L’11 agosto 1944 Firenze si svegliò con un silenzio diverso. Non era il silenzio della paura, ma quello che precede i momenti storici.
Le campane, finalmente, anche loro, libere di suonare, scandivano l’annuncio: la città era di nuovo in mano ai suoi abitanti.
Tra le strade, piene di macerie e di fiori, la gente si abbracciava.
Mario, giovane partigiano, guardava l’Arno e i ponti superstiti con le lacrime agli occhi.
Era fiero di ciò che lui e i suoi compagni avevano fatto: non solo avevano liberato una città, ma avevano difeso la sua dignità.
Poco più in là, la signora Rosa, con il grembiule ancora sporco di farina, diceva a chiunque incontrasse:
«Sono orgogliosa di voi ragazzi! Avete riportato la libertà a Firenze!»
Il suo era un orgoglio caloroso, fatto di riconoscenza, ma anche di un po’ di compiacimento nel sapere che proprio i giovani del suo quartiere avevano avuto un ruolo decisivo.
E così, tra la fierezza silenziosa di chi sa di aver fatto la cosa giusta e l’orgoglio aperto e rumoroso di chi non trattiene la gioia, Firenze tornò a respirare.
Allora spieghiamo oggi la sottile differenza tra l’orgoglio e la fierezza.
Quando Firenze e dintorni furono liberati dall’occupazione tedesca grazie all’insurrezione proclamata dal Comitato Toscano di Liberazione Nazionale, “I fiorentini erano fieri di aver contribuito alla liberazione della loro città, dimostrando coraggio e unità.
La fierezza è una sensazione positiva, di soddisfazione e dignità per un risultato o per un comportamento, proprio o altrui, spesso con una sfumatura di nobiltà o coraggio.
Essere orgoglioso può avere un significato simile, ma è più ampio e può includere anche un senso di compiacimento personale. In certi contesti può avere una connotazione negativa, se sfocia in arroganza.
Es: Era talmente orgoglioso da non voler ammettere di aver sbagliato i calcoli, anche quando i dati lo dimostravano chiaramente.
Qui c’è testardezza nell’errore.
Oppure se parliamo di una persona troppo orgogliosa per chiedere aiuto, finì per peggiorare la situazione.
Oppure può esprimere una eccessiva competitività:
Orgoglioso dei suoi successi, guardava dall’alto in basso chi non riusciva a ottenere gli stessi risultati.
Orgogliosa delle sue tradizioni, rifiutava qualsiasi innovazione, anche quelle utili.
La fierezza invece è sempre positiva. Esprime dignità, coraggio, onore. È una qualità nobile.
In molti casi comunque è praticamente la stessa cosa dire ad esempio “sono fiero di te” e “sono orgoglioso di te”.
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Giovanni: benvenuti nella rubrica di Italiano semplicemente dedicata al mondo del calcio.
Oggi parliamo della bandiera.
Tutti probabilmente conoscete la bandiera dell’Italia, che è di colore bianco rosso verde. Ogni squadra, nazionale o di club, ha una propria bandiera.
Ma poche squadre hanno un altro tipo di bandiera.
Parliamo di un calciatore simbolo di quella squadra: un “calciatore bandiera” .
Una calciatore bandiera, o semplicemente una bandiera, nel mondo del calcio è un calciatore che rappresenta simbolicamente l’identità di una squadra. Può essere il portiere, un difensore, un centrocampista o un attaccante.
Non solo nel calcio, tra l’altro, esistono le bandiere, ma in generale nello sport.
Generalmente si tratta di un atleta di grande carisma e personalità, che si distingue per il suo attaccamento al club e per la dedizione alla maglia.
Per attaccamento s’intende l’amore per la squadra e per la città. La dedizione invece rappresenta l’impegno continuo nel sostenere un obiettivo, e in questo caso quindi l’impegno nel sostenere la squadra, il dedicarsi completamente alla squadra.
In questo contesto, un calciatore può essere definito una bandiera quando ha giocato per molti anni nella stessa squadra, mostrando continuità e fedeltà.
Esistono diverse bandiere in ogni squadra di calcio, e talvolta più giocatori sono considerati bandiere della stessa squadra, ognuno per ragioni diverse.
Un esempio è l’FC Barcelona, che ha avuto al suo interno diverse bandiere, come Puyol, Iniesta o Xavi.
Altri esempi famosi di bandiere nel calcio, tra le tante, sono:
– Paolo Maldini del Milan
– Francesco Totti della Roma
– Steven Gerrard del Liverpool
– Ryan Giggs del Manchester United
– Lionel Messi del Barcellona
Perché un atleta di questo tipo si chiama proprio bandiera? Perché questo nome?
Perché in qualche modo rappresenta la squadra, ne è il simbolo, proprio come la bandiera che sventola è che riporta i colori e il simbolo della squadra.
Anche al di fuori dello sport comunque si usa il termine bandiera per indicare simbolicamente qualcosa.
Esiste infatti l’espressione “fareuna bandiera” di qualcosa, oppure fare di qualcosa una bandiera.
Significa mostrare un grande attaccamento ad una causa, un’idea, un’istituzione, facendone il proprio simbolo o, appunto, la propria bandiera.
Quindi se da una parte un calciatore che ha giocato per molti anni nella stessa squadra diventa una “bandiera” del club, dall’altra si può dire che un tifoso che segue la propria squadra del cuore, ovunque essa giochi, fa della squadra stessa la propria “bandiera”.
È la squadra che diventa la bandiera del tifoso, perché la squadra lo rappresenta.
Fuori dello sport posso dire che un uomo politico ha fatto della lotta alle discriminazioni la propria bandiera.
Significa che questa persona si è impegnata fortemente nella lotta contro le discriminazioni, facendone il proprio simbolo di lotta. Ha mostrato dedizione e attaccamento a questa causa.
Un’azienda ha fatto una bandiera dell’ecosostenibilità, oppure ha fatto dell’ecosostenibilità una (sua) bandiera, o la propria bandiera.
Si può dire in modi diversi.
Significa che l’azienda si è impegnata a ridurre l’impatto ambientale delle sue attività, facendo dell’ecosostenibilità un valore cardine della sua strategia.
Se una persona “Ha fatto una bandiera della giustizia sociale”: significa che una persona si è battuta con grande passione per un mondo più giusto e solidale, facendo della giustizia sociale il proprio punto di riferimento, la propria bandiera, il proprio simbolo.
Ognuno di noi potrebbe avere una propria bandiera o fare di questa cosa la propria bandiera.
Io ho fatto della coerenza la mia bandiera.
Mia madre ha fatto dell’onestà la sua bandiera.
Se faccio di qualcosa la mia bandiera, parlo di qualcosa che mi caratterizza, che mi identifica, ma di cui vado anche orgoglioso.
Essere orgogliosi di qualcosa, o andare orgogliosi di qualcosa (si può dire in entrambi i modi) è molto importante, altrimenti non è possibile parlare di “bandiera”, a meno che non si stia parlando male di qualcuno, tipo:
I miei avversari hanno fatto della disonestà la loro bandiera.
Apriamo una breve parentesi grammaticale (sapete bene che italiano semplicemente non ha fatto della grammatica la propria bandiera): avrete notato sicuramente questo uso particolare della preposizione di:
Fare di qualcosa la propria bandiera
“Fare di qualcosa” ha il senso di trasformare qualcosa in qualcos’altro, o usare qualcosa in qualche modo, farne un uso specifico. Pensate alla frase:
Che ne hai fatto del mio regalo di compleanno?
Cosa ne farai del libro che ti ho regalato?
Cioè: che ne farai? Che uso ne farai? Lo leggerai, lo metterai in una libreria, lo regalerai o lo butterai via?
Notiamo anche l’espressione:
Fare di tutta l’erba un fascio
A parte il senso figurato di questa espressione, ha esattamente la stessa costruzione di:
Fare di un ideale la propria bandiera
Fare di un calciatore la bandiera di una squadra
Fare di una squadra la bandiera dei tifosi
Chiaramente il verbo “fare” trasmette il senso di un’azione, quindi c’è sempre qualcuno che la compie:
Fai di me ciò che vuoi!
Quindi ciò che segue a “di” è ciò che viene trasformato o adottato o utilizzato.
Un ultimo esempio per chiudere la parentesi su questo episodio:
La squadra della Roma ha fatto polpettedel suo avversario
Cosa è stato “trasformato” in polpette? L’avversario della Roma.
Cosa ne ha fatto la Roma del suo avversario? Ne ha fatto polpette!
Quest’ultimo esempio è un’espressione che si usa talvolta nello sport: fare polpette di un avversario significa distruggerlo, batterlo senza alcuno sforzo. L’avversario che si trasforma o si rappresenta come una “polpetta” per essere mangiato in un solo boccone!
Con questo è tutto per oggi. Fate di questo episodio ciò che volete.
Ci vediamo al prossimo episodio di italiano semplicemente dedicato al linguaggio del calcio.
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Giovanni: nell’ultimo episodio ci siamo occupati di un argomento interessante (abbiamo visto l’espressione essere soliti) ma oggi non voglio essere da meno.
Questa locuzione: “essere da meno” si può usare quando si fa un confronto.
Non essere da meno di qualcuno, significa non essergli inferiore. Solitamente si utilizza con due persone diverse:
Non sono da meno di lui
Non sei da meno di tuo fratello
Non voglio essere da meno del mio collega
Non voglio essere da meno rispetto a ieri
Ecc.
Si usa quindi nei confronti, nei paragoni, generalmente quando è coinvolto l’orgoglio, o la dignità, la propria fierezza, il proprio onore o il prestigio.
In generale potremmo dire che è coinvolto il valore di qualcuno.
Lui è riuscito a laurearsi in soli 4 anni? Io non voglio sicuramente essere da meno! Ce la farò anch’io.
Vedete che spesso c’è coinvolto l’orgoglio e anche il valore di una persona, la voglia di non fare una brutta figura.
Anche io, come lui, voglio laurearmi in 4 anni. Non voglio fare peggio di lui, non voglio essere da meno di lui, poiché non valgo meno di lui.
Si usa quasi sempre con la negazione:
Non possiamo essere da meno degli italiani. Alle prossime olimpiadi dobbiamo vincere noi la gara dei 100 metri. Essere da meno sarebbe un disonore.
Si usa spesso anche “per non essere da meno“, per evidenziare il comportamento di una persona che fa qualcosa per non apparire “meno” importante di un’altra. Si usa però anche in senso ironico:
Es:
Gli americani hanno detto che andranno sul pianeta Marte entro il 2050. I russi, per non essere da meno, hanno detto che loro ci andranno entro il 2040.
forma ironica: Nella partita Roma-Juventus, il portiere della Roma ha fatto una papera sul gol della Juventus. Poi però, per non essere da meno, anche il portiere della Juventus si è fatto fare un gol da principiante.
L’espressione di oggi si usa in tutti i tempi e non solo con le persone. Inoltre con senso simile si può usare anche con verbi diversi da essere, tipo “sentirsi da meno” e “mostrarsi da meno” o “sembrareda meno”:
Il 2018 fu una annata eccezionale per i vini italiani e il 2019 non fu da meno.
Il nuovo iPhone non sarà certamente da meno dell’ultimo.
Non devi sforzarti a dire qualcosa come se fossi da meno se non lo fai.
Non devi sentirti da meno di lui
Mio fratello era bellissimo e io per non sembrare da meno, mi truccavo!
Bravissima l’atleta statunitense nel salto in alto, ma adesso non vorrà mostrarsi da meno l’atleta italiana.
Ultimamente abbiamo fatto bei ripassi e oggi non vogliamo essere da meno.
Allora ascoltiamo cosa hanno da dirci alcuni membri dell’associazione Italiano Semplicemente
Ripasso a cura dei membri dell’associazione Italiano Semplicemente
Anthony: Chi l’ha detto che una poesia debba essere lunga per essere bella? Tant’è vero che Il poeta Giuseppe Ungaretti, parlando dei soldati che muoiono in battaglia ne ha scritta una bellissima intitolata “Soldati” dedicata alla scelleratezza della guerra:
Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie
Mary: in pratica vorrebbe dire che per i soldati morire è solo una questione di tempo. Via via il vento della guerra se li porta via tutti.
Edita: la questione però interessa l’essere umano in generale. Tutti siamo vittime dello scorrere del tempo, proprio come i soldati in guerra. Prima o poi ci troveremo tutti a tu per tu con la morte. Che allegria eh?
Khaled: brava, L’allegria. Proprio questo è il titolo della raccolta in cui si trova questa breve poesia. È questa la sensazione che si prova nel farcela, quando si scampa alla guerra.
Irina: le guerre sono tutte infami, fermo restando che bisogna fare tesoro dei loro insegnamenti, che sembrano a volte insostituibili. Vorrei allora concludere con un messaggio di speranza citando una frase di Gibran:
Per arrivare all’alba non c’è altra via che la notte.
Giuseppina: episodio n. 149 della rubrica “due minuti con Italiano Semplicemente“, per tutti gli stranieri che sono desiderosi di aumentare il loro vocabolario.
Oggi vediamo insieme la parola “ripicca” con due c. La ripicca, una ripicca, ripicche al plurale.
Si tratta di un dispetto, di uno sgarbo fatto da una persona ad un’altra.
Molto comune nel linguaggio colloquiale, quello di tutti i giorni, ma non è dialettale. E’ molto comune perché è legato agli atteggiamenti delle persone, che quando agiscono, quando si comportano in un certo modo possono farlo “per ripicca“.
Ma cosa significa?
Sapete che le persone spesso agiscono mossi dall’orgoglio, o magari sono semplicemente arrabbiate con qualcuno, spesso per questini di poca importanza.
Allora in queste circostanze, una persona potrebbe credere di aver ricevuto un torto, e in questi casi, parecchie persone possono agire per ripicca.
Questo accade quando il loro comportamento è una reazione al torto che credono di aver subito, e non per altri motivi: non perché è normale comportarsi in quel modo, perché è razionale, non perché hanno un carattere particolare e agiscono sempre allo stesso modo, non perché sono pazzi, non perché non hanno capito bene o per qualsiasi altra ragione, ma solo per ripicca: sono arrabbiati, e agendo per ripicca, in qualche modo si sfogano, vogliono dimostrare che hanno subito un torto, non sono d’accordo con una decisione presa, oppure agiscono per ripicca perché sono molto orgogliosi, o perché se la prendono, si offendono facilmente e non sanno nascondere la loro delusione e la loro arrabbiatura. Spesso si tratta di persone impulsive.
Non è positivo fare qualcosa semplicemente per ripicca, perché potrebbe essere illogico, e si rischia di non fare neanche i propri interessi per via del nostro orgoglio che prende il sopravvento sulla razionalità.
Perché oggi non parli? La tua è solo una ripicca, ammettilo! Smettila di fare il bambino!
“Per ripicca” equivale a “per dispetto“, ma un dispetto dovuto ad un presumibile torto subito. Come avrete immaginato, fare una ripicca o agire per ripicca spesso è giudicata come una cosa infantile.
Dai, non essere così esagerato, non puoi non invitare Giovanna al nostro matrimonio solo per ripicca. E’ una nostra amica da sempre!
Il vigile fa una multa a Marco che poi per ripicca danneggia l’auto dello stesso vigile!
Un ragazzo, lasciato dalla fidanzata, per ripicca ha pubblicato le loro foto intime su Instagram!
Ora ascoltiamo una frase di ripasso delle espressioni precedenti.
Giovanni: sì, grazie mamma, ascoltiamo una frase di ripasso da uno dei membri dell’associazione. Chi si offre? Nessun volontario?