Giovanni: come usare il nome di Dio senza fare peccato, senza bestemmiare e neanche dar troppo fastidio a nessuno?
Ci sono varie locuzioni che nel linguaggio colloquiale vengono utilizzate dagli italiani e oggi vi parlerò di “quant’è vero Iddio“.
Iniziamo da Iddio, che si scrive con l’iniziale maiuscola come segno di rispetto. Iddio è una variante di Dio, usata per lo più con tono solenne o anche solamente enfatico:
Tipo:
Iddio padre onnipotente, salvaci dal male!
Nel linguaggio familiare però si usa più frequentemente per enfatizzare, come reazione a qualcosa:
O Signore Iddio!
O santo Iddio!
Soprattutto se accade qualcosa all’improvviso, che ci spaventa, o se ascoltiamo una brutta notizia, possiamo usare queste due espressioni.
Altrettanto diffusa, soprattutto tra le persone più anziane c’è anche:
O Madonna santissima!
O Maria santissima!
L’espressione quant’è vero Iddio si usa invece quando si esprime un forte convincimento.
È in realtà una specie di giuramento, una promessa che si fa a sé stessi o ad altri, una promessa talmente solenne che siete disposti a chiamare in causa Dio.
Questo accade sempre come reazione ad un fatto, che vi spinge a reagire per far sì che questo fatto non accada più o per risolvere il problema definitivamente. C’è qualcosa che ci ha stancato e che va risolto definitivamente.
Quindi ad esempio se dei ragazzi giocano a pallone sotto la mia finestra e la colpiscono proprio con una pallonata, rompendola, questo potrebbe farmi molto arrabbiare.
Magari sono diverse volte che li avviso dicendo loro che non si può giocare li e che è pericoloso, ma senza ottenere alcun risultato.
Quando però sento il vetro andare in mille pezzi grido:
Quant’è vero Iddio stavolta chiamo i carabinieri!
Quant’è vero Iddio stavolta glielo buco ‘sto pallone!
È curioso l’inizio: quant’è vero…
Si sta usando il termine “quanto“, per fare un confronto tra qualcosa di vero, qualcosa di indiscutibile e la mia promessa. Quanto si può usare per fare confronti:
Ho tanti anni quanto te
Io sono intelligente quanto te
Oppure:
Mangio quanto ne ho voglia
Ecc.
Allora “quanto è vero Iddio chiamo i carabinieri” è qualcosa di simile a:
Così come è vero che esiste Dio, allora io chiamerò i carabinieri.
Se è vero che esiste Dio, allora faccio questa cosa.
“Quanto è” diventa “quant’è“, con l’apostrofo, ma volendo si può scrivere anche separatamente con due parole.
Con questa espressione pertanto si fa una specie di promessa, ci si ripromette di fare qualcosa, sebbene poi nella realtà questa promessa spesso non venga mantenuta.
Pertanto la frase spesso resta solo una minaccia, magari per spaventare una persona o metterla in guardia per il futuro.
Quante volte ho sentito mia madre dire:
Quant’è vero Iddio stavolta t’ammazzo!
Lo ha detto più volte al nostro gatto quando rubava il cibo dal tavolo.
Ma il gatto è ancora vivo!
Allo stesso modo, al posto di Dio, si usa il proprio nome:
Quant’è vero che mi chiamo Giovanni, adesso me la paghi!
Come dire: prometto che me la pagherai, e questo è vero quanto è vero che io mi chiamo Giovanni. Si fa anche qui un confronto per dare credibilità alla propria affermazione.
Nessuno può mettere in dubbio il mio nome giusto? E neanche l’esistenza di Dio.
Naturalmente se ci sono altre cose che ritenete più credibili rispetto a Dio o al vostro nome, potete usarle come termine di paragone:
Quant’è vero che sono tuo padre, tu non uscirai più con i tuoi amici la sera per un mese!
La cosa che conta veramente è che siate arrabbiatissimi e che desideriate fortemente un cambiamento.
Adesso ripassiamo qualche episodio precedente. Ma prima un saluto speciale a Daria dalla Russia, che si unita nuovamente al nostro gruppo whatsapp dell’associaizone. Daria ha partecipato in passato a molti episodi. Allora ti dico bentornata e anche che questo ripasso è dedicato a te:
Anthony (Stati Uniti): siamo felici che la nostra amica moscovita Daria sia tornata alla carica. Non mi fa mica specie in realtà. Gli studenti d’italiano dappertutto nel mondo hanno preso atto che questo gruppo va per la maggiore tra chi vuole imparare a parlare l’italiano come si deve. Dacché siamo così in tanti qua nell’associazione, non siamo mai sguarniti di persone con cui interagire e da cui imparare.
Peggy (Taiwan): questi ripassi poi non sono mai un pro forma, perché è proprio con i ripassi che le espressioni si fissano nella mente.
Marcelo (Argentina):benché bisogna fare mentelocale per ricordarle tutte. Meno male che abbiamo un indice di riferimento altrimenti il grosso degli episodi non li ricorderei.
Karin (Germania): abbiamo superato i 650 episodi, senza contare che ce ne sono tanti altri che si trovano in altre rubriche. I membri più indefessi li hanno tutti a mente.
Daria (Russia): allora dovrò correreai ripari perché sono mancata troppo a lungo. Ah, ho dimenticato di qualificarmi! sono io Daria, ma mi avrete sicuramente riconosciuta dall’accento. E grazie del vostro caloroso saluto. Bando alle ciance però. Adesso prendo e micimento subito con gli episodi che mi sono persa!
Giovanni: nell’ultimo episodio ci siamo occupati di un argomento interessante (abbiamo visto l’espressione essere soliti) ma oggi non voglio essere da meno.
Questa locuzione: “essere da meno” si può usare quando si fa un confronto.
Non essere da meno di qualcuno, significa non essergli inferiore. Solitamente si utilizza con due persone diverse:
Non sono da meno di lui
Non sei da meno di tuo fratello
Non voglio essere da meno del mio collega
Non voglio essere da meno rispetto a ieri
Ecc.
Si usa quindi nei confronti, nei paragoni, generalmente quando è coinvolto l’orgoglio, o la dignità, la propria fierezza, il proprio onore o il prestigio.
In generale potremmo dire che è coinvolto il valore di qualcuno.
Lui è riuscito a laurearsi in soli 4 anni? Io non voglio sicuramente essere da meno! Ce la farò anch’io.
Vedete che spesso c’è coinvolto l’orgoglio e anche il valore di una persona, la voglia di non fare una brutta figura.
Anche io, come lui, voglio laurearmi in 4 anni. Non voglio fare peggio di lui, non voglio essere da meno di lui, poiché non valgo meno di lui.
Si usa quasi sempre con la negazione:
Non possiamo essere da meno degli italiani. Alle prossime olimpiadi dobbiamo vincere noi la gara dei 100 metri. Essere da meno sarebbe un disonore.
Si usa spesso anche “per non essere da meno“, per evidenziare il comportamento di una persona che fa qualcosa per non apparire “meno” importante di un’altra. Si usa però anche in senso ironico:
Es:
Gli americani hanno detto che andranno sul pianeta Marte entro il 2050. I russi, per non essere da meno, hanno detto che loro ci andranno entro il 2040.
forma ironica: Nella partita Roma-Juventus, il portiere della Roma ha fatto una papera sul gol della Juventus. Poi però, per non essere da meno, anche il portiere della Juventus si è fatto fare un gol da principiante.
L’espressione di oggi si usa in tutti i tempi e non solo con le persone. Inoltre con senso simile si può usare anche con verbi diversi da essere, tipo “sentirsi da meno” e “mostrarsi da meno” o “sembrareda meno”:
Il 2018 fu una annata eccezionale per i vini italiani e il 2019 non fu da meno.
Il nuovo iPhone non sarà certamente da meno dell’ultimo.
Non devi sforzarti a dire qualcosa come se fossi da meno se non lo fai.
Non devi sentirti da meno di lui
Mio fratello era bellissimo e io per non sembrare da meno, mi truccavo!
Bravissima l’atleta statunitense nel salto in alto, ma adesso non vorrà mostrarsi da meno l’atleta italiana.
Ultimamente abbiamo fatto bei ripassi e oggi non vogliamo essere da meno.
Allora ascoltiamo cosa hanno da dirci alcuni membri dell’associazione Italiano Semplicemente
Ripasso a cura dei membri dell’associazione Italiano Semplicemente
Anthony: Chi l’ha detto che una poesia debba essere lunga per essere bella? Tant’è vero che Il poeta Giuseppe Ungaretti, parlando dei soldati che muoiono in battaglia ne ha scritta una bellissima intitolata “Soldati” dedicata alla scelleratezza della guerra:
Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie
Mary: in pratica vorrebbe dire che per i soldati morire è solo una questione di tempo. Via via il vento della guerra se li porta via tutti.
Edita: la questione però interessa l’essere umano in generale. Tutti siamo vittime dello scorrere del tempo, proprio come i soldati in guerra. Prima o poi ci troveremo tutti a tu per tu con la morte. Che allegria eh?
Khaled: brava, L’allegria. Proprio questo è il titolo della raccolta in cui si trova questa breve poesia. È questa la sensazione che si prova nel farcela, quando si scampa alla guerra.
Irina: le guerre sono tutte infami, fermo restando che bisogna fare tesoro dei loro insegnamenti, che sembrano a volte insostituibili. Vorrei allora concludere con un messaggio di speranza citando una frase di Gibran:
Per arrivare all’alba non c’è altra via che la notte.
Mariana: Scusa Giovanni, puoi spiegarci il termine divario?
Giovanni: Dunque, dicesi divario, una differenza, un distacco, una distanza, specialmente dal punto di vista morale.
Posso dire ad esempio che c’è un divario di cultura tra me e te.
Ecco, l’episodio di oggi però non è sul termine divario, ma sui due termini”dicesi” e “dicasi“.
In Italia fa sempre un po’ sorridere quando si ascolta una frase simile alla mia:
Dicesi divario…
Avrei potuto usare qualsiasi parola al posto di divario. È una modalità che si può utilizzare quando si spiega un termine che non si conosce.
Fa un po ridere perché lo usano in genere per sottolineare l’eccessiva formalità nell’esprimersi, ed anche, a volte, un po’ la superbia di chi spiega.
Equivale a dire:
Si definisce “divario”, eccetera eccetera
Si dice divario eccetera eccetera
Quindi il “si dice” diventa “dicesi”, una forma arcaica, un po’ vecchiotta diciamo, che deriva da regole metriche antiche.
Ad oggi la si sente utilizzare in matematica, quando si dà una definizione di un termine:
Ad esempio: Nei triangoli rettangoli, dicesi ipotenusa il lato opposto all’angolo retto
Cioè si chiama ipotenusa, si dice così, questa è la definizione esatta di ipotenusa.
Ci sono anche altri termini simili, nel senso che rispondono alla stessa regola, ma pochi sono rimasti nell’uso corrente come: cercasi (si cerca), affittasi (“si affitta”), vendesi (si vende), saputasi (si è saputo), avvicinatosi (si è avvicinato) ed altri ancora, volevasi (si voleva).
Comunque “dicesi”, questo è uno dei termini che ci interessa oggi, è molto simile a dicasi, con la “a”, che non si usa per dare spiegazioni tecniche e complicate, ma soprattutto in questo modo:
Lo stesso dicasi
Altrettanto dicasi
Queste due forme hanno lo stesso significato e si usano per fare confronti in modo un po’ formale, una modalità spesso usata dai giornalisti ma anche da tutti coloro che amano essere precisi. C’è un pizzico di formalità anche qui.
Vediamo degli esempi:
In Italia abbiamo sofferto molto per il coronavirus, lo stesso dicasi ovviamente per altri paesi come il Brasile.
Sentiamo una professoressa di italiano cosa dice ai suoi studenti:
Flora: Così ragazzi non va bene. Giovanni deve studiare di più. Domani sarà nuovamente interrogato. Lo stesso dicasi per Sofie e Ulrike.
Sofie: Ma guarda tu che sfortuna! Altrettanto dicasi per te Ulrike
Giovanni: in effetti le due studentesse sono state sfortunate. Comunque ci sono altri modi ugualmente utilizzati per esprimere lo stesso concetto di “lo stesso dicasi“.
Lo stesso per te (basta eliminare “dicasi”)
Vale lo stesso per te
La stessa cosa vale per te
Ugualmente per te
Stesso discorso per te
Per te uguale
Uguale per te
Queste ultime due sono più informali. L’episodio finisce qui. Ma ascoltiamo anche una frase di ripasso dalla studentessa Ulrike.
Giovanni: Buongiorno a tutti. In questo episodio parliamo di Italiano Professionale.
Trattiamo un argomento particolare che riguarda il mondo del lavoro ed useremo un linguaggio più difficile del solito.
Questa infatti è una lezione legata al corso di Italiano Professionale e precisamente alla lezione n. 14 dedicata ai confronti ed agli scontri. Il corso è di livello almeno intermedio, non per i principianti della lingua, è un corso che solamente i membri dell’associazione Italiano Semplicemente possono leggere ed ascoltare. Oggi però, come facciamo spesso, vogliamo aiutare tutti a capire di cosa si parla nel corso e quali argomenti vengono trattati.
Io e Daria quindi oggi utilizzeremo alcune delle espressioni spiegate nella lezione n. 14. Daria, un membro dell’Associazione, che saluto e ringrazio per questo, ha voluto provare ad usarne alcune e lo ha fatto come ascolterete, molto bene.
Spero che questa puntata speciale di italiano semplicemente possa essere utile a tutti benché sia un po’ più difficile delle altre. Allora Daria ci parla di scontri e confronti, un argomento che accomuna sicuramente tutte le attività e tutti i mestieri, vero Daria?
Daria:
Buongiorno Giovanni. Si è proprio così. Parlerò di scontri e confronti. E sai che ho pensato mentre ascoltavo le spiegazioni che hai fatto insieme a Mohamed, Ulrike ed Adriana?
Che parlando di questi due aspetti particolari in ambito lavorativo non si può non fare riferimento ad uno speciale rapporto controverso molto diffuso al lavoro.
Si tratta del rapporto tra l’ufficio vendite e l’ufficio marketing nelle aziende commerciali. Allora, oggi vorrei usare le espressioni della lezione numero 14 del corso di italiano professionale per descrivere il rapporto tra questi due uffici.
Dunque, il nocciolo della questione sta proprio nello scontro che avviene di sovente tra questi due uffici: l’ufficio vendite, cioè le persone addette alla vendita dei prodotti ai clienti sono convinti di essere il dipartimento più fruttuoso. Infatti sono loro che stipulano l’accordo di vendita con gli acquirenti e che quindi producono i profitti dell’azienda. In aggiunta, le attività dell’ufficio vendite sono sempre evidenti e facilmente misurabili.
Dall’altra parte, esattamente al contrario dell’ufficio vendite, l’ufficio marketing svolge tutte quelle attività che hanno a che fare con il concetto del prodotto che è, o che potrebbe essere, nella mente dei consumatori. Ad esempio la conoscenza del prodotto, la soddisfazione legata ad esso, e anche il desiderio di acquistarlo.
Si tratta di aspetti fondamentali, senza i quali i consumatori non sarebbero neanche a conoscenza del prodotto stesso e non potrebbero neanche acquistarlo. Probabilmente non ne avrebbero neanche voglia.
Allora, così come è inutile volere la botte piena e la moglie ubriaca, nessun prodotto si vende senza le spese e le attività associate alla promozione. Perciò si deve assegnare qualche risorsa anche a fini pubblicitari ad esempio. La pubblicità, come si dice, è l’anima del commercio.
Il problema qual è?
Il problema è che facendo la promozione del prodotto l’ufficio marketing spende denaro dell’azienda per attività che, come si è detto, sono indispensabili, ma i risultati in termini di vendite e profitti sono poco misurabili, a differenza dell’ufficio vendite.
Cosa fare ad esempio se il prodotto non si riesce a vendere come previsto neanche dopo che il budget è stato speso?
Si legge, tra le righe, che l’ufficio vendite dà la colpa a quello di marketing per aver speso soldi inutilmente. E per cavarsi d’impaccio l’ufficio marketing accusa di contro quello delle vendite per non avergli dato abbastanza soldi per condurre la campagna promozionale nella stessa misura in cui lo fanno i concorrenti.
Qualsiasi sia il risultato delle vendite, secondo la mia personale opinione, non è accettabile andare così facilmente alla resa dei conti coi colleghi, soprattutto se non si è pienamente consapevoli del risultato del proprio lavoro.
A nessuno dovrebbe essere permesso, in un’azienda che si rispetti, neanche di alzare i tacchi durante un incontro per evitare una discussione sensibile. Cosa che avviene puntualmente.
Se c’è stato un disguido che ha fatto degenerare una discussione, si dovrebbe chiamare in causa qualcuno che di mestiere, tra l’altro esattamente questo: dirimere le discussioni, un altro mestiere quest’ultimo, fondamentale a mio avviso e dalle risultanze poco misurabili con gli strumenti classici.
Qualcuno che dia un colpo al cerchio e uno alla botte insomma e faccia andare avanti la baracca prima che si vada ai ferri corti. Questo delicato ruolo può essere interpretato anche da una figura come il direttore generale ad esempio, oppure da una seconda figura specializzata, che con abilità possa riuscire a far capire bene l’antifona a tutti riguardo ai rischi legati alle controversie, aiutando le parti a scendere a compromessi.
Nonostante una certa divergenza d’idee, assolutamente normale in un luogo di lavoro, per tutti sarebbe bello metterci una pezza prima che sia troppo tardi.
In questo modo gli impiegati litigiosi non avranno scuse e, al bisogno, dovranno ritirarsi di buon ordine.
Cosi, l’ufficio vendite e l’ufficio marketing, spesso con un aiuto esterno possono rimediare a un incomodo, accontentandosi entrambi.
E’ molto probabile che anche voi abbiate vissuto personalmente un caso simile a quello descritto oggi.
Spero che nel vostro caso non si tratti di scontri all’arma bianca perché come saprete ne uccide più la lingua che la spada.
E come dice un altro proverbio italiano: “è meglio un magro accordo che una grassa sentenza”.
Un saluto a tutti!
Giovanni: Bene Daria, grazie, un ottimo argomento quello trattato da te oggi. Hai utilizzato anche alcune espressioni in più che ho evidenziato con il colore rosso sul testo.
Non vi scoraggiate – parlo ai visitatori di Italiano Semplicemente – se trovate queste espressioni un po’ complicate; Daria parla già molto bene ed in questo modo sta aumentando le proprie competenze in ambito professionale.
Per chi è interessato alla lezione n. 14 del corso, per capire quindi come e quando poter usare queste espressioni come ha ben fatto Daria oggi ed anche per partecipare a tutte le altre attività dell’associazione si può chiedere di aderire e diventare membro. Vi aspettiamo.