291 – Andava o è stato?

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Trascrizione

Giovanni: Molti stranieri hanno difficoltà nell’utilizzare correttamente il tempo dei verbi. Ovviamente.

Vediamo oggi qualcosa sul verbo andare e in particolare quando usare l’imperfetto o il passato prossimo: devo usare “andavo” oppure “sono stato“? Andavi o “sei andato”? “Andava” oppure “è stato“? eccetera.

La risposta dipende anche dal significato che diamo al verbo andare:

Margherita ha fatto un esame.

La sua amica, il giorno successivo la chiama perché è curiosa di sapere come… è andata.

Allora le chiede: come è andato l’esame? Oppure: com’è andata?

Bene, è andato/andata alla grande! E’ andato/andata benissimo!

Com’è andata alla gara di nuoto?

E’ andata male, ho perso!

Ah, mi spiace, vedrai che la prossima volta andrà meglio!

Giovanni parla con suo figlio e gli dice: in matematica non vai molto bene, devi recuperare, devi studiare un po’ di più.

E suo figlio gli risponde:

Papà, tu come andavi in matematica quando avevi la mia età?

Andavo bene, replico io. Andavo bene in tutte le materie tranne in italiano. Lì andavo male, avevo 5.

Quando ero un bambino, abitavo vicino alla scuola, quindi andavo a piedi.

E tu come andavi?

Avete capito che questa domanda ha due possibili significati: andare nel senso di rendimento scolastico (andavo male, andavo bene), oppure andare nel senso di recarsi a scuola, quindi: andavo a piedi, andavo in autobus, andavo in bicicletta.

Non si può rispondere “sono stato a piedi“, oppure “sono stato bene“. Nel primo caso non ha nessun senso, nel secondo invece: “sono stato bene” ha tutto un altro senso, perché significa che ci si riferisce allo stato d’animo:

Xiaoheng: Come sei stato alla festa ieri sera? Non mi tenere sulle spine!

Giovanni: Bene, sono stato proprio bene, c’era tanta gente e ci siamo divertiti moltissimo!

Sono stato tutto il tempo a parlare con gli amici, gli stessi amici con cui andavo a scuola da piccolo. Andavano tutti male loro, io ero l’unico che andava bene a scuola. Forse anche perché io abitavo molto vicino alla scuola: andavo a piedi infatti. Loro invece andavano tutti in treno. La festa è finita alle due di notte. Siamo stati molto felici di rivederci.

Iberê: Una festa con i fiocchi?

Giovanni: Esatto!

Andrè: Immagino che oggi accuserai il colpo per aver fatto tardi.

Sofie: Sì, può darsi!

Ulrike: Allora come lo vedi un bel caffè?

Giovanni: Ottima idea!
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290 – In sospeso

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Giovanni: Quella di oggi è una locuzione (non mi piace per niente questa parola ma la devo usare!) molto utilizzata da tutti gli italiani: In sospeso.

Si tratta del verbo sospendere.

Mariana: Vuoi fare il sostenuto anche oggi Giovanni?

No, non è il verbo “sostenere” ma è “sospendere“, che a volte sono verbi simili.

Per farvela breve, quando qualcosa è “in sospeso” (uso il verbo sospendere) significa che è ancora da finire, ancora da terminare o da pagare. Attenzione però a due cose importantissime.

1 – Si usa per rappresentare qualcosa di fermo, che non è in stato di movimento, quindi se sto facendo un compito di italiano e non ho ancora terminato, non posso dire che il compito è in sospeso, perché semplicemente lo devo ancora terminare. Posso dire che è in via di completamento, che sto terminando, che tra poco terminerò, ma non che è in sospeso.

“In sospeso” si usa invece quando qualcosa è iniziato e poi si è interrotto e non si sa bene fino a quando la situazione non cambierà.

Dovevano pagarmi oggi lo stipendio, ma il pagamento è ancora in sospeso. Chissà perché e chissà quando si sbloccherà la situazione!

oppure:

Ho chiesto alla mia fidanzata di sposarmi. Lei però ancora non mi risponde. Ed io sarò in sospeso finché non deciderà.

Quindi io mi trovo in uno stato di dubbio, di attesa. Chissà quando deciderà e chissà cosa mi risponderà…

Si usa anche “tenere in sospeso” quando c’è la volontà di creare un’attesa, uno stato di dubbio e di incertezza.

La mia ragazza mi tiene in sospeso da un mese. Ma quando si deciderà?

Cristine: Ma ti rendi conto che una ragazza ha bisogno di tempo?

Carmen: Infatti, ma passi un giorno, passi anche una settimana, ma non può durare all’infinito!

Se Poi, se qualcuno mi tiene in sospeso, posso anche dire che sono stato lasciato in sospeso.

Tenere in sospeso e lasciare in sospeso sono due espressioni usate molto spesso.

Non voglio lasciare nulla in sospeso con te, quindi ti pago ciò che devo pagarti, così possiamo dirci addio!

Poi esistono le questioni in sospeso:

Io e Giovanni abbiamo una questione in sospeso

Ho chiesto al mio capo un aumento dello stipendio ma la questione è ancora in sospeso

Una questione in sospeso è qualcosa che non trova una conclusione. A volte poi è relativa ad una litigio, a qualcosa da chiarire tra due persone che è rimasta così, in sospeso.

Veronica: Spesso, quando le questioni rimangono in sospeso, prima o poi arriva la resa dei conti!

Naturalmente ogni volta che uso questa locuzione si deve chiarire di cosa si sta parlando, perché altrimenti non si capisce. Cosa è in sospeso?

Al lavoro sono ancora in sospeso.

In che senso scusa?

nel senso che non si sa se mi rinnoveranno il contratto

Quindi è necessario specificare, anche nella stessa frase:

Il mio rinnovo contrattuale è ancora in sospeso.

2. E’ molto importante usare la preposizione “in” altrimenti il concetto non è chiaro. Infatti la “sospensione” ha molti significati diversi, come anche il verbo “sospendere“.

Ci sono espressioni comunque con un significato simile:

Restare col fiato sospeso, ad esempio, significa trattenere il respiro, ma si usa quando si ha una forte emozione oppure quando sta accadendo qualcosa di molto importante che porterà a risultati incerti.

Quando ci sono i calci di rigore tutti i tifosi restano col fiato sospeso! Poi, se tutto va bene, tirano un sospiro di sollievo…

L’episodio finisce qui. Oggi ho fatto un esperimento. Le frasi di ripasso le abbiamo utilizzate all’interno dell’episodio anziché metterle alla fine come facciamo sempre.

Se vi piace possiamo continuare così anche nei prossimi episodi.

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289 – la congruità

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Giovanni: mi chiedo spesso: la durata di due minuti per un episodio è una durata congrua? Oppure ai visitatori di Italiano Semplicemente piacciono episodi più lunghi?

La congruità è una caratteristica interessante perché si può usare quando parliamo di qualsiasi argomento.

Stiamo parlando di adeguatezza. Mi chiedo cioè se due minuti siano un tempo adatto, un tempo rispondente alle esigenze dei visitatori. Mi chiedo se sia una durata opportuna, adatta, perché se non fosse una durata congrua sarebbe probabilmente troppo corta o magari troppo lunga.

La congruità serve sempre ad associare due elementi che in qualche modo devono essere legati tra loro. Quando mi chiedo se esiste congruità, quando mi chiedo se una cosa qualsiasi è congrua devo sempre chiedermi:

Deve essere congrua rispetto a cosa?

La durata di 2 minuti per un episodio può essere congrua rispetto alle esigenze di Ulrike dalla Germania, che magari ama gli episodi brevi, ma potrebbe non essere congrua per le esigenze di Sofie, che invece magari ama episodi più lunghi.

Ma quante cose possono essere congrue? Qualsiasi cosa può esserlo.

Se io acquisto un buon corso di italiano per 1 euro… beh, evidentemente questo prezzo non è congruo al valore del corso. Il prezzo non è un prezzo opportuno, non è quello giusto, non c’è proporzionalità tra il valore del corso e il prezzo.

Si usa molto in economia e negli affari:

L’offerta fatta per l’appartamento non è congrua, quindi l’abbiamo rifiutata.

Un partito può avere una congrua rappresentanza in Parlamento. Quindi è soddisfacente, è abbastanza alta.

Posso usare la congruità anche nella vita di tutti i giorni:

Per fare una doccia occorre una congrua quantità d’acqua. Altrimenti non sarà sufficiente per lavarsi.

Spesso stiamo parlando di una quantità, ma non specifichiamo l’esatta quantità, diciamo solamente che deve essere congrua, cioè sufficiente per ottenere un certo risultato, o sufficiente rispetto a qualche altra cosa. Parliamo in ogni caso di un confronto tra due quantità o caratteristiche che possono avere un valore che possiamo dire alto o basso.

Possiamo anche affrontare in modo congruo delle esigenze.

Cioè con la dovuta attenzione, dando la giusta importanza alle cose.

In modo congruo si dice anche “congruamente“.

Dobbiamo congruamente affrontare il problema dell’inquinamento.

Allora devo trovare strumenti adeguati per fare questo.

E la congruenza? E’ come la congruità?

Sì, esiste anche la congruenza. Quando due cose non si sposano bene tra loro (si dice anche così), quando non si nota un legame chiaro quando invece dovrebbe esserci, possiamo dire che non c’è congruenza tra queste due cose. Le due cose non sono congruenti.

Giovanni è un po’ strano ultimamente. Non c’è molta congruenza tra quello che dice e come si comporta. Non ti sembra?

In questo caso il confronto è reciproco. Tra loro, due cose non sono congruenti. Oppure lo sono.

Allora in questi casi non c’è alto e basso, non c’è un elemento che ha o non ha abbastanza una caratteristica rispetto ad un’altra, ma c’è solo una mancanza di sintonia, solo qualcosa che stona, qualcosa che non va, una mancanza di logica. Quindi mentre la congruità fa riferimento all’adeguatezza di un elemento rispetto ad un altro, nel caso della congruenza le due cose si confrontano tra loro per vedere se sono congrue tra loro.

Se due persone vanno d’accordo probabilmente c’è una congruenza nei valori delle due persone, una certa vicinanza. Insomma non possono essere totalmente opposti.

Si tratta di un linguaggio probabilmente poco comune nel linguaggio parlato, ma è molto adatto in un contesto lavorativo, dove c’è domanda e offerta quindi si è abituati a fare confronti, confronti che possono essere congrui oppure no. Molto usato nel linguaggio scritto commerciale e giornalistico.

Al lavoro quindi, o in affari, se ti fanno un’offerta economica e non la ritieni sufficiente, anziché dire:

L’offerta non è giusta

È troppo poco

Non va bene

Puoi dire: l’offerta non è congrua, non riteniamo che l’offerta sia congrua, non c’è congruità tra il valore offerto e quello reale.

Se invece chi vuole acquistare fa ottimi apprezzamenti, dice “meraviglioso questo appartamento” e poi l’offerta è scarsa, si può rispondere dicendo:

Non c’è congruenza tra le dichiarazioni e l’offerta.

Bene, vi invito a ripetere l’ascolto se non è tutto chiaro. Alla prossima.

Scusate per la durata eccessiva ma tra complessità del concetto e durata della spiegazione ci deve essere una certa congruenza.

Ripasso:

Xiaoheng: È così ci siamo sorbiti un altro episodio di due minuti.

Due minuti? Un parolone, direi.

Meglio se lasciamo correre!

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288 – Fare il sostenuto

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fare il sostenuto

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Giovanni: ascoltate questa frase:

Giovanni non mi sta molto simpatico, poi ultimamente fa il sostenuto.

Fare il sostenuto è ovviamente un’espressione idiomatica.

Giovanni fa il sostenuto significa che Giovanni assume l’atteggiamento da sostenuto, quindi si usa il verbo fare, ma in realtà sarebbe: Giovanni si comporta da sostenuto, assume questo atteggiamento.

Ma cosa significa? Sostenuto viene da sostenere, che è un verbo che in genere si usa per esprimere un’opinione. Ad esempio

Io sostengo di aver ragione

Francesco sostiene che la verità sia un’altra

Invece in questo caso “sostenuto” non c’entra con “sostenere” inteso in questo modo, ma come “sostenere” nel senso di “portare”, “non far cadere”. o anche “aiutare”

“Io ti sostengo” ad esempio significa che io ti sorreggo, fisicamente o moralmente. Io faccio in modo che tu non cada o che tu non ti abbatta, o magari ti sostengo economicamente, ti supporto, ti aiuto, per non farti avere difficoltà economiche. Si parla di sostegno economico, di sostegno morale, di sostegno fisico, esiste anche il sostegno politico.

Sostenere ha anche a che fare con la velocità: se cammino a passo/ritmo sostenuto vado velocemente, lo stesso se lavoro a ritmo sostenuto, cioè lavoro velocemente. Ha inoltre a che fare con l’altezza, perché se dico che sono sostenuto da una corda, o da un pavimento allora questa corda o questo pavimento mi sostengono, cioè mi impediscono di cadere in basso. Anche in questo caso si può parlare di un sostegno. Anche un bastone può essere un sostegno, poiché mi impedisce di cadere.

Ci stiamo avvicinando, perché se io mi comporto da sostenuto, o meglio se faccio il sostenuto, significa che cerco di stare “in alto”, ma in un senso particolare. Non è un comportamento giudicato positivamente, anzi.

Chi fa il sostenuto, in genere ostenta, cioè mostra palesemente un atteggiamento di distaccata superiorità. In pratica questa persona si comporta come se fosse “superiore”, come se fosse più “in alto”, in qualche modo e reagisce agli eventi come se non avessero effetto su di lui.

Questa espressione si usa soprattutto quando una persona anziché mostrarsi offesa di qualcosa, fa finta di niente, mostra indifferenza, mostra distacco, ma in realtà è molto dispiaciuta per aver ricevuto un’offesa: non ti guarda in faccia, cammina a testa alta, non ti sorride, risponde seriamente alle domande e se gli chiedi:

C’è qualche problema?

Ti risponde: nulla, non c’è nessun problema!

Ad esempio: stiamo programmando una vacanza in Brasile tra amici ma non lo diciamo a Giovanni.

Giovanni voleva venire ma quando è venuto a sapere di questo viaggio a cui non è stato invitato, ha fatto il sostenuto e non si è mostrato offeso, mostrando invece indifferenza.

Divertitevi!

Ha detto….

Io ho molto da fare quest’estate…

Ci sono alcune espressioni simili, tipo atteggiarsi, o avere la puzza sotto il (o al) naso,  darsi delle arie, tirarsela. Ma “fare il sostenuto” è spesso legata alle offese ed è anche meno informale delle altre.

Comunque si può fare il sostenuto anche in altre circostanze, non solo quando si è offesi.

Se una donna mi guarda molto innamorata io potrei fare il sostenuto e non mostrarmi coinvolto emotivamente.

Potrei parlare di mia figlia e fare il sostenuto mentre elenco tutte le sue qualità. Poi alla fine potrei non resistere più, iniziare a sorridere e a mostrare tutte le mie vere emozioni.

In generale quindi questa espressione si può usare quando non si vogliono mostrare le vere emozioni. 

Adesso sentiamo un bel ripasso da parte di Bogusia.

Bogusia (Polonia): Una mia amica non si è mai capacitata di come io possa imparare l’italiano senza studiare la grammatica. Funziona che è una meraviglia.
Di sorbire tutte quelle regole grammaticali non me la sentivo più. Neanche per sogno. Passi che ho comprato tanti libri, passi pure che ho perso tanto tempo per fare gli esercizi, però non sono riuscita a sopportare più il fatto che non potevo esprimermi così, di punto in bianco, all’occorrenza. Mi ronzavano per la testa solamente le regole grammaticali. Intendiamoci, non è che io sia dura di comprendonio. Darmi per vinta, proprio non è cosa, pensavo, e mi sono data alla ricerca di soluzioni a destra e a manca. Poi ho trovato il metodo TPRS. Mi sono detta: perso per perso, proviamoci. Ho preso e ho iniziato ad ascoltare gli episodi di italiano semplicemente. Adesso, a ragion veduta, è stata la decisione azzeccata. I remoti ricordi della battaglia contro la grammatica lasciamoli pure correre. È l’ora della svolta. Un giorno, vedrai, partendo alla volta di qualsiasi luogo in Italia, vuoi per una ragione vuoi per un’altra, non verranno più meno le parole, non ti sentirai più fuori luogo e riuscirai ad ovviare ai discorsi più complessi. Basta solo aderire all’Associazione italiano semplicemente e in men che non si dica sarai in grado di sfoderare le frasi che vuoi senza sgarrare e accusare il colpo per mancanza di parole. Tutto questo passerà in cavalleria. È fattibile, altro che storie. Con l’associazione caschi bene, perché nel nostro gruppo Whatsapp c’è sempre qualcuno per darti manforte , non c’è dubbio di sorta.

Giovanni: sì, in effetti Bogusia ha ragione, il metodo funziona. potete provarlo anche voi.

Che ne dite, sembrava un atteggiamento abbastanza sostenuto il mio?

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287 – Degnarsi di

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Giovanni: oggi parliamo della dignità.

Cos’è la dignità? È un pregio? Oppure un difetto? È sicuramente una caratteristica dell’uomo, dell’essere umano, ed è qualcosa che si sente; è simile al rispetto, anche verso sé stessi.

Per avere dignità bisogna avere dei valori morali importanti e questi sentimenti, questi valori si devono tradurre in comportamenti adeguati, devono diventare comportamenti dignitosi, che dimostrano rispetto per i valori più importanti.

Difficile spiegare in poco tempo il concetto di dignità, ma voglio dirvi che nella lingua italiana si usano spessissimo frasi come:

Non sei degno del mio rispetto

Che significa “non meriti il mio rispetto”, quindi io non ti rispetto perché non te lo meriti, non sei degno del mio rispetto.

Essere degni di qualcosa in generale viene inteso come meritare questa cosa, e ci si riferisce generalmente a dei meriti morali: rispetto, amore, amicizia, stima, ammirazione.

In genere chi non ha caratteristiche positive, legate al rispetto delle altre persone o di sé stesso, si dice che non ha dignità e chi non ha dignità non viene reputato meritevole di ricevere non solo sentimenti positivi ma anche premi, onori, complimenti. Ma a questa persona probabilmente neanche interessa il parere degli altri.

Possiamo dire anche che questa persona non è degna di qualcosa:

Non sei degno di far parte della mia famiglia

Cioè non sei all’altezza, non sei abbastanza meritevole, non hai abbastanza qualità morali e cose di questo tipo.

È un’offesa abbastanza grave.

Si usa anche il verbo “degnarsi” di fare qualcosa. Il verbo degnarsi, riferito a sé stessi, dunque, si usa quando si parla di comportamenti dignitosi. Non parliamo però stavolta di qualità morali in generale di una persona ma di un singolo comportamento, che potrebbe non essere “dignitoso”.

Ad esempio se scrivo un messaggio di auguri di Natale a Giovanni e lui non mi risponde, potrei pensare che Giovanni non è stato educato con me, ma posso anche dire che Giovanni non si è degnato di rispondere ai miei auguri.

Questo verbo quindi si usa per singoli comportamenti.

Solitamente si usa in frasi negative ma non sempre. Si tratta però sempre di rimproveri, di giudizi negativi.

Non ti sei degnato neanche di guardarmi mentre ti parlavo.

Sono tuo padre, dovresti degnarti di venire a trovarmi, ogni tanto. Non credi?

A volte si usa anche in modo leggermente diverso:

Maria non mi ha degnato di uno sguardo

Equivalente a:

Maria non si è degnata di guardarmi

Si tratta sempre di giudizi, ma dicendo però “non mi ha degnato” è come se io non fossi degno di essere guardato da lei. Io sono stato trattato da persona indegna, cioè non degno di essere guardato, come se non meritassi di essere guardato da Maria.

Insomma la dignità è sempre la protagonista della frase, una volta è la dignità di Maria, l’altra volta è la mia ad essere messa in discussione.

Ora voi potreste dirmi:

Per il rispetto verso il nome della rubrica dovresti degnarti di terminare questo episodio.

Ok, avete ragione, l’episodio finisce qui, solo il tempo di una frase di ripasso con Sofie dal Belgio.

Sofie: Ho un po’ di tempo libero e avrei voluto fare una bella telefonata con mia madre se non fosse che lei si sente sempre in dovere di darmi qualche buon consiglio. Così ho rinunciato.
Figlia mia, dice sempre, se stai da sola e hai due minuti devi fare di necessità virtù e dare un’occhiata al corso d’Italiano Semplicemente. Mamma, scusa ma
non me la sento di sorbirmi i tuoi soliti discorsi. In fin dei conti hai anche ragione tu.
A inizio anno mi ero prefissa di ascoltare almeno un episodio dei due minuti al giorno e non vorrei venir meno alle mie buone intenzioni. Adesso mi ci metto, non fosse altro che per smarcarmi dal senso di colpa.

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286 – Se non fosse che…

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Giovanni: voi stranieri sapete bene che il congiuntivo è difficile da utilizzare non è vero?

Sappiate che il congiuntivo molto spesso si utilizza anche in modi particolari, in alcune espressioni tipiche del linguaggio soprattutto parlato.

Qualche puntata fa abbiamo visto ad esempio “non fosse altro che” in cui si usa il congiuntivo del verbo essere: “fosse” (la terza persona singolare del congiuntivo imperfetto).

Fosse” si usa anche in altre espressioni come ad esempio “se non fosse che“.

Oggi voglio spiegarvi proprio questo modo particolare di usare “fosse”. Si tratta di congiuntivo imperfetto.

Ebbene il congiuntivo imperfetto del, verbo essere “fosse”, si può usare per  fare ironia.

Esempio:

La ragazza mi darebbe un bacio volentieri se non fosse che sono bruttissimo.

Avrei potuto dire: se non fossi bruttissimo la ragazza mi darebbe un bacio. Questa frase è correttissima ma non è ironica.

Si tratta di una modalità molto usata all’orale, un po’ meno allo scritto in quanto abbastanza colloquiale.

Tuttavia essendo un modo per fare ironia, per strappare un sorriso, questo fa sì che si usi anche allo scritto quando si espone un fatto o una opinione.

Ad esempio:

Il ministro ha detto che sul ponte di Messina bisogna andare piano con la macchina, altrimenti si fanno incidenti. Allora si potrebbe commentare questa notizia dicendo:

L’opinione del ministro è condivisibile, cioè il ministro ha ragione, se non fosse che il ponte di Messina non è stato costruito.

In questo modo si fa ironia sulla frase del ministro.

La frase è equivalente a:

Il ministro avrebbe ragione se il ponte di Messina fosse stato costruito.

Può capitare che la frase a volte sia non ironica, ma è più difficile.

Ad esempio potrei dire che:

Ho perso molti soldi per colpa della crisi e la cosa sarebbe molto preoccupante se non fosse che a molte altre persone è accaduto la stessa cosa.

In questo caso uso “se non fosse che” per cambiare il mio punto di vista.

Un altro esempio:

C’è un calciatore che ha guadagnato talmente tanto denaro che ha acquistato 3 ferrari, una maserati e una lamborghini. Bellissime auto, se non fosse che questo calciatore non ha la patente.

Vedete che c’è sempre un po’ l’effetto sorpresa ogni volta. È questo che rende spesso la frase ironica.

Si rappresentano ogni volta situazioni strane, bizzarre, paradossali. In questi casi è opportuno usare questa particolare espressione.

Un ultimo esempio:

Questo è un episodio che ha una durata di circa 5 minuti complessivamente. Niente di strano, se non fosse che fa parte di una rubrica che si chiama “2 minuti con Italiano semplicemente”.

Allora è il momento di ripassare le espressioni passate. Le ripasserei volentieri tutte, se non fosse che si tratta di ben 285 episodi.

Sofie:

Oggi ho sentito una cosa strana. All’inizio pensavo fosse una fesseria o quantomeno una notizia priva di fondamento, ma… no! A quanto pare si parlava sul serio.

Adesso siamo nel pieno della fase tre ma tu, hai contezza della situazione? Alcune cose non sono come prima! Se vai in biblioteca e vedi una persona, un tuo amico che ha appena riconsegnato il libro che volevi leggere da tanto tempo potresti cogliere l’occasione al volo e chiedergli il libro per portartelo via a casa… Allora il bibliotecario potrebbe dire “Giù le mani!” Eh sì, all’insegna delle misure anti Covid-19 anche un libro pur essendo un oggetto inanimato va in quarantena per 10 giorni dopo essere stato toccato dalla persona che l’ha preso in prestito precedentemente….

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285 – venir meno

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Venir meno

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Giuseppina: Qualche puntata fa abbiamo visto il termine defezione. Ebbene molto spesso nelle stesse circostanze si può usare “venir meno“, che esprime sempre una mancanza.

Si può usare venir meno ogni volta che ci aspettiamo qualcosa che poi però non accade. Questa è la regola generale.

È una modalità che si usa generalmente in ambienti di lavoro, ma la usano spesso anche i giornalisti. I ragazzi in genere non la usano.

Si usa in quattro modi diversi.

La prima modalità è quando muore qualcuno:

Franco è venuto meno

può significare che Franco è deceduto, ma generalmente in questi casi si usa dire che Franco è venuto a mancare.

Una frase tipica è “è venuto a mancare all’affetto dei suoi cari” che può diventare “è venuto meno all’affetto dei suoi cari”.

Seconda modalità: Anche quando una persona perde i sensi, cioè quando sviene si può utilizzare venir meno:

Maria è venuta meno all’improvviso ed è caduta.

Anche in questo caso si può usare l’espressione “venire a mancare“.

Quindi Maria ha perso i sensi, magari ha avuto un calo di pressione.

Terza modalità: Generalmente venir meno si usa quando una persona non rispetta un impegno preso in precedenza, ad esempio quando non mantiene una promessa.

Ad esempio se il tuo amico Giovanni ti promette:

Domani ti vengo a trovare, promesso!

Poi invece Giovanni non viene, quindi Giovanni viene meno alla sua promessa, viene meno alla sua parola, viene meno alla parola data.

In tali casi si usa anche questa espressione: venir meno alla parola data.

Giovanni, perché sei venuto meno alla tua promessa? Perché sei venuto meno al tuo impegno? Perché sei venuto meno alla tua parola?

Il che equivale a dire:

Perché non hai mantenuto la promessa? Perché non sei venuto? Perché non hai fatto ciò che avevi detto?

Analogamente riguardo ad un arbitro di calcio posso dire che:

L’arbitro non deve venir meno al suo ruolo di super partes, cioè non deve venir meno al suo ruolo di arbitro imparziale. L’arbitro non deve cioè favorire una delle due squadre.

La quarta modalità, anch’essa molto utilizzata, non si riferisce a impegni e responsabilità, ma semplicemente a qualcosa che doveva accadere e poi non accade più.

Se oggi sono interessato ad andare al ristorante e poi invece cambio idea, posso dire che il mio interesse è venuto meno.

Analogamente può venir meno la mia presenza ad un appuntamento per un inconveniente.

Oppure:

Con la diminuzione del contagio è venuta meno la necessità di costruire reparti speciali per i malati Covid.

Ora ripassiamo, non vorrei venir meno alle vostre aspettative:

Ulrike: Oggi tocca a me sfoderare alcune frasi di ripasso. Non è che voglia darmi importanza, per questo, tanto meno intendo fare la saputella. Ragion per cui se non ci sono problemi ho preparato qualcosina. Allo stesso tempo questo è utile per me, perché così tento di ovviare al solito problema della dimenticanza. Ormai siamo all’episodio 285: Buttate pure un occhio sull’elenco della rubrica due minuti con italiano semplicemente. Pavento seriamente di andare in tilt per tutte le espressioni che mi ronzano per la testa e quasi ogni giorno Giovanni ne aggiunge un’altra. Non resta che rispolverare le puntate precedenti nel migliore dei modi, cioè usandole attivamente con qualche frase di ripasso. Appunto.


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284 – Non fosse altro che…

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Non fosse altro che

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Giovanni: Quando si vuole dire che una cosa è sufficiente per giustificare qualcosa (un’azione, un’opinione) si usa spesso un’espressione particolare:

Non fosse altro che…

A volte si mette anche l’apostrofo:

Non foss’altro che…

Vediamo qualche esempio:

Domani mi piacerebbe andare al cinema insieme a Giovanni e Carla, non fosse altro che per vedere se si amano veramente.

Probabilmente ci sono più motivi per andare al cinema, non solo quello, ma è sufficiente soddisfare questa curiosità, cioè vedere se c’è amore tra Giovanni e Carla.

Spesso poi si usa quando non si è proprio convinti di fare qualcosa, ma allo stesso tempo varrebbe la pena farlo solo per togliersi uno sfizio, una curiosità, non fosse altro che per quel motivo, anche se questo potrebbe portare conseguenze negative saremmo disposti a farlo lo stesso. Ad esempio:

Guarda, licenziarmi è l’ultima cosa che farei, il lavoro è molto importante per me, ma a volte penso: chissà che faccia farebbe il mio sgarbato direttore. Lo farei non fosse altro che per questo.

Quindi si usa in due modi principalmente: quando un motivo è sufficiente per fare o non fare qualcosa o quando si prova o si proverebbe molta soddisfazione a fare questa cosa.

Attenzione perché “non fosse altro che” è diverso da “non è altro che”.

Ad esempio:

Vorrei sapere il segreto che mi nascondi, non fosse altro che per soddisfare la mia curiosità

Vorrei sapere il segreto che mi nascondi. Non è altro che per soddisfare la mia curiosità.

Nel primo caso la soddisfazione della curiosità è sufficiente, ma potrebbero anche esserci altri motivi per cui si vuole conoscere il segreto.

Nel secondo caso (non è altro che) significa che è solo per quello, è solamente per soddisfare la curiosità. Non ci sono altre ragioni.

Ora ripassiamo:

Emma: abbiamo un grosso problema al lavoro. Per colpa tua la situazione ci è sfuggita di mano. Siamo alle solite. Laddove volessi chiedere manforte a qualcuno non avrei la più pallida idea di chi chiamare in causa. Tra l’altro, non vedo come sia fattibile rimanere sul vago, e far finta di niente nel momento in cui il nostro collega renderà conto di quella vendita al direttore. Poi dice perché ti avverto prima. Fai sempre cose che finiscono a nostro discapito, ma adesso ora ne paghi lo scotto. Eccome!


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283 – Defezione

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defezione

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Giovanni: ogni volta che vado a giocare a calcetto con i miei amici ci sono delle defezioni all’ultimo minuto e alla fine non si gioca mai.

Ci sono delle defezioni: cosa sono le defezioni? Avete già capito che è qualcosa di non positivo.

Ogni volta che c’è una defezione si parla di persone che dovevano esserci, dovevano essere presenti (ad una riunione, ad un appuntamento o altre occasioni) e alla fine non ci sono. In genere si parla di impegni presi da qualcuno, qualcosa su cui contavano altre persone, qualcosa di importante che prevedeva la presenza fisica in un luogo, come un campo di calcio: quando un giocatore diceva di venire a giocare e alla fine non viene più, ecco che c’è una defezione, c’è una persona che si è tirata indietro, c’è qualcuno che è venuto meno.

Agli allenamento della squadra di oggi ci sono state due defezioni: due calciatori che hanno avuto problemi di salute.

Molti stranieri avevano prenotato le vacanze in Italia ma poi ci sono state molte defezioni.

Vale a dire che molti stranieri hanno disdetto la vacanza prenotata: hanno telefonato e hanno detto: mi spiace ma non veniamo più.

Quando viene a mancare qualcuno, in qualunque occasione (tranne in caso di morte), è opportuno usare il termine defezione. Non si tratta di un termine usato da tutti, ma tutti gli italiani lo capiscono senza problemi.

I ragazzi non lo usano ad esempio, preferiscono parlare di “assenze“, un termine usato nella scuola.

Giovanni non viene più, Giovanni sarà assente. Giovanni mancherà.

Ma potete tranquillamente dire: abbiamo una defezione, c’è una defezione per la partita di oggi. Si tratta di Giovanni.

Si usa spesso anche in politica o in economia, e in tutti i campi dove spesso si parla di impegni e responsabilità:

Potremmo avere alcune defezioni per colpa del coronavirus.

Tra i professori ci potranno essere defezioni all’inizio dell’anno.

Quando si parla di defezioni spesso si utilizza un’espressione particolare che approfondiamo al prossimo episodio: “venir meno“.

Per ora ascoltiamo un bel ripasso da parte di Emma:

Emma: c’è chi pensa che di fronte agli accadimenti derivanti dal coronavirus, il governo giallo – rosso purtroppo è venuto meno alle aspettative, il che ci ha preso alla sprovvista parecchio. Con situazioni inedite, ci vogliono delle capacità specifiche per fare ripartire l’economia, sia per il bene delle imprese sia per quello dei cittadini.


L’inizio e/o la fine di ogni episodio dei “due minuti con Italiano Semplicemente” servono a ripassare le espressioni già viste e sono registrate dai membri dell’associazione. Se vuoi migliorare il tuo italiano, anche tu puoi diventare membro. Ti aspettiamo!

282 – Neanche per sogno!

Audio

Neanche per sogno, manco per sogno

Trascrizione

Giovanni: quanti modi ci sono per dire no?

Molti. Oggi ne vediamo uno che esprime un forte no, un forte dissenso, direi anche fortissimo.

L’espressione è “neanche per sogno“.

La parola neanche credo la conosciate tutti: è formato da né e da anche, che insieme diventano “neanche“, che si usa come neppure e nemmeno.

In effetti l’espressione di oggi “neanche per sogno” può diventare “neppure per sogno” o “nemmeno per sogno” con lo stesso identico significato.

Quando si usa questa espressione?

Si usa quando voglio dire no, e aggiungiamo che è un forte no, è un no che ci sarebbe anche se le cose sarebbero più gravi, ben peggiori di come sono. Oppure quando sono semplicemente molto convinto.

Il “sogno” rappresenta i nostri pensieri notturni. A volte i sogni rappresentano i nostri desideri, le nostre maggiori speranze, ciò che desideriamo, ma in questo caso si parla di un modo creativo di esprimere un assoluto dissenso.

Neanche per sogno significa:

assolutamente no!

Potremmo anche dire dire:

Non ci penso neanche!

Ma che scherzi?

O semplicemente: assolutamente no!

Ad esempio: ti piacerebbe morire?

Risposta: neanche per sogno!

Potrei anche dire:

Non me lo sogno neanche! Non ci penso nemmeno!

Vogliamo andare al mare?

Nemmeno per sogno! Non me lo sogno neanche di uscire con questo caldo!

Ovviamente è una espressione informale che si usa solo all’orale. Se volete essere eleganti o state scrivendo una comunicazione di lavoro un forte dissenso può essere espresso con:

Questa cosa non ci interessa minimamente!

Non è assolutamente il caso.

La prego, non insista!

Non ho il minimo dubbio in merito!

e l’ultimo modo è:

Neanche per idea

Nemmeno per idea, neanche per idea, neppure per idea: l’idea al posto del sogno. Il senso non cambia.

Ora ripassiamo un’espressione precedente con Emma:

Emma: Gianni non ha lasciato nulla di intentato per rendere la conversazione più motivata via Zoom con i membri di Italiano semplicemente. Oltretutto, in fatto di episodi nuovi suggeriti dai membri, ne abbiamo discusso veramente durante la Video chat, e così non è venuto meno alla sua promessa.


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