Italiano Professionale – lezione 30: Il titolare e il facente funzione

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Descrizione

Lezione 30 del corso di Italiano Professionale. Ci troviamo sempre nella sezione n. 3, dedicata alle riunioni e agli incontri.
L’argomento è il “facente funzione” o “facente funzioni“.

Vediamo però tutti i termini usati per indicare la sostituzione temporanea di una persona in ambito lavorativo.

facente funzioni

Sapere, potere, riuscire, essere in grado, essere capace, arrivare, farcela

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Buongiorno a tutti e benvenuti su ItalianoSemplicemente.com.

Un episodio utile quello di oggi per capire le differenze di significato tra alcuni verbi. Parliamo in particolare delle capacità. Sono capace di fare qualcosa? Ci riesco? Posso farlo? lo so fare? Sono in grado di farlo? Ci arrivo? Ce la posso fare?

I verbi in questione sono sapere, potere, riuscire, arrivare e farcela. Poi ci sono anche alcune espressioni che possono essere utilizzate al posto di questi veri, che sono “essere capace“, e “essere in grado“.

Questo episodio nasce dal fatto che, frequentando molte chat di stranieri, mi rendo conto delle difficoltà che avete voi non madrelingua italiana.

Gli errori che fanno gli stranieri non sono gli stessi che fanno i ragazzi italiani. E’ anche per questo motivo che trovo molto affascinante questo “mestiere”. Chiamiamolo così, sebbene io mi diverta molto e sia molto motivato nel cercare di capire i vostri problemi e come spiegare o chiarire alcuni concetti.

Allora si diceva dei verbi simili e delle espressioni varie da usare.

Vediamo alcune frasi:

Io no so suonare la chitarra

io non riesco a suonare la chitarra.

Io non posso suonare la chitarra

Io non sono in grado di suonare la chitarra

Io non sono capace di suonare la chitarra

Io non ce la faccio a suonare la chitarra

Dunque se “Io no so suonare la chitarra” significa che non ho la capacità di suonarla, perché nessuno me l’ha insegnato.

Se io “io non riesco a suonare la chitarra“, significa che c’è qualcosa che mi impedisce di suonarla. Forse ho un problema alla mano. Potrei farlo, ma c’è qualcosa che me lo impedisce. C’è qualcosa di personale che mi riguarda. Questo impedimento può essere di qualsiasi tipo, fisico (come un problema alla mano) o anche psicologico. Magari quando ci ho provato il mio insegnante mi diceva sempre che non ero portato, che non avevo le abilità, o magari questo maestro mi stava antipatico, talmente antipatico che ora provo un senso di disgusto verso questo strumento.

Se dico ad esempio che non riesco a studiare con il rumore, sto manifestando una mia debolezza, una mia caratteristica. Non riesco a concentrarmi, non mi mancano le capacità, sarei perfettamente in grado di farlo, ma non con il rumore perché deve esserci assoluto silenzio.  C’è un’incapacità a portare a termine qualcosa per qualche motivo che riguarda me, le mie capacità fisiche o mentali.

Un altro utilizzo di sapere è poi quello della semplice conoscenza. Semplice nel senso di non approfondita (se è approfondita meglio usare il verbo conoscere), tipo:

Sai che sto imparando l’italiano?

Lo so, me l’ha fatto sapere tua madre.

Ma questo non ha niente a che fare con le capacità di fare qualcosa. Si tratta di conoscenza.

Se io “Io non posso suonare la chitarra“, il senso è abbastanza simile a riuscire. Tuttavia il verbo potere si preferisce usare quando sono coinvolte questioni esterne o altre persone. In genere non si tratta di me, ma di altri.

Io non posso suonare la chitarra perché i miei vicini di casa si lamentano del rumore che faccio!

Analogamente:

Andiamo a casa mia a studiare. Puoi venire nella mia macchina, perché c’è posto.

Potete studiare fino a giovedì, perché venerdì facciamo l’esame.

Potete stare tranquilli perché a casa mia non c’è nessuno.

Non possono venire anche le ragazze a casa mia altrimenti mia madre non crederà che stiamo studiando!

Scusi professore, posso andare al bagno?

Vedete che dipende da circostanze esterne e non da me. Queste circostanze possono impedire l’azione stessa.

Per usare riuscire, devo generalmente trovare ragioni personali:

Andiamo a casa mia a studiare. Anche se siamo in 6, se ci stringiamo  riusciamo ad entrare tutti in macchina.

Se riuscite a studiare almeno due ore al giorno fino a giovedì, venerdì farete un bell’esame.

Riuscite a stare tranquilli? Non c’è motivo di essere nervosi!

Il verbo potere però non è del tutto slegato dalle questioni personali. Infatti potere esprime anche la facoltà di fare anche secondo la propria volontà (non è detto solo della volontà di altri o di eventi esterni) mentre il verbo riuscire ha molto a che fare con il risultato, con lo scopo da raggiungere oltre che le abilità personali o con l’esperienza. Quindi se io”posso” fare qualcosa, non significa necessariamente che riesco a farlo bene. E questo potere, questa facoltà, questa possibilità può dipendere anche dalla nostra volontà. Anche questa può fungere da ostacolo. In qualche modo anche la nostra volontà la trattiamo come se fosse un elemento esterno.

Se ti chiedo:

Puoi aiutarmi per favore?

Voglio dire: ne hai voglia? Oppure: hai tempo? Oppure: hai la possibilità di farlo?

Ci sono elementi esterni o anche interni che possono impedirti di aiutarmi. Se dicessi:

Riesci ad aiutarmi?

Questa forma è ammessa, ma è leggermente diversa, perché significa più: Hai le capacità di aiutarmi? Sapresti renderti utile? O al limite anche: riesci a trovare il tempo per aiutarmi?

Un altro esempio:

Ieri avrei dovuto suonare il violino ma non avevo voglia di farlo, oggi invece sto bene, posso suonarlo tutto il giorno senza problemi.

Non ci sono impedimenti, quindi oggi posso farlo, posso suonarlo. In qualche modo è un’azione  che può iniziare, ma magari lo suonerò male (qualità, risultato) ma non ci sono impedimenti. Per questo meglio usare “potere”.

Quindi occorre distinguere non solo tra circostanze esterne e quelle che dipendono solo da me, ma anche distinguere la facoltà col risultato.

Vediamo adesso “essere in grado“:

Io non sono in grado di suonare la chitarra

Essere in grado è equivalente a “riuscire” e sottolinea ancora di più il fatto che dipende da noi stessi e non da altre persone o da fattori esterni. Trova il suo utilizzo ottimale con la negazione: “non sono in grado”, che è ancora più forte di “non riesco”.

Non sono in grado di suonare la chitarra sembra precludere anche ogni possibilità futura.

Analogamente:

“Non sono in grado di mentire” è come dire che manca qualcosa di fondamentale, o c’è qualcosa di troppo che mi impedisce di mentire: il mio carattere, la mia mentalità, la mia educazione. Difficile che in futuro io possa riuscire a mentire.

Non essere in grado di fare una cosa può significare quindi che mancano le capacità.

Si capisce ancora meglio con altri esempi:

Le persone poco intelligenti non sono in grado di risolvere esercizi complicati

I bambini molto piccoli non sono in grado di capire le battute ironiche

Mio nonno di 95 anni non è in grado di usare Whatsapp.

Infine c’è “essere capace“, che chiama in causa la capacità.

Io non sono capace di suonare la chitarra

E’ esattamente come “sapere“: manca la capacità, quindi non so farlo, perché nessuno mi ha insegnato e quindi non ho imparato a farlo. Se non sai fare una cosa non sei capace di farla.

Però “non essere capaci” si usa spesso anche per evidenziare pregi o difetti personali.

Non sono capace di mentire, è più forte di me!

Ecco, in questo caso indico la mia incapacità nel mentire, che deriva evidentemente dal mio carattere, dalla mia cultura, educazione, eccetera. E’ un mio pregio. Ma si usa anche e forse ancor di più per evidenziare i difetti, tipo: “I giovani di oggi non sono capaci di parlare correttamente” o “non sono capaci di prendere decisioni”.

Quindi rispetto a “non essere in grado”, che si usa soprattutto per evidenziare la mancanza di qualcosa, “essere capace” si preferisce usarlo per evidenziare pregi e difetti.

Se torniamo a “non essere in grado”, è interessante notare che la mancanza di qualcosa che ti impedisce di fare qualcosa può anche avvenire usando il verbo “arrivare“:

Si usano spesso frasi di questo tipo:

Non ci sono arrivato!

Mio fratello non capisce la matematica. Non ci arriva proprio!

Ma possibile che non arrivi a capire che sono infelice?

Ci sei arrivato finalmente!

Scusa, perché devo dirti che ti amo tutti i giorni? Aiutami a capire ché non ci arrivo!

E’ un modo informale e spesso può essere offensivo (se parliamo con altre persone) di evidenziare una mancanza, un’incapacità nel capire, nel comprendere. La cosa è troppo difficile per lui o lei. Non ci arriva!

Di solito “arrivare” si usa in senso materiale. Ad esempio se arrivo con la mia mano a prendere il sale lo prendo, altrimenti ti dico:

Scusa, mi passi il sale per favore ché non ci arrivo?

In modo figurato “non arrivare a capire” fa pensare ad uno sforzo per capire, come ad indicare delle capacità mentali limitate.

Ho bisogno d’amore, stupido, non ci arrivi?

E’ come dire: le tue capacità mentali sono abbastanza sviluppate per capire che ho bisogno di amore?

Vale la pena di vedere anche il verbo “farcela“, un verbo pronominale che significa “avere successo”, “riuscire a fare qualcosa”. L’uso è prevalentemente informale e il senso è simile a “riuscire”.

Quindi è simile a riuscire e si usa per evidenziare anche in questo caso lo sforzo nel raggiungere e nel non raggiungere (nel caso di NON FARCELA).

ad esempio:

Ce la fai a scrivere con la mano sinistra?

Non ce la faccio a lavorare 10 ore al giorno.

Non ce la faccio più a sopportarti!

Se usassi “essere capace” posso essere offensivo:

Sei capace di scrivere con la mano sinistra?

Invece io voglio sottolineare il raggiungimento di un obiettivo (scrivere con la sinistra) con uno sforzo, e non il tuo difetto. Non voglio offenderti. Per lo stesso motivo non uso il verbo “arrivare”.

Potrei usare il verbo riuscire senza problemi.

Il verbo potere non è adatto perché si parla di abilità personali, Non ci sono fattori esterni o altre persone.

Posso usare anche il verbo sapere:

Sai scrivere con la mano sinistra?

Posso farlo perché sapere come detto si usa quando impariamo a fare qualcosa.

Facciamo un esercizio di ripetizione adesso:

Bogusia: Scusa, puoi spostarti per favore?

Anthony: No, non posso, ho una gamba incastrata.

Bogusia: Hai provato?

Anthony: Sì, ma non ci riesco proprio, è incastrata bene!

Bogusia: Prova a tirare forte la gamba indietro!

Anthony: Non so se riesco a farlo, ho paura che mi faccio male!

Bogusia: Dai prova ancora! Ce la puoi fare!

Anthony: Ho detto che non ci riesco, ci arrivi a capirlo?

Anthony: Piuttosto, aiutami invece di parlare! Ne sei in grado?

Bogusia: No, non riesco a  sollevare grossi pesi! Non ho la forza! Dai, tira! Prova ancora!

Anthony: Senti un po’, ma sei capace a star zitta un attimo?

Bogusia: Potrei, se solo volessi, ma non essendo in grado di aiutarti fisicamente, almeno posso darti dei consigli!

Anthony: Io non ce la faccio più con te! Chiama aiuto!!!

412 – “Me ne frego” e “me ne frega”

Audio (scarica)

Video con trascrizione 

Trascrizione

Rispondo ad una domanda che mi ha fatto Doris, membro dell’associazione Italiano semplicemente. Doris mi ha chiesto la differenza tra “me ne frego” e “me ne frega”.

Grazie della domanda Doris. Abbiamo già tratato il verbo fregarsene  ma oggi lo approfondiamo grazie ala tua domanda.

Allora: Quando siete o non siete interessati a qualcosa, quando provate o non provate interesse, un modo molto informale per esprimere questo concetto è usare il verbo fregarsene.

Parliamo di interesse e disinteresse, ma se usiamo il verbo fregarsene è soprattutto per esprimere disinteresse:

Io me ne frego
Tu te ne freghi
Lui se ne frega
Noi ce ne freghiamo
Voi ve ne fregate
Loro se ne fregano

Se dico che me ne frego di te significa che non mi interessa nulla di te.

Si tratta di un forte disinteresse, quasi di un disprezzo.

Usate questo verbo con moderazione perché può essere molto offensivo.

Tu te ne freghi di me

Significa che non sei per niente interessato a me. Non hai alcun interesse per me.

Mario se ne frega di Francesca

Significa che Mario non è per niente interessato a Francesca.

Ora, cosa succede se invece vogliamo esprimere il significato opposto, cioè che non è vero che non siamo interessati?

Vediamo, nelle tre frasi che abbiamo visto sopra, come fare:

Il contrario di “me ne frego di te” sarebbe:

Non me ne frego di te

Di te non me ne frego

Ho detto sarebbe perché questo verbo come ho detto si usa quasi esclusivamente per esprimere un forte disinteresse.

Infatti se volete veramente dire che provate interesse, meglio usare la seguente forma:

Non è vero che me ne frego di te!

Di te non me ne frego affatto!

Il tono da usare è anch’esso importante per far capire le proprie intenzioni.

Perché si può creare questo malinteso? Perché dovete poi sapere che esiste anche “me ne frega” e “non me ne frega niente/nulla“.

A me non frega nulla

A te non frega nulla

A lui non frega nulla

A noi non frega nulla

A voi non frega nulla

A loro non frega nulla

Sempre uguale. Non cambia mai. Questa è la versione, possiamo dire “maleducata” dell’uso di un altro verbo: importare. Lo vediamo tra un po’.

Questa forma, allo stesso modo del verbo fregarsene, si usa per mostrare prevalentemente un forte disinteresse.

Di te non me ne frega niente

Non mi frega nulla della scuola (più informale)

Non me ne frega nulla della scuola

Che me ne frega della grammatica! Mi basta leggere e ascoltare.

Non sono ricco? Che mi frega! Mi basta avere molti amici ed essere in salute.

In questo caso si aggiunge “non“:

Non mi frega di…

Non mi frega niente di…

Non me ne frega nulla di…

Significa che non sono per niente interessato a qualcosa.

Un’alternativa è iniziare con “che” o “ma che”:

Che me ne frega?

Che mi frega?

Ma che ne ne frega a me?

Si tratta di una domanda retorica ovviamente.

Se rivolgo la domanda ad un’altra persona diventa invece un consiglio a fregarsene:

Che te ne frega di Giovanni? Non dare ascolto alle sue parole!

Oppure è una vera domanda, sebbene un po’ arrabbiata:

Giovanni, ma tu sei innamorato di Sofia?

E a te che te ne frega? Fatti gli affari tuoi.

Equivalente a (usando fregarsene):

Fregatene!

Te ne devi fregare!

Insomma nelle due forme viste si usa quasi esclusivamente per esprimere un forte disinteresse.

Quando invece voglio mostrare interesse invece in genere non si usano queste due forme.

Si può fare ma solo per negare il disinteresse. Ad esempio:

Non è vero che non mi frega nulla di te

Non è vero che me ne frego di te

Se vogliamo esprimere interesse meglio usare un’altra modalità: usare il verbo importare, di cui abbiamo accennato prima.

Se qualcosa è importante per te, allora a te importa di questa cosa.

A me importa imparare l’italiano

Vuol dire che l’italiano è importante per me.

A te importa qualcosa si me?

La domanda equivale a:

Sei interessato a me?

Sono importante per te?

Posso usare questo verbo anche per mostrare disinteresse, se una cosa non è importante:

A me non importa se mi tradisci

Non ci importa se non venite alla festa

A loro non importa nulla di voi

Questo verbo si può quindi usare sia per mostrare interesse sia disinteresse.

Quando uso “non mi frega” e “chi se ne frega”, sebbene questa forma si usi quasi sempre solo x mostrare un forte disinteresse (ed è anche maleducata come detto) funziona allo stesso modo di importare.

Mi importa = mi frega

Non mi importa = non mi frega =

Non me ne importa = non me ne frega.

“Non mi frega” e “chi se ne frega” si usano soprattutto quando siete arrabbiati:

Non mi frega niente di te!

Lo vuoi capire che non mi frega più nulla di te? Io amo un’altra donna!

Lo stesso è con il verbo fregarsene:

Non sei d’accordo con me? Me ne frego!

Me ne frego se non vuoi indossare la mascherina 😷. Indossala e basta!

Adesso la domanda nasce spontanea: quando uso fregarsene e quando uso “non mi frega”?

Sono ugualmente utilizzate. Ma c’è una differenza.

Fregarsene, e quindi ad esempio “me ne frego” è più ostentativa, più forte, denota più sicurezza di sé, ed è anche più provocatoria, sprezzante.

Se qualcosa non ci interessa per niente, se non è importante per noi, se il nostro interesse è rivolto ad altre cose, possiamo dire che non ce ne importa nulla o che, se siamo arrabbiati, che non ce ne frega niente.

Se invece vogliamo mostrare forza, prepotenza, se vogliamo mostrare disinteresse verso le difficoltà e gli ostacoli o verso le opinioni delle altre persone, “me ne frego” (quindi fregarsene) è più indicato. Somiglia molto a:

Vado avanti lo stesso

La cosa mi è assolutamente indifferente

La cosa non mi tange

Me ne Infischio

Posso usarlo anche per combattere un atteggiamento di prepotenza:

Non puoi fregartene di tutti, indossa quella mascherina!

Se te ne freghi sempre di tutti non puoi pensare di risultare simpatico!

Tutti se ne fregano di me. Ma io gli dimostrerò che valgo!

Ci sarebbero anche i verbi “fottersene” e “sbattersene” ma sono molto volgari quindi faccio a meno questa volta di spiegarli.

Ci vediamo al prossimo episodio di Italiano Semplicemente.

Adesso ripassiamo qualche espressione passata con Bogusia, anche lei membro dell’associazione.

Bogusia: Finalmente è arrivata una ottima spiegazione dell’uso del verbo fregarsene. Si dà il caso che tante volte ho sentito queste diverse frasi e qualcosa non mi tornava. Si poneva la domanda: perché lo usano gli italiani?

Però avevo una fifa blu, non volevo appunto sembrare dura di comprendonio . Ho abbozzato troppo a lungo con questo mio atteggiamento perché per poter ingranare come si deve bisogna smarcarsi dalle diverse paure, darsi alla disperazione non serve neanche. Essere accondiscendenti e dire sempre di si, assecondare chi fornisce le spiegazioni non sufficienti non è cosa.

Diciamo all’insegna dell’amicizia, uno strappo alla regola perché no. Però alla lunga non serve a chicchessia.

Passi che alcuni argomenti non ci interessano, passi pure che non sempre ci gira bene ma non chiedere mai lascia il tempo che trova.

Bisogna prendere e chiedere. Grazie a Doris per aver fatto le pulci a Gianni, si vede che le importa parecchio dell’italiano.

Italiano Professionale – lezione 29: Parlare delle possibilità

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Descrizione

Lezione 29 del corso di Italiano Professionale. Ci troviamo sempre nella sezione n. 3, dedicata alle riunioni e agli incontri.
L’argomento è come parlare delle possibilità.

Analizziamo tutti gli avverbi utilizzabili a seconda della bassa, media e alta probabilità. La lezione appartiene alla sezione 3 del corso, dedicata alle riunioni e agli incontri.

352 Di per sé

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Indice degli episodi
I Primi 200 episodi in versione KINDLE (+MP3) – (1-100) (101-200) (201-300)
Tutti gli audio-libri in versione KINDLE e CARTACEA (+MP3)
Video YouTube
Trascrizione

Giovanni: ieri vi ho parlato di di mio, di suo, di tuo, di loro, e non vi ho detto, per non fare un episodio troppo lungo, che “di suo” è simile a “di per sé”. Stavolta si tratta di tre parole.

Sono espressioni simili ma “di suo” e simili si usano prevalentemente con le persone, mentre “di per sé” con tutto il resto. A volte però si può usare anche con le persone. Ma quando?

Intanto non posso usare “di per sé” se parlo di me o di te; sto parlando di qualcosa o qualcuno di esterno, lui o loro nel caso di persone o qualcos’altro che non sono persone ma fatti, situazioni, circostanze, oggetti.

Di conseguenza “di per sé” a volte si può usare al posto “di suo” e “di loro” parlando di una o più persone quindi. Es:

Mario, di per sé, è difficile da sopportare

uguale a :

Mario, di suo, è difficile da sopportare

e

Maria e Giuseppe, di per sé, sono brave persone

Maria e Giuseppe, di loro, sono brave persone

Queste frasi sono equivalenti.

Quindi “di per sé”, Come di “di suo” e “di loro”, si usa quando dobbiamo considerare qualcosa o qualcuno solo singolarmente, quando dobbiamo isolare un aspetto, o quando dobbiamo considerare qualcosa o qualcuno nella sua essenza, nella sua singolarità.

Vediamo alcuni esempi quando invece non parlo di persone:

Lo studio della grammatica, di per sé non è sufficiente per riuscire a comunicare in una lingua

In questi casi meglio usare “di per sé”, sebbene si possa usare anche “di suo”.

Questo significa quindi che non basta studiare la grammatica per imparare una lingua. Se la consideriamo singolarmente, la grammatica non è sufficiente: di suo o di per sé non sé non è sufficiente.

Un secondo esempio:

Il Covid ha avuto effetti molto negativi sul mondo dello spettacolo, perché il lavoro in questo settore è di per sé intermittente.

Stessa cosa: anche senza il Covid il lavoro nello spettacolo non è mai continuativo, costante, ma già di suo, potremmo dire, già di per sé, senza aggiungere altro, è incostante, quindi non così sicuro e al riparo da rischi.

Potremmo anche dire in questo caso “è già di per sé intermittente”, proprio come abbiamo fatto con “già di suo”.

Però non parliamo di persone in questo caso. Il lavoro non è un essere umano. Allora è meglio usare “di per sé” come si è detto.

Un’altra differenza:

Questa espressione si usa più spesso senza aggiungere “già” perché più che a indicare qualcosa di sufficiente (già serve a questo, ricordate?)  la maggioranza delle volte indica qualcosa che di insufficiente, che non basta. Allora anche se si parla di persone in questo caso meglio usare “di per sé”.

Esempio:

Di per sé Maria non sarebbe male, ma frequenta cattive amicizie e questo la fa sembrare peggiore.

Come a dire: non basta essere delle brave persone, occorre anche frequentare persone simili a noi per essere considerate in modo positivo. Parliamo di persone quindi, e potremmo usare sia di suo che di per sé, ma parliamo di qualcosa di Maria che non basta, quindi meglio “di per sé”.

In questo tipo di frasi c’è quasi sempre un “non” un “ma” o un “però” da aggiungere, proprio perché qualcosa non basta, non è sufficiente.

Il piacere, per quanto necessario nella vita non è di per sé sufficiente per raggiungere la felicità.

Questo significa che il piacere non basta da solo (di per sé) perché occorre anche altro per essere felici: è una la forma di soddisfazione, ma molto superficiale e perciò è semplice da ottenere ma anche semplice da perdere.

Quindi ricapitoliamo: “di per sé” serve per isolare un aspetto, per considerarlo singolarmente +, e è un po’ diverso da “di suo”, “di tuo”, “di loro” innanzitutto perché stiamo parlando di qualcosa di esterno, quindi non sto parlando di me o di te. Al massimo posso parlare di una o più persone: lui o loro.

Secondo: “Di per sé” si usa sia con le persone che col resto: situazioni, caratteristiche ecc. Infine “di per sé”, spesso indica qualcosa che non basta, qualcosa di non sufficiente. Le caratteristiche proprie delle persone invece sono preferibilmente indicate con “di suo”, che spesso e volentieri sono precedute da “già” (già di suo) che sta a indicare una caratteristica che già esiste.

E adesso ripassiamo 5 espressioni già spiegate:

Hartmut: Dovrò fare mente locale quando userò questa espressione sai?

Khaled: Sarò un po’ duro di comprendonio, ma anche io non è che ci abbia capito proptio tutto!

Xin: Vai a capire quante volte dovremo ripassare questa espressione prima di poterla usare senza problemi!

Xiaoheng: é risaputo che la ripetizione è importante. Lo dice anche la prima regola di Italiano Semplicemente.

351 Di mio, di suo, di loro

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    • Trascrizione

Giovanni: oggi vorrei parlarvi di una espressione particolare: “di mio”.

Perché vi parlo di una espressione? Ve ne parlo perché queste due parole “di mio”, o “di tuo”, o “di loro” non sempre, all’interno di una frase hanno un particolare significato.

Mio, suo, loro sapete che sono aggettivi possessivi, quindi indicano il possesso:

il mio giocattolo, il tuo telefono, il loro appartamento eccetera.

La preposizione “di” davanti a questi aggettivi però non si usa molto spesso. Possiamo distinguere 3 modi diversi di usare di davanti a mio, tuo, loro.

Chi ha scritto questo libro? L’hai scritto di tuo pugno?

Questa frase “scrivere di proprio pugno” indica semplicemente l’autore di un libri, ma anche di un articolo di giornale o un qualsiasi documenti scritto.

C’è il senso del possesso anche qui, ma non si usa in questo modo con altri verbi al di fuori di “scrivere”.

Sempre con il senso di appartenenza, posso anche dire:

In questa casa non c’è niente di mio.

Il che significa che non c’è niente che mi appartiene, non c’è nulla che è mio, ma megliol dire nulla “di mio”.

Allo stesso modo potrei dire:

Di mio, in questa casa, c’è solo questo armadio

oppure anche, in senso più ampio

In questa poesia non c’è niente di tuo

che è come dire:

In questa poesia non c’è niente di Giovanni

In questo caso il senso è un po’ più largo: si parla di stile di scrittura, del modo di scrivere.

Quindi anche in questo secondo modo di usare “di mio” c’è il senso di appartenenza.

C’è un terzo modo di usare questa espressione, il modo che mi interessa maggiormente spiegarvi oggi: “già di suo”, “già di mio”, “già di loro”.

Queste espressioni –  queste possiamo chiamarle così perché hanno un significato particolare – indicano una caratteristica di una persona o di una cosa che è già presente, che non ha bisogno di alcun intervento perché già fa parte di questa persona, o di questa cosa.

Mi spiego meglio con alcuni esempi:

Il Sabato è bello già di suo

Come a dire: il sabato è bello perché si chiama sabato, perché di sabato non si lavora, o perché è l’ultimo giorno di lavoro, o perché solitamente ci si diverte. Non ha bisogno di altro.

Lo stesso se dico:

Giovanni dovrebbe vestirsi bene per essere più carino. Marco invece è già bello di suo, e non ha bisogno di nient’altro.

Marco è già bello di suo: si parla sempre di appartenenza, ma non di oggetti o di cose qualsiasi, ma di caratteristiche proprie. Se vogliamo sottolineare che non c’è bisogno di intervenire per cambiare o migliorare la situazione o per aggiungere delle cose, possiamo usare questa espressione.

Andare in Italia è già di suo una grandissima esperienza, ma se vuoi esagerare puoi visitare Roma.

“Già” evidenzia la non necessità di fare qualcos’altro.

Giovanna si mette le scarpe col tacco per sembrare più alta, ma lei, già di suo, è alta 1  metro e 80 centimetri.

Senza mettere alcun tacco, Giovanna è già molto alta quindi.

Maria, che già di suo mangia moltissimo, questa settimana ha partecipato a tre pranzi di matrimonio!!

Notate come al femminile non cambia: “suo” resta “suo” anche al femminile, non diventa “sua”.
Ora è giusto che alcuni dei membri dell’associazione, che già di loro producono molte frasi di ripasso, mettano qualcosa di loro anche in questo episodio. A voi la parola:

Lejla: Certo, non ti risponderemmo mai picche Gianni!

Ulrike:  Dacché ce lo hai chiesto, siamo pronti ad accontentarti!

Anthony: Io è meglio che non dica nulla. Mi risparmio una figuraccia!

omi: E fu così che fece un figurone invece!

350 Ma come si fa!

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Trascrizione

come si fa!

Giovanni: nell’ultimo episodio abbiamo visto la differenza tra una frase seguita dal punto esclamativo e la stessa frase seguita dal punto interrogativo. La frase era “ma va’“. Nei due casi, come si è visto, il significato e l’utilizzo cambia completamente.

Succede spesso questo nella lingua italiana. Ad esempio anche con la, frase “ma come si fa”.

Col punto interrogativo si tratta di una domanda:

Ma come si fa?

E questa domanda si fa quando non si è in grado di fare qualcosa.

Esempio, il professore dice: ecco il compito di matematica che dovete fare.

Lo studente, se non ha studiato può rispondere: come si fa?

Cioè: come si fa questo compito?

Le domande con questa risposta sono praticamente infinite, e generalmente si tratta di cose difficili da fare, almeno per la persona che pronuncia questa frase:

Vediamo un altro esempio:

Dobbiamo immediatamente modificare questo video e renderlo più leggero, così è troppo pesante.

Come si fa a modificare un video?

Quando si tratta di una domanda, la preposizione da usare è “a”: come si fa a…

Poi si mette il verbo all’infinito, il verbo indica esattamente la cosa difficile da fare, ciò che non sappiamo come fare.

Se invece si tratta di una esclamazione cambia l’intonazione: Come si fa!

Questa è una frase che in genere è preceduta da “ma“:

Ma come si fa!!

Non si tratta di una domanda ma di una esclamazione.

Si usa quando si è molto stupiti di un comportamento di una persona, quando non ci si spiega qualcosa, quando qualcosa risulta incomprensibile. Si tratta quasi sempre di qualcosa che ha dei riflessi sulla stessa persona che pronuncia questa frase. Qualcosa di molto importante è accaduto, determinato da un comportamento sbagliato, qualcosa che si è “fatto“, quindi un’azione compiuta. Il verbo “fare” che si utilizza nell’espressione indica un’azione quindi, un’azione dalle conseguenze negative, anche molto negative.

Vediamo tre esempi:

Un figlio, non ancora maggiorenne, quindi ancora senza patente chiama a casa e dice che c’è stato un incidente con la macchina.

Il padre, sbalordito, tra le altre cose, dice:

Ma come si fa!! Come si fa! Dico io! Hai preso la macchina senza avere la patente, sei un incosciente.

Questo “come si fa” indica appunto un atteggiamento sbagliato, un modo sbagliato di comportarsi, qualcosa di non normale, di anormale, a volte di inspiegabile.

Dico io“, o “io dico” spessissimo accompagna l’espressione “come si fa”. Si tratta naturalmente di espressioni emotive, di conseguenza fanno parte di un linguaggio soprattutto parlato. Sono frasi che escono da sole dalla bocca, frutto di una intensa emozione.

L’espressione spesso sembra proprio una domanda, perché viene completata come una domanda:

Ma come si fa a guidare senza patente dico io! Ma come ti è venuto in mente!

Secondo esempio:

Sono stato bocciato tre colte consecutive all’esame di lingua italiana.

Commento di un mio amico:

Ma come si fa! Tre volte di fila! Sei proprio un somaro!

Terzo esempio:

Komi: ancora una volta, un episodio della rubrica 2 minuti con italiano semplicemente, sfora la durata dei due minuti!

Max Karl: Ma io non lo so! Ma come si fa, dico io! E’ inaccettabile! Ma è mai possibile?

Rauno: Si direbbe che non si abbia nessun rispetto per gli ascoltatori! Non è che lo fai apposta?

Sofie: secondo me nonostante tutto è stato un bell’episodio. Comunque andava bene anche ancora più lungo di così, io non ho problemi.

349 Ma va’

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Ma va

Trascrizione

Giovanni: cosa si dice ad un amico quando dice qualcosa di poco credibile? Cosa si dice quando questa cosa che hai appena ascoltato non è credibile, cioè quando è palesemente un’esagerazione o una bugia, o una notizia falsa, quando è chiaro che è una cosa non vera?

La lingua italiana è molto generosa anche in questo caso, quindi potete usare molte espressioni particolari.

Una di queste è dire:

Ma va’!

Certo, potreste anche rispondere più semplicemente con:

Non ci credo!

Ma cosa stai dicendo?

Ma dove l’hai sentita questa?

Se invece dite:

“Ma va’!”, normalmente si accompagna l’espressione con la mano e si gira la testa a destra o sinistra. I membri dell’associazione italiano semplicemente possono vedere anche un brevissimo video in cui mostro questo movimento.

Ma va!

Va’ è la terza persona singolare del verbo andare , e questo sembra un invito ad andare da qualche parte.

Conoscete tutti la parolaccia italiana simile a questa espressione vero?

Ebbene, questa parolaccia sarebbe certamente un’esagerazione in questo caso quindi è sufficiente dire:

Ma va’!

Spesso si raddoppia:

Ma va’ va’!

Come a dire:

Ma non dire sciocchezze!

Ma che dici!

Ma cosa stai dicendo!

Ma vai a raccontarlo a qualcun altro!

Ci sono anche delle varianti regionali. A seconda della regione in cui vi trovate poi potrebbe diventare:

Ma va’ là (Ma valà, Mavalà) potete scegliere come scrivere, si usa infatti solamente all’orale.

Ma vatti a ripone!

Ma vammoriammazzato!

Ma vadavialcú!

E tante altre simili.

La prima (ma valà) è abbastanza diffusa nel nord Italia, ed è equivalente a “ma va’“. Le altre sono di località diverse ma più pesanti, assimilabili a degli insulti o offese, ma tra amici spesso vengono usate.

Invece “ma va’” la potete usare tranquillamente, sempre con amici ovviamente, fate attenzione! Sempre meglio accompagnare con un sorriso.

Infatti si usa anche seriamente quando non volete più discutere con una persona e terminate il discorso in questo modo. È un modo brusco per liquidare una persona.

È una alternativa meno maleducata che sostituisce il classico “vaffanculo”, la parolaccia di cui vi parlavo prima e che tutti conoscete.

Avete voglia di usare subito questa nuova espressione?

Bene, allora grazie di aver ascoltato anche questo episodio di due minuti.

So cosa stare pensando….

Comunque devo dire che “ma va’” può anche essere una domanda:

Ma va’?

Come a dire:

Davvero? Ma non ci posso credere! Quello che mi hai detto è incredibile.

Anche qui il modo di pronunciare questa frase è fondamentale perché si usa anche quando una cosa è scontata e quindi mi dà fastidio averla ascoltata da te, come se tu dubitassi della mia intelligenza:

Sai che in Italia si mangia bene?

Ma va’?

Come a dire: certo che lo so, lo sanno tutti!

In pratica si fa finta di essere stupiti, si finge stupore, e il tono da usare deve essere adatto, quindi un po’ esagerato, uno stupore esagerato.

Adesso la parola sta a voi!

Sapete che c’è un ripasso alla fine di ogni episodio di questa rubrica?

Lejla:  Ma va’?
Komi: e fu così che anche questo episodio superò i due minuti. Siamo alle solite! Però l’episodio mi è piaciuto molto.
Rauno:  lo stesso dicasi per me.


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348 E fu così che…

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Trascrizione

Giuseppina: ricordate l’espressione “le ultime parole famose”? L’abbiamo spiegata due puntate fa sempre nella rubrica due minuti con italiano semplicemente.

Ebbene c’è un’altra espressione simile che si usa meno a fini scaramantici, cioè per allontanare la sfortuna, ma più  per ridere, per ironizzare su un situazione o su una affermazione che potrebbe risultare falsa, proprio come “le ultime parole famose”.

L’espressione è “e fu così che...”. Questo è solo l’inizio della frase che poi continua sempre in modo diverso.

“Fu” è il passato remoto del verbo essere.

“Fu così che” si pronuncia sempre non appena qualcosa è stato detto, qualcosa che è stato pronunciato con tono sicuro, come ad esprimere sicurezza o la non paura di un pericolo.

Ad esempio, se sto per entrare in un bosco di notte, potrei dire:

Non c’è nessun problema, riuscirò ad attraversare il bosco senza problemi!

Qualcuno potrebbe dire, in quel momento:

e fu così che si persero nel bosco…

Con questa frase, pronunciata usando il passato remoto (fu, si persero) si immagina di trovarsi nel futuro e di parlare di questa faccenda accaduta tanto tempo fa, come quando si racconta una cosa curiosa o interessante.

Se ci pensate ci troviamo nella stessa situazione di quando diciamo “le ultime parole famose”. La differenza è che “e fu così che…” si usa sempre prima che accada questo evento, in genere negativo. Ci si pone quindi nel futuro, a raccontare una vicenda passata divenuta famosa, celebre, degna di essere raccontata. In questo modo si fa quindi ironia su una possibilità futura, che comunque in generale può anche essere positiva.

Ad esempio se tu mi dici:

giochiamo alla lotteria, c’è in palio 1 miliardo di euro.

Si ok, rispondo io, gioco anch’io anche se so benissimo che non vincerò mai.

Tu potresti rispondermi: e fu così che diventò miliardario…

Allo stesso modo potrei dire:

Le ultime parole famose!

Potete usare l’espressione di oggi in molte occasioni diverse, quasi sempre per fare ironia su una dichiarazione o comunque delle parole appena pronunciate da un amico o parente.

Potete usarla anche sulle vostre stesse parole, facendo autoironia in questo caso.

Solitamente la frase inizia sempre con la e: “e fu così che…” per aumentare l’enfasi su ciò che accadrà, o meglio che potrebbe accadere in futuro. Potete comunque anche dire “fu così che…” senza problemi.

E fu così che anche l’episodio 348 durò più di due minuti e gli ascoltatori persero la pazienza!

Anthony:

E’ POSSIBILE MAI che TOCCA DI NUOVO A ME scrivere una frase di ripasso? LA VEDRESTE bene se provassi a SFODERARNE una stracolma delle nostre espressioni come i pendolari ACCALCATI sull’autobus all’ora di punta? Non sarebbe FUORI LUOGO, cioè inopportuno, se mi mettessi di nuovo in evidenza? Spero di no! Va bene. BANDO ALLE CIANCE (frase dal corso professionale) ragazzi! Ve ne scrivo una nuova. Però sono convinto che @Andre ci ironizzerà sopra dicendomi o “BONTÀ TUA!” o “ahó! (esclamazione romanesca) DACCHÉ le frasi di ripasso non TI DEGNAVI mai di scriverne una. E ne fai una ogni giorno ormai!” Come RISPOSTA, gliene farei una SIBILLINA. TAGLIANDO CORTO, gli direi “PUO’ DARSI!”. Ma in realtà, da questa settimana in poi mi metto a partecipare DI BUONA LENA ogni giorno, IL CHE SIGNIFICA *che* dovrete ABBOZZARE sempre di più le mie STUPIDAGGINI/SCIOCCHEZZE/FESSERIE scritte. Intanto ragazzi ve saludi (dialetto lombardo con uso ironico qui)! E domani CI RIAGGIORNIAMO!

 

347 – Rispondere picche ♠

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Giuseppina: Ho una domanda per voi: Vi hanno mai risposto picche ?

Ripeto: vi hanno mai risposto picche?

Dovete sapere che non è certamente piacevole sentirsi rispondere picche. Perché se qualcuno vi risponde picche non vuol dire che vi dice “picche”; non vuol dire che questa persona pronuncia la parola “picche”, ma significa che vi dice “no”.

L’espressione viene dal gioco delle carte. Chiunque giochi a poker o comunque con le carte da poker, sa bene che esistono quattro semi, cioè quattro gruppi di carte simili: le carte di cuori, quelle di quadri, quelle di fiori e quelle di picche. Cuori e quadri sono di colore rosso, mentre fiori e picche sono nere.

Nel gioco delle carte il verbo “rispondere” non significa parlare e pronunciare la risposta ad una domanda, ma vuol dire gettare una carta sul tavolo, mettere, giocare quella carta. E le carte hanno un valore diverso a seconda del seme. Infatti i cuori hanno un valore più alto, poi vengono i quadri, poi fiori e alla fine vengono le picche, che sono le carte che hanno il valore più basso.

Comunque per usare questa espressione non è necessario saper giocare a carte. Infatti rispondere picche, come vi dicevo, è un “no” particolare.  Rispondere picche significa infatti rifiutarsi, opporre un rifiuto a una richiesta, o anche negare un favore.

Vedete quindi che la domanda che si fa prevede un “si” oppure un “no” come risposta, ma si tratta di richieste e non di domande:

Ho chiesto un prestito alla banca, ma mi ha risposto picche.

La banca ha detto no, niente prestito.

Se chiedi un favore ad un amico l’ultima cosa che desideri è che ti venga risposto picche.

È un no molto fastidioso. Ovviamente informale come espressione. Più normalmente si può dire:

Non concedere un favore

Negare un aiuto

Opporre un rifiuto o un “diniego”

Rifiutarsi

Ricordate che si può rispondere picche solo se si tratta di richieste e non di domande generiche:

Vieni con me al cinema?

Ci sposiamo?

Mi aiuti per favore?

Mi perdonate se ho superato i due minuti?

Se non mi rispondete picche vi faccio ascoltare una frase di ripasso delle espressioni precedenti.

Komi:  a me non piace rispondere picche, fosse anche per non sentirmi dare della maleducata.
Carmen: secondo me invece ogni tanto non fa male rispondere picche, perché spesso e volentieri la gente se ne approfitta della tua disponibilità

Anthony: Grazie! Ma almeno agli amici trattiamoli bene. Altrimenti poi potrebbero fare i sostenuti, e l’amicizia rischierebbe di venir meno.