno strumento c’è si rompe, ma di un cattivo funzionamento, temporaneo.
    Facciamo qualche esempio.
    Si dice spesso, in ambito sentimentale, anzi in ambito propriamente sessuale, che un uomo può fare cilecca con una donna. Può capitare. Capita più o meno a tutti gli uomini, prima o poi, di fare cilecca con una donna.

    Cosa significa?

    Significa che qualcosa non funziona, qualche cosa, che solamente non dà problemi, ogni tanto non funziona. In questo caso lo strumento che non funziona è l’uomo, o meglio, quella parte dell’uomo, che è la più importante nell’attività sessuale.

    Può essere per stranezza, può essere per emozione, può essere per eccessivo entusiasmo, o anche per stress. Insomma l’uomo può fare cilecca, e la probabilità di fare cilecca per l’uomo cresce con l’aumentare dell’età.

    Più l’era aumenta, più l’uomo invecchia, maggiore è la probabilità che un uomo faccia cilecca con una donna. Questo è probabilmente il modo più comune di usare la parola cilecca nel linguaggio comune.

    Naturalmente cilecca è un termine informale, assolutamente sconsigliato in occasioni di lavoro o in ufficio, e il motivo è che come dicevo prima, è un termine utilizzato perlopiù in ambito sessuale. Basta fare una ricerca su internet e vedrete quali saranno i risultati della vostra ricerca.

    Ci sono comunque altri ambiti di utilizzo della parola cilecca. Posso dire ad esempio che una gamba ha fatto cilecca. Ad esempio: la gamba mi ha fatto cilecca e sono caduto per le scale. La gamba ha fatto cilecca, cioè non ha funzionato a dovere.

    Normalmente la mia gamba non ha problemi, ma in quella occasione mi ha fatto cilecca e sono caduto dalle scale, magari perché ho mancato il gradino, sono scivolato eccetera.

    Prima ho detto che la gamba non ha funzionato a dovere. Quando qualcosa non funziona a dovere vuol dire che non funziona bene, che non fa il suo dovere, che non fa ciò che dovrebbe fare, cioè il suo dovere. Quindi quando qualcosa non funziona a dovere e questo è un problema temporaneo, allora questa cosa ha fatto cilecca.
    E a voi, amici uomini, è mai capitato di fare cilecca con una donna? Spero che in quell’occasione la vostra donna sia stata comprensiva con voi.

    Spesso accade che in quelle circostanze le donne credano che sia colpa loro, credono di essere loro le colpevoli della défaillance del loro partner, ed invece sappiate che non è mai questo il motivo. Sappiate che, mi rivolgo alle donne che ascoltano, non è colpa vostra o del fatto che non siete abbastanza attraenti.

    Può capitare.

    Certo che se capita molto spesso non si può più parlare di cilecca ma di problema. Un problema da risolvere senza dubbio.
    Esercizio di ripetizione ora. Ripetete dopo di me, state attenti alla pronuncia. In particolare state attenti alla doppia c.
    Cilecca
    …..
    Cilecca
    …..
    Io ho fatto cilecca
    …..
    Tu hai fatto cilecca
    …..
    La mia gamba ha fatto cilecca
    ….
    Noi abbiamo fatto cilecca
    …..
    Vi avete fatto cilecca
    …..
    Loro hanno fatto cilecca
    ….
    Adesso al futuro.
    Spero che domani non farò cilecca
    …..
    Spero che domani ti non farai cilecca
    …..
    Spero che la gamba non mi farà cilecca
    ….
    Noi faremo cilecca
    ….
    Voi farete cilecca
    ….
    Essi faranno cilecca
    …..
    Cari amici anche questo episodio volge al termine, spero vivamente di essere stato chiaro e che ora non abbiate più alcun dubbio sul significato della frase “fare cilecca“.

    Un’espressione simile è: “andare in bianco

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    Putacaso ti tradissi?

    Audio

     

    Trascrizione

    se_qualora_immagine_tradimentoBuongiorno a tutti amici di Italiano Semplicemente. Oggi affrontiamo un argomento molto interessante. Vediamo tutti i modi per dire “se”.

    Lo facciamo con l’aiuto di Adriana e Jasna, che ringrazio calorosamente.

    Conoscete questa parolina italiana “se”?

    Mi riferisco al “se” congiunzione, quella parola usata per costruire delle frasi che contengono delle ipotesi, come ad esempio: “se domani c’è il sole vado al mare”. Infatti la parola “se” ha anche altri significati, e tra l’altro si può scrivere anche con l’accento, come ad esempio “parlare di sé”. Oppure, con accento o senza, posso dire “pensare solo a se stessi”.

    Ecco, in questo episodio di Italiano Semplicemente vorrei invece parlare solamente del “se” congiunzione.

    Bene, una frase molto semplice come quella vista prima: “se domani c’è il sole vado al mare, in cui è presente la parola “se”, la congiunzione “se” può essere scritta, in realtà, in molti altri modi.

    Non c’è dubbio che “se” è la parola più semplice da usare e questa è la parola  che si impara per prima, ma vediamo appunto quali possono essere le varianti, quando si possono usare ed anche quanto sono diffuse tutte queste alternative, tutte questi modi alternativi di dire “se”.

    Cercherò di fare questo  cercando degli esempi divertenti, sperando di riuscirci. Credo che Adriana e Jasna saranno molto importanti.

    Vediamo la prima parola: “qualora”.

    Dunque la parola “se” non è semplicemente sostituibile con la parola “qualora”, che è anch’essa una congiunzione, perché vuole solamente il verbo al congiuntivo. Questa è la spiegazione classica che si dà, ma vediamo degli esempi, perché la grammatica a noi non interessa ed è anche molto noiosa.

    “Qualora ci fosse il sole, domani andrei al mare”.

    Quindi “qualora ci fosse”, e non “se c’è”; “andrei al mare” e non “vado al mare”. La frase quindi è un po’ più complicata perché non si utilizzano i verbi al presente, ma si usa il congiuntivo e poi il condizionale.

    Un italiano, vi dico subito, è difficile che usi questa frase, perché in generale la semplicità è sempre preferita da tutti. Soprattutto è più facile non sbagliarsi, e vi dico che anche il 50% degli italiani sbaglia regolarmente o molto spesso quando deve usare il condizionale o il congiuntivo.

    La parola “qualora” si usa più in ambito lavorativo, nel lavoro, e si usa molto nella forma scritta. Difficile nella forma parlata.

    A dire il vero si può anche dire in altri modi questa frase, anche usando la parola “se”: “se ci fosse il sole, domani andrei al mare” quindi il “se” posso sostituirlo a “qualora”. Non posso fare il contrario però.

    Posso anche dire, ed è ancora più comune: “se ci sarà il sole, domani andrò al mare” . In questo caso si usa il futuro, ed anche questo è un modo corretto di scrivere la frase.

    Vediamo ora: “nel caso in cui”.

    “Nel caso in cui domani ci fosse il sole, andrei al mare”. Abbiamo semplicemente sostituito “qualora” con “nel caso in cui”. Semplice. Diciamo che è un po’ più informale però. “Nel caso in cui” si usa normalmente in ogni contesto. Qualora è un po’ più difficile e più adatto a situazioni professionali e formali. Possiamo anche togliere “in cui” e dire semplicemente “nel caso domani ci fosse il sole, andrei al mare”. Oppure, se avessi una fidanzata come Adriana…

    Adriana: “Nel caso in cui mi tradissi, farei lo stesso”.

    Gianni: Ma no, cara, sai che non ti tradirei mai!

    Adriana: ma qualora lo facessi, anche io ti tradirei”.

    Ecco questo è un altro esempio. Adriana interpreta la mia ragazza, o mia moglie, e dice che se io la tradissi, anche lei mi tradirebbe. Se io cioè non le fossi fedele, se io la tradissi con un’altra donna, anche lei farebbe lo stesso, con un altro uomo…. Credo.

    Nell’eventualità che io tradissi Adriana, anche lei mi tradirebbe.

    Nell’eventualità” è un altro modo di esprimere lo stesso concetto. L’eventualità è una frase ipotetica, una circostanza che potrebbe verificarsi, che potrebbe avvenire. Nel caso in cui è la stessa cosa che “nell’eventualità”, che è la contrazione di “nella eventualità”, che è come dire “nel caso in cui”.

    “Nell’eventualità che” equivale a “nel caso in cui”. Quindi la prima frase che abbiamo visto oggi diventa:

    “nell’eventualità che domani ci fosse il sole, andrei al mare”.

    Adriana: nell’eventualità che mi tradissi, ti ucciderei!

    Ecco appunto…

    Vediamo l’avverbio “eventualmente”.

    Eventualmente si usa molto, ma è un utilizzo particolare.

    Ad esempio potrei rispondere ad Adriana, che mi voleva uccidere e potrei dirle: “Amore, eventualmente potresti accettare le mie scuse?”.

    Eventualmente si utilizza moltissimo, ma spesso si usa con il “se” davanti: “se eventualmente ci fosse il sole, domani, andrei al mare”.

    Oppure posso fare due esempi in cui eventualmente  indica una alternativa finale. Il primo esempio è:

    “se domani piove, sto a casa, ma se eventualmente dovesse uscire il sole, andrei al mare”.

    Oppure, secondo esempio: “se Adriana mi perdona, sono contento, ma eventualmente, mi cerco una nuova casa”.

    Quindi eventualmente in questi due casi è “se non dovesse accadere”, “nel caso in cui non accadesse”, o “in caso contrario”, quindi, come dicevo prima, indica un’alternativa finale, dopo che abbiamo scartato una ipotesi iniziale.

    “Se” ed “eventualmente” quindi non sono la stessa cosa, e come abbiamo visto si possono anche utilizzare insieme.

    Vediamo una parola molto simpatica: “putacaso”. P_U_T_A_C_A_S_O

    “Putacaso” si può scrivere anche staccato, con due parole: puta e caso. Puta caso.

    Ad esempio: “se putacaso ti tradissi ancora, Adriana, mi perdoneresti?” Ok, ok, non c’è bisogno che rispondi.

    Putacaso significa “ipotizzando”, cioè “per ipotesi”.

    “Se per ipotesi ti tradissi ancora, mi perdoneresti?” Anche con putacaso ci vuole il congiuntivo: tradissi e poi il condizionale: perdoneresti. Con putacaso non cambia nulla: “se putacaso ti tradissi ancora”: è la stessa cosa quindi.

    Possiamo anche dire “ipotizziamo che”.

    Ipotizziamo che io ti tradisca. Mi perdoneresti?

    Ipotizziamo che domani ci sia il sole. In tal caso andrei al mare. Posso anche mettere il “se” davanti: se ipotizziamo che domani ci sia il sole…

    Dopo “ipotizziamo” quindi ci va il “che”: ipotizziamo che.

    Una forma familiare di dire “se” è “metti che”. Metti che equivale a “ipotizziamo che”, “o ancora meglio ”ammettiamo che”, ma ora stiamo dando del tu. “metti che” viene quindi da “ammettiamo che”.

    Metti che io ti tradisco, Adriana… ad esempio

    Metti che domani c’è il sole. Avrete notato che il verbo è al presente.

    È quindi una forma molto familiare di “se”. Non possiamo usarlo con una persona che non conosciamo.

    Al limite posso dire “mettiamo che”, che è un po’ meno intimo, ed infatti in questo caso potrei anche usare il congiuntivo: “mettiamo che io ti tradisca”. Ecco quindi l’uso del congiuntivo al posto del presente ci dà già una indicazione del fatto che l’espressione non è familiare. Ma volendo potete anche usare il presente. Dipende dalla situazione familiare o non familiare.

    Se invece uso “ammettiamo che”, allora non è più familiare, ed ancora meno familiare è “ipotizziamo che”.

    Vediamo ancora un altro modo dire “se”.

    Se volessi dire alla mia fidanzata, che qui è interpretata ancora da Adriana, che ho un’altra donna, che cioè ho una relazione con un’altra donna, dovrei trovare le parole più opportune, le parole più adatte, perché avrei paura che lei, avrei paura che lei si arrabbi, e allora in questo potrei usare una forma diversa:

    Adriana: dai, dimmi pure!

    Gianni: Ascolta Adriana, “nella lontana ipotesi” che io abbia un’altra donna, cosa faresti?

    Adriana: ti ucciderei! È facile!

    Gianni: ah ok, grazie cara.

    Ecco quindi questa forma “nella lontana ipotesi” si usa per dire che è poco probabile quello che sto dicendo. È una ipotesi, ma è una ipotesi lontana, come se fosse un luogo lontano da raggiungere, quindi è una ipotesi poco probabile.

    Anche questa è una forma colloquiale, ma si usa anche molto su internet, sui giornali, perché oltre al “se” si dice anche quanto è probabile questo evento. Quindi si aggiunge un’informazione in più. Non solo una ipotesi, ma è una lontana ipotesi.

    Ci sono anche altri modi di aggiungere qualcosa in più, quindi di “allontanare” una ipotesi, o di prendere le distanze da una ipotesi, o anche semplicemente di considerare una semplice eventualità, possibile o anche impossibile che si realizzi.

    Posso dire ad esempio – espressione molto familiare questa – “facciamo finta che”.

    Ad esempio:

    Gianni: Facciamo finta che io abbia un’altra donna, Adriana!

    Adriana: ti ucciderei! È facile!

    Gianni: sì, ok, abbiamo capito.

    Quindi con “facciamo finta” si vuole dire: “non succederà, ma fingiamo, cioè facciamo finta che io ho (o abbia) un’altra donna”. Molto colloquiale come espressione.

    Quindi anche qui ci si sta allontanando, si stanno prendendo le distanze, si sta dicendo che è una finzione, facciamo finta, fingiamo che è ( o sia) vero; non è vero, ma facciamo finta che è (o sia) vero.

    Un altro modo ancora è “semmai”.

    “Semmai dovessi tradirti”, oppure “semmai ci fosse il sole domani, andrei al mare”.

    Questa è abbastanza facile, basta sostituire “se” con semmai. Si usa nello stesso modo.

    Dicevo che anche qui stiamo dicendo che non è molto facile che avvenga, non è molto probabile. “Semmai” dovesse accadere. Semmai contiene la parola “mai”. E si può scrivere anche staccato “se mai”.

    Semmai è usato anche in altro modo, ma qui ci interessa questo utilizzo: quello come congiunzione, quindi da usare al posto di “se”.

    Ci sono altre due modalità di dire “se”, molto usate in Italia.

    Una è “nel momento in cui”. L’altra è “supponiamo che”. Più o meno sono espressioni equivalenti.

    Queste due espressioni sono usate molto nella forma orale, sono abbastanza colloquiali quindi, e la prima forma (nel momento in cui) è più usata della seconda (supponiamo che), che invece è più adatta al lavoro, ma in ogni caso si tratta di espressioni abbastanza universali.

    Io potrei dire ad esempio: “supponiamo che ci sia il sole domani”, oppure “supponiamo che Adriana si arrabbi!” Eccetera. Analogamente una seconda ragazza, Jasna, potrebbe dire ed esempio:

    Jasna: nel momento in cui Adriana scoprisse che abbiamo una relazione, cosa farebbe?

    Gianni: non lo dire neanche per scherzo!

    Nel momento in cui si usa molto spesso per dire “quando”, “appena”, o ”non appena”, o anche “subito dopo” quindi c’è il tempo di mezzo. Fondamentalmente si usa al posto di “quando”, ma spesso può capitare di ascoltare frasi di questo tipo:

    “nel momento in cui riuscissi ”, oppure “nel momento in cui potessi” oppure come nella frase di Jasna, “nel momento in cui Adriana scoprisse che abbiamo una relazione, cosa farebbe?”. In questo caso Jasna sta prospettando una possibilità, sta dicendo:

    “se Adriana scoprisse che abbiamo una relazione, cosa farebbe?”

    Adriana: ti ucciderei! È facile!

    Bene, il risultato non cambia quindi!

    Bene amici, spero però che Adriana non ci scopra (Jasna: lo spero anch’io!). Lo speriamo entrambi! Ma speriamo anche di essere riusciti a farvi capire quanti modi ci sono per dire “se”.

    Adriana: se vi prendo, vi ammazzo a tutti e due!

    Jasna: aiuto!

    Passiamo alla ripetizione. Non pensate alla grammatica, ma ripetete dopo di me:

    – Se domani c’è il sole, vado al mare”

    – Qualora domani ci fosse il sole, andrei al mare

    – Nel caso in cui domani ci fosse il sole, andrei al mare.

    – Nell’eventualità che domani ci fosse il sole, andrei al mare.

    – Se eventualmente ci fosse il sole, domani, andrei al mare”.

    – Se putacaso Adriana mi scoprisse, sarei morto!

    – Ipotizziamo che Adriana mi scopra. In tal caso sarei morto!

    – Metti che Adriana ci scopre? Che facciamo?

    – Mettiamo che Adriana ci scopra. Che facciamo?

    – Ammettiamo che Adriana ci scopra. Che facciamo?

    – Nella lontana ipotesi che Adriana ci scopra, che facciamo?

    – Facciamo finta che Adriana ci scopre (o scopra). Che facciamo?

    – Semmai dovessi tradirmi, ti perdonerei.

    – Nel momento in cui dovessi tradirmi, ti perdonerei.

    Bene, quindi ora concludiamo il podcast. Se, come spero, sono riuscito a spiegarmi, ne sarei molto contento, ma qualora non fossi riuscito a farvi comprendere bene come fare per dire “se” e quanti modi diversi ci sono, ebbene, in tale eventualità, vi consiglio di ripetere l’ascolto di questo file audio più volte.

    L’ascolto ripetuto è molto utile, e, nel momento in cui vogliate ascoltare il mio consiglio, vedrete che non ve ne pentirete. Putacaso però voi non ne abbiate voglia, perché, per un motivo o per un altro, crediate sia tutto molto chiaro, allora questo vuol dire che il vostro livello di conoscenza dell’italiano è molto avanzato. In tale eventualità vi ringrazio comunque dell’ascolto, così come ringrazio anche tutti le altre persone, ed auguro a tutti un buon proseguimento di giornata.

    Un saluto a tutti, ciao.

    Qualora l’Italia vincesse gli europei, ne sarei molto felice. Nel caso in cui non lo vincesse,invece, me ne farei una ragione.

     

     

    Ciascun dal proprio cuor l’altrui misura

    tutte le frasi idiomatiche

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    Trascrizione

    ciascun_dal_proprio_cuor_laltrui_misura

    Ciascun dal proprio cuor l’altrui misura. Spieghiamo oggi questa bella frase.

    Buongiorno a tutti innanzitutto e grazie di essere all’ascolto di Italiano Semplicemente.

    Avrete sicuramente notato com’è piacevole ascoltare questa frase. Ciascun dal proprio cuor l’altrui misura. Una frase molto melodiosa senza dubbio, che viene voglia di ripetere più volte,  tanto è armoniosa e piacevole.

    È una frase che di primo acchito, cioè d’impulso, verrebbe da attribuire a Dante Alighieri. Si può pensare che questa frase sia del sommo poeta fiorentino. Il grande poeta italiano, toscano, fiorentino (cioè di Firenze), famoso in tutto il mondo.
    “Ciascun dal proprio cuor l’altrui misura” però è una frase che è riportata, anche se non in questa forma, in un’opera di un altro autore italiano, molto meno conosciuto rispetto a Dante Alighieri. Si tratta di Pietro Metastasio, un poeta e drammaturgo italiano vissuto nel xviii-esimo secolo.

    Perché l’altrui misura
    ciascun dal proprio core,
    confonde il nostro errore
    la colpa e la virtù.

    Questi sono i versi di una delle sue opere, che chi vuole può approfondire attraverso una ricerca su internet, versi che non contengono esattamente la frase oggetto di spiegazione però.
    In ogni caso, inizialmente oggi vi spiegherò la frase parola per parola,  poi il significato della frase intera ed il motivo per cui è stata scritta in questo modo, apparentemente un po’ strano.
    Dunque:
    “Ciascun” sta per ciascuno, cioè ognuno, cioè ogni persona. Ciascun significa quindi tutti, tutte le persone,  tutti gli esseri umani sulla terra.

    “Cuor”, allo stesso modo, sta per cuore, ed il cuore è l’organo più importante del nostro corpo, l’organo che serve a far scorrere il sangue nelle vene, ed è l’organo, la parte del corpo associato, più delle altre parti del corpo, al sentimento dell’amore, perché quando ci emozioniamo, quando ci innamoriamo, il nostro cuore batte più velocemente.
    Poi si usa spesso nella poesia italiana togliere l’ultima lettera di una parola, quando si tratta di una vocale, quindi la vocale è la lettera “e”, in questo caso, che sta proprio alla fine di cuore.
    Quindi ciascuno diventa “ciascun” e cuore diventa “cuor”.
    “Ciascun dal proprio cuor” è molto più bello all’ascolto di “ognuno dal proprio cuore”, per questo nella poesia italiana si usano le contrazioni, cioè per questo si taglia spesso l’ultima vocale.
    Vediamo ora la parte più difficile: “l’altrui misura”.

    “L’altrui” significa “lo altrui”, e altrui vuol dire “degli altri”, delle altre persone.
    La casa altrui è la casa degli altri, degli altri in generale.
    Il coraggio altrui è il coraggio degli altri eccetera.
    L’altrui quindi significa  “quello degli altri”, ma quello cosa? Di cosa parliamo? Stiamo parlando del cuore.

    Quindi “l’altrui misura” significa “il cuore degli altri misura”, o meglio “misura il cuore degli altri”

    “Ognuno,  dal proprio cuore, misura il cuore degli altri”.

    Se ancora non si riesce bene a capire il senso della frase,  il motivo è che ancora non abbiamo visto la parola  “misura”, ed il suo significato.

    Vediamo quindi la parola “misura”. Si tratta del verbo misurare.
    Io misuro, tu misuri, lui/lei misura, noi misuriamo, voi misurate, essi misurano.
    Misurare significa prendere le misure con uno strumento di misurazione. Ad esempio se misurate la lunghezza di un tavolo, dovete prendere un metro, cioè uno strumento per la misurazione della lunghezza, lo misurate e dite ad esempio che il tavolo misura 2 metri di lunghezza.
    Oppure misurate la vostra altezza e vedete che siete alti 1 metro e 87 centimetri, ad esempio come nel mio caso.
    Oppure, misurate il vostro peso con una bilancia. Salite sulla bilancia e vedete che il vostro peso, la misura del vostro peso è 83 kilogrammi.
    Quindi è importante avere uno strumento per misurare qualsiasi cosa vogliate misurare.
    Senza strumento, senza il metro o senza una bilancia non possiamo misurare altezza e peso rispettivamente.
    Bene, quindi ammettiamo che voi dobbiate misurare un cuore. Come fate? Quale strumento utilizzate per misurare il cuore di un’altra persona? Il cuore di un altro, il cuore altrui. Usate l’unico strumento che avete a disposizione: il vostro cuore. Per vedere, per valutare, per giudicare il cuore di un altra persona, per capire se è un cuore buono o cattivo, prendete il vostro cuore lo mettete vicino al cuore che dovete misurare e confrontate i due cuori, e vedete che i due cuori sono uguali, o meglio sembrano uguali.
    Misurate il cuore di un’altra persona utilizzando il vostro cuore come strumento.
    E questo lo fanno tutti. Ciascuno di noi lo fa. Ciascuno di noi misura il cuore degli altri utilizzando il proprio cuore. Ciascuno di noi misura il cuore altrui dal proprio cuore. “Dal proprio cuore” significa “a partire dal proprio cuore” cioè “prendendo come strumento il proprio cuore” . Cosa significa però?
    Significa che se io ho un cuore buono, cioè se io sono una persona buona, credo che anche il cuore altrui sia buono, anche se non è così.
    Ma questa frase vale per tutte le caratteristiche umane.
    Se io sono una persona che pensa solo a se stesso, se cioè sono un egoista, e mi disinteresso degli altri, allora credo che anche gli altri pensino solamente a se stessi, ad esempio. Credo che anche gli altri siano come me. Se invece sono una persona buona, altruista, cioè penso molto altri altri, agli interessi degli altri, ai loro bisogni eccetera, allora credo che anche gli altri siano così, e non sono portato a credere che ci siano persone egoiste, credo che anche le altre persone siano come me, quantomeno fino a prova contraria.
    Ciascuno di noi misura gli altri partendo da sé stesso, perché è questo l’unico strumento che abbiamo per misurare gli altri.
    Abbiamo solamente noi stessi.
    “Ciascun dal proprio cuor, l’altrui misura”. Una frase molto bella, poetica, una espressione entrata ormai nel linguaggio comune, anche se in realtà non è molto utilizzata. O meglio, è utilizzata da coloro che hanno una cultura abbastanza alta, almeno questo per quanto riguarda la frase originale, con esattamente quelle parole.
    In effetti capita spesso di non ricordare esattamente le parole della frase, ed allora magari si dice: ognuno pensa che gli altri siano come se stessi, ognuno guarda agli altri guardando se stessi, o anche ciascuno giudica gli altri partendo da sé stessi, o cose del genere.
    Insomma, non è facile ricordarsi esattamente di tutte le parole della frase e come dicevo prima, si sente spesso attribuire la frase a Dante Alighieri, perché è a Dante Alighieri che dobbiamo molte frasi entrate nel linguaggio comune, come ad esempio “Chi è causa del suo mal pianga se stesso“, che abbiamo già spiegato qualche settimana fa.
    Spero di essere riuscito a farvi comprendere il significato profondo di questa frase, di questo proverbio italiano.
    È una frase profonda perché si applica a tutte le caratteristiche dell’essere umano. Una persona innocente, timida, che non farebbe male a nessuno, crede che anche gli altri siano così, buoni, affidabili, innocenti, almeno all’inizio.
    Se invece una persona è inaffidabile, che non merita fiducia, allora anche lei non si fiderà di nessuno, non avrà fiducia in nessuno, perché penserà che gli altri siano come lui, o come lei.
    Analogamente, se sei una persona sempre allegra, spensierata, sarai portato a pensare che la felicità dipenda da te, e non dalle cose che ti accadono, e penserai che tutti ragionano in questo modo, e ti stupirai quando vedrai qualcuno che invece non sorride mai, che è sempre triste, anche se non ha un motivo particolare per essere triste e per non sorridere.
    Vi lascio riflettere su questa frase non appena avremo fatto un piccolo esercizio di ripetizione. Spero vi sia utile per capire la pronuncia e per apprezzare l’armonia e la bellezza della frase. Potete se volete ripetere la frase dopo di me, concentrandovi esclusivamente sulla melodia e sulla pronuncia.

    Ciascun dal proprio cuor l’altrui misura.
    …………………

    Ciascun dal proprio cuor l’altrui misura.
    …………………
    Ciascun dal proprio cuor l’altrui misura.
    …………………
    Ciascun dal proprio cuor l’altrui misura.
    …………………
    Ciascun dal proprio cuor l’altrui misura.
    …………………
    Ciascun dal proprio cuor l’altrui misura.
    …………………
    Ciao amici.

    Italiano Professionale – 5^ lezione – Tenacia e Resistenza

    immagine_indice_lezione_5_tenacia_resistenza

    Audio (abstract)

    italiano dante_spunta In questa lezione vedremo le espressioni e le frasi idiomatiche più diffuse ed utilizzate in Italia per esprimere i concetti di Tenacia e Resistenza, qualità fondamentali nel mondo del lavoro.
    spagna_bandiera En esta leccin dos cualidades importantes en cualquier actividad humana, pero sobretodo en el mundo de los negocios.
    france-flag Dans cette leçon, deux qualités importantes dans toutes les activités humaines surtout dans le monde du travail
    flag_en In this lesson we will see the expressions and the most common idiomatic phrases used in Italy to express the concepts of tenacity and endurance
    bandiera_animata_egitto عربي : ميزتان مهمتان في اي نشاط انساني و لكن خاصة في عالم العمل
    russia Два важных качества в любой деятельности человека, в особенности в бизнесе и работе.
    bandiera_germania In dieser Lektion werden die italienishen Ausdrücke und die häufigsten Redewendungen vorgestellt die Konzepte wie die Hartnäckigkeit und die Ausdauer zum Ausdruck bringe.
    bandiera_grecia Δύο ποιοτικά χαρακτηριστικά σημαντικά για οποιαδήποτε ανθρώπινη δραστηριότητα, αλλά κυρίως για τον εργασιακό χώρο.

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    Trascrizione

    1. Introduzione

    Benvenuti nella quinta lezione di Italiano Professionale.

    In questa lezione affronteremo un altro argomento critico che riguarda il mondo del lavoro. Non sarò solo a farlo, come al solito sono con me gli altri membri della redazione di Italiano Semplicemente.

    Oggi in particolare c’è Shrouk, (Shrouk: ciao a tutti) egiziana, Lilia dalla Russia (Lilia: ciao ragazzi!) e Ramona dal Libano (Ramona: ciao sono pronta!). L’argomento di oggi affronta una qualità che tutti i professionisti devono avere, se vogliono avere successo: la “tenacia”. Cos’è la tenacia?

    Prima di iniziare la lezione, ricordiamo che questa lezione riguarda diversi aspetti del mondo del lavoro. È per questo che le “etichette” della lezione sono: presentazione, lavoro e colloquio, trattare. Nelle sezioni 2, 4 e 5 del corso ritroveremo quindi queste espressioni all’interno dei vari dialoghi delle lezioni.

    Se cercate sul vocabolario italiano troverete una definizione di questo tipo: la tenacia è la Costanza, la Fermezza e la Perseveranza nei propositi e nell’azione. Possiamo ad esempio lavorare con grande tenacia, possiamo difendere con tenacia le proprie idee, possiamo agire con tenacia. Tenacia deriva da tenere, cioè non mollare, resistere. Per questo la lezione di oggi si chiama “Tenacia e Resistenza”.

    Possiamo sin da subito fornire dei termini molto simili alla tenacia, che hanno un significato molto vicino alla tenacia, come ad esempio l’insistenza, l’ostinazione, la persistenza, quindi qui c’è l’idea di insistere, di non mollare, di non arrendersi. Oppure anche la “risolutezza” o la “determinazione”. Una persona tenace è una persona risoluta, è determinata, sa quello che vuole, sa dove vuol arrivare e non si arrende mai. Questi ultimi termini sono del tutto equivalenti al termine “tenacia”. Anche la “Volontà” è una qualità abbastanza vicina come concetto. Infatti il termine volontà deriva da volere, e chi ha volontà (willpower in inglese) o chi ha la “forza di volontà”, ha la qualità di volere, appunto, quindi di decidere consapevolmente il proprio comportamento in vista di un certo scopo. Avere forza di volontà è quindi una dote importantissima per tutti.

    I termini “Costanza”, “Tenacia”, ”Fermezza”, “Propositi”, sono evidentemente dei termini non molto facili e immediatamente comprensibili, ma in realtà possiamo spiegare il concetto di Tenacia e simili in parole molto più semplici, ed utilizzeremo oggi quindi anche delle espressioni tipiche italiane, che vi faranno immediatamente capire in cosa consista questa qualità.

    Oggi vediamo quindi varie frasi idiomatiche, le più utilizzate in Italia, per descrivere questa qualità fondamentale, che vale per tutti in ogni campo, ma soprattutto in ambito lavorativo.

    Sono frasi di normale utilizzo dagli italiani, molto meno dagli stranieri, anche coloro che hanno un alto livello. Questo accade perché, evidentemente, chi ha studiato all’università, anche con ottimi risultati, pur sapendo il significato e sapendo anche utilizzare le parole tenacia, fermezza e perseveranza, non avendo vissuto in Italia, difficilmente hanno ascoltato queste espressioni. Chi invece lavora in Italia già da qualche tempo, sicuramente qualcuna di queste frasi l’ha già ascoltata molte volte, ma magari non tutte queste espressioni, perché ogni espressione ha il suo contesto specifico.

    2. Le espressioni idiomatiche più utilizzate

    Cominciamo con alcune delle frasi più interessanti.

    La prima è “chi la dura la vince”. Chi la dura la vince è una frase grammaticalmente scorretta, ma è ugualmente un’espressione tipica italiana…


    Fine abstract