🔵 “Motivo del contendere” vs. “Pomo della discordia” – Qual è la differenza?
In questo episodio di Italiano Semplicemente, scopriamo due espressioni spesso usate nei dibattiti e nelle discussioni, ma con sfumature diverse! Con esempi pratici e un tocco di leggerezza, capirai quando è meglio dire “il motivo del contendere” e quando invece usare “pomo della discordia” per indicare una questione che si trascina nel tempo.
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🎧 Metti che il verbo “mettere” sia più sorprendente di quanto pensi…
“Metti che” non è solo un’espressione, è un invito a immaginare. “Metti una sera a cena” non è solo il titolo di un film, è una porta su infinite ipotesi, storie e possibilità. In questo episodio del nostro podcast, esploriamo come un verbo semplice come “mettere” possa trasformarsi in uno strumento per costruire scenari, lanciare sfide e accendere la fantasia.
Ammettiamolo: non è solo grammatica, è il piacere di giocare con la lingua!
🎧 Ascolta l’episodio e scopri come “mettere” può aprire mondi, tra cinema, espressioni idiomatiche e piccoli segreti dell’italiano.
👉 Non perdere questa puntata: metti che sia proprio quella che stavi aspettando! 😉
I termini “visto” e “considerato” possiamo molto spesso utilizzarli l’uno al posto dell’altro.
Posso ad esempio dire:
Visto che sono a Roma, vado a trovare Giovanni
Ma anche:
Considerato che sono a Roma, vado a trovare Giovanni
Usando “visto” la frase appare un pochino più colloquiale.
Come sappiamo, “visto” è il participio passato del verbo “vedere”.
Chiaramente il verbo vedere si usa per indicare che qualcosa è stato percepito visivamente, cioè visto, ma in senso figurato, come nel nostro caso, significa che qualcosa è stato compreso o notato e in base a questo si prende una decisione o si desume una conseguenza.
Ad esempio:
Visto il tuo comportamento, non posso fidarmi di te.
“Considerato” invece è il participio passato del verbo “considerare”. Indica che qualcosa è stato valutato, preso in esame o ponderato. Molto simile a “visto”.
Ad esempio:
Ho considerato tutte le opzioni prima di decidere.
Ma a noi interessa di più il seguente esempio:
Considerato il contesto, la tua reazione è comprensibile.
Un uso particolare dei due termini riguarda poi alcune tipologie di testo.
All’interno di un decreto legge, una circolare amministrativa o altri documenti ufficiali, i termini “visto” e “considerato” hanno significati specifici e distinti, utilizzati in diverse sezioni del documento per scopi diversi.
“Visto” è utilizzato per richiamare normative, disposizioni legali, decreti precedenti, o altri documenti che sono rilevanti per la materia trattata nel decreto o nella circolare.
Di solito, la sezione “Visto” appare all’inizio del documento, prima di entrare nel merito delle disposizioni specifiche.
Es
Visto l’articolo 32 della Costituzione…
Visto il Decreto Legislativo n. 165/2001…
In pratica, si fa riferimento a norme o atti già esistenti che costituiscono la base giuridica per il nuovo provvedimento.
“Considerato” viene utilizzato invece per introdurre le motivazioni, le circostanze o le valutazioni che giustificano l’adozione del provvedimento. È una sorta di premessa che spiega il contesto e le ragioni per cui si rende necessaria l’emanazione del documento.
Es.
Considerato che è necessario garantire la tutela della salute pubblica…
Considerato che le attuali circostanze richiedono un intervento urgente…
Serve quindi a esporre le ragioni o gli obiettivi che giustificano il provvedimento.
Usciamo dal contesto normativo e torniamo alla vita quotidiana.
Esiste un’espressione in cui sono presenti entrambi i termini.
L’espressione è “visto e considerato”.
Questa frase viene spesso utilizzata per introdurre una conclusione o una sintesi dopo aver esaminato i fatti o le circostanze. Ad esempio:
Visto e considerato tutto quello che è successo, penso che dovremmo cambiare strategia.
In frasi come questa, potrei usare anche solamente uno dei due termini e il senso sarebbe lo stesso. Non si tratta però di una inutile ripetizione.
Analizzando infatti più accuratamente la frase, potremmo dire “visto” implica che si è preso atto di qualcosa, mentre “considerato” implica che ci si è riflettuto sopra. C’è stata una riflessione.
Questa dunque è una locuzione che prepara il terreno per una conclusione, che introduce una decisione basata su una riflessione.
Usare semplicemente “Visto” è un modo più semplice e diretto e può andar bene lo stesso anche se non usiamo “considerato” quando introduciamo una causa o una motivazione.
È spesso usata nel linguaggio quotidiano e in contesti meno formali.
Non sono venuto alla festa visto che ero stanco.
Non sono venuto alla festa vista la stanchezza che avevo.
In fondo possiamo usare “visto” al posto di perché, poiché o “in quanto”.
“Visto e considerato che” spesso è più formale, ma in contesti normali rinforza la giustificazione.
Può essere usata per sottolineare che una decisione o un’azione è stata attentamente valutata sulla base di più considerazioni.
Spesso si trova in testi legali, amministrativi o in contesti formali.
Es:
Visto e considerato che il contratto non è stato rispettato, abbiamo deciso di recedere dall’accordo.
Possiamo quindi usare “visto” in modo più colloquiale e diretto, mentre “visto e considerato” aggiunge un livello di formalità o si usa per enfatizzare in contesti informali, per sottolineare qualcosa.
Si presta ad esempio per usata anche nel corso di un litigio o una discussione accesa per far valere le proprie ragioni, specialmente quando qualcuno vuole rafforzare il proprio argomento o dimostrare che la propria posizione è ben ponderata.
In un contesto di questo tipo, questa espressione può servire a sottolineare che l’altra persona non ha tenuto conto di determinate circostanze o che le proprie decisioni sono basate su una valutazione attenta e ragionata.
Ad esempio, in un litigio potresti sentire frasi come:
Visto e considerato che tu non hai mai rispettato i nostri accordi, non vedo perché dovrei fidarmi ancora di te.
Qui, l’uso di “visto e considerato” serve a dare peso all’argomento, quasi a formalizzare la lamentela e a mettere l’accento sulla valutazione dei fatti precedenti.
Quindi, “visto e considerato” può essere utilizzato per rendere il discorso più perentorio e per sottolineare che una certa decisione o reazione è stata presa dopo un’attenta riflessione su quanto accaduto.
Adesso, visto e considerato che sono stato un po’ prolisso, facciamo un breve ripasso dedicato agli episodi precedenti.
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Ripasso a cura dei membri dell’associazione Italiano Semplicemente
– – – Marcelo: Sono un fervente sostenitore dell’iniziativa privata! Conosco molte persone di successo che si sono fatte da sé.
Trovo una caratteristica che accomuna coloro che hanno ottenuto il successo da soli: protrarre le azioni per raggiungere il loro scopo con tenacia e senza mai mollare, nonostante i possibili fallimenti che possono ostacolare questo percorso.
Credo che il loro proverbio sia: chi la dura, la vince!
Ulrike: Ciao Giovanni, non riesco a mostrarmi restia nei confronti della tua richiesta di un ripasso. Anzi, a mio parere sarebbe un atto ingeneroso, visto e considerato che da par tuo te ne sei appena uscito con un episodio con la È maiuscola, vale a dire un lavoro coi fiocchi che merita il nostro riconoscimento. E comelavedete voialtri? Per la cronaca amici: guai se qualcuno mi desse della ruffiana.
Anthony: Ti do, cara Ulrike, della ruffiana tranquillamente e senza remore poi Giovanni mi risponderà in malo modo con un cazziatonebell’e buono. Riesco addirittura a presagire le sue parole: ce ne fossero di membri come lei e meno coatti come te, Antò.
Sai che puoi ascoltare gli episodi anche su Spotify? Puoi abbonarti se vuoi e avrai accesso a tutti gli episodi pubblicati!
Emanuele: Il presente episodio è dedicato alla locuzione “fare presente” o “far presente”.
È una locuzione che volutamente abbiamo lasciato fuori dall’ultimo episodio. Quindi in quell’episodio, dedicato al termine “presente“, questa locuzione non è presente.
Battute a parte, “fare presente” significa segnalare qualcosa a qualcuno, quindi si potrebbe sostituire anche con farnotare, o anche con precisare.
Vi faccio presente però che è spesso usata in contesti formali, in cui si dà del lei all’interlocutore, tipo:
Signor presidente, le facciopresente che gli episodi di questa rubrica dovrebbero durare attorno ai due minuti e spesso lei si dilunga eccessivamente.
Teoricamente si potrebbe usare anche il verbo dire (ti dico che… le dico che) ma questa persona che “dice” questa cosa al presidente, sta non solo comunicando con lui, ma gli sta dando un suggerimento, o meglio ancora in questo caso, sta facendo una correzione.
A volte fare presente è abbastanza simile a “tenere conto”, “tenere in considerazione”. Più informalmente si usa anche “calcola che“, anche se non c’è niente da calcolare nel senso proprio del verbo.
Se vogliamo usare un semplice verbo in sostituzione di “fare presente”, oltre a segnalare e calcolare, potremmo usare il verbo valutare, meno informale ma si può usare in ogni contesto.
La particolarità di “fare presente” è che molto spesso si utilizza per correggere una persona quando questa dimentica qualcosa di importante e che è giunto ad una conclusione senza considerare questa cosa importante.
“Fare presente” viene quindi spesso usato per portare all’attenzione di qualcuno un punto importante che potrebbe essere stato dimenticato o trascurato durante una discussione o un ragionamento. È un modo gentile per correggere o integrare una conclusione.
Es:
Ti volevo fare presente che nella tua analisi manca un dato cruciale che potrebbe cambiare la conclusione.
Mi permetto di farti presente che durante la riunione di ieri non hai menzionato l’aspetto finanziario del progetto.
Nella tua recensione su TripAdvisor hai scritto che l’albergo è molto bello e grande, ma il servizio non è al top. Ti faccio presente che ‘top’ è un termine inglese, quindi sarebbe più corretto dire “il servizio non è il massimo”, oppure “il servizio non è dei migliori.?
Una possibile risposta però potrebbe essere:
io invece ti faccio presente che qui a Milano si usa molto spesso e tutti capiscono senza problemi!
Se non siamo in ambito formale spesso si usa ironicamente. Questa è una caratteristica importante che contraddistingue la locuzione rispetto ai verbi o altre locuzioni che possono usarsi in sostituzione.
Es:
Se un mio amico mi chiede di passare il weekend a casa sua con due sue amiche, poteri rispondere:
Giovanni:
Ti ringrazio per il pensiero, ma ti vorrei solo far presente che a casa ho una moglie e tre figli che mi aspettano.
Prima si è citato “portare all’attenzione di qualcuno” come possibilità alternativa a “fare presente” ma questa è ancora più formale e si usa solamente in contesti professionali e burocratici. Non si usa, tra l’altro, in modo ironico.
Potrebbe risultare un po’ eccessiva per situazioni più informali o quotidiane tra persone sposate o tra amici o in famiglia. Quindi, se stiamo parlando ad esempio di un rapporto tra coniugi o amici, “fare presente” è sicuramente più adatto e si presta bene a correzioni e utilizzi ironici, anche con un pizzico di “acidità” direi.
Questa precisione aggiunge qualcosa di importante secondo me, perché a volte, quando si usa “fare presente” l’effetto ottenuto non è quello della battuta divertente, ma quello della battuta cosiddetta “acida”.
Parliamo di sarcasmo. Non so se conoscete questo termine.
A volte, il tono o il contesto in cui viene utilizzata la locuzione “fare presente” possono trasmettere un senso di pungente critica anziché semplice osservazione. Dipende molto dalla modalità in cui viene fatta l’osservazione e dall’intenzione di chi la usa.
Una sfumatura che credo sia importante.
Vi faccio un paio di esempi di questo tipo.
Caro, ti faccio presente che hai lasciato la spazzatura sul pavimento della cucina. Sarà forse la tua nuova installazione artistica?
Risposta del marito:
Vorrei farti presente che non sono l’addetto alle pulizie di questa casa.
Vi lascio immaginare il seguito della conversazione…
Adesso ripassiamo. Parliamo di battute acide e di sarcasmo.
Il sarcasmo, per aiutarvi un po’, se non è abbastanza chiaro, è un tipo di linguaggio o tono di voce che viene utilizzato per comunicare in modo ironico o beffardo, spesso dicendo il contrario di ciò che si intende veramente o esprimendo disprezzo o derisione. Si tratta di un’ironia tagliente, utilizzata per sottolineare una critica o per prendere in giro qualcuno o qualcosa. Il sarcasmo può essere evidente oppure più sottile e difficile da afferrare a volte.
Albéric: Ottimo argomento, su misura per me direi. Si dà il caso infatti che da giovane mi sia laureato in “Sarcasmo e Ironia” presso l’Università di Bologna. Il mio corso preferito era senz’altro quello tenuto dal Professor “Finto Tonto” . Fu lui a dirigere la mia tesi intitolata: “Il menefreghismo come arte di vita”. Solo gli addetti ai lavori sono in grado di capirne la sostanza, che si snoda attraverso i meandri di un modo di pensare restio a qualsiasi forma di logica.
Marcelo: Dopo aver riflettuto un po’ sul concetto di sarcasmo, ricordo un professore che era assuefatto a questo modo di essere. indirizzava critiche mordaci, anche pungenti, ma non esplicite, verso il suo bersaglio, in modo acido e caustico. Questo mi provocava un crescendo di rabbia, e cresceva il desiderio in me di dargli risposte sibilline. Questo professore non a caso annoveratotra i primi posti, se non proprio al primo, tra tutti i professori che odiavo! Tra le persone dirette e quelle caustiche e mordaci, sono decisamente per le prime!
– – –
Segue una breve canzone dal titolo “ti faccio presente”
Giovanni: Buongiorno, allora ieri ho lasciato a mia madre la spiegazione di “Vedi tu”, infatti avevo chiesto io a lei di occuparsene e oggi avevo la stessa intenzione, sennonché mi madre mi ha risposto:
Giuseppina: Mi spiace ma oggi non ho tempo, oggi te la vedi tu.
Va bene, ho risposto io. Me la vedo io, me la vedo da solo allora.
Questo, come vi aveva accennato nello scorso episodio mia madre, è un altro modo di usare “vedi tu“. In realtà stavolta è “te la vedi tu” o anche “VEDITELA TU” , significato diverso dal “vedi tu” di cui vi ha parlato mia madre. Stavolta infatti non è un segnale tipo “non c’è problema, decidi tu” . Piuttosto significa “è un problema che devi risolvere da solo” : te la devi vedere da solo.
Ancora una volta “vedere” con gli occhi non c’entra nulla. Stavolta è “vedersela“, verbo pronominale che abbiamo già visto in due passati episodi e che stavolta rivediamo velocemente. Vedersela e quindi “me la vedo io”, “veditela tu”, “se la vede lui/lei”, “se la vedono/vedano loro”, “ce la vediamo noi”, “ve la vedete voi” si usano per affrontare i problemi senza coinvolgere altre persone. Questa è la cosa più importante da ricordare.
Quindi “me la vedo io” significa me ne occupo io, ci penso io a risolvere il problema, quindi tu stanne fuori, ci penso io, quindi non farti problemi perché sarò io a affrontare questa situazione.
Quindi, mentre in “vedi tu” che abbiamo visto nell’ultimo episodio si lascia l’onore di decidere a qualcun altro, in “te la vedi tu” (o veditela tu) si lascia l’onere e non l’onore.
Spesso infatti si usa quando ci sono responsabilità, quando si è fatto qualcosa di sbagliato e si deve rimediare a questo errore:
Tu hai sbagliato, e adesso te la vedi tu!
Non c’è nessun onore ma solo un onere, un peso, un peso che si deve sopportare da soli.
MA perché si usa vedere? Ad esempio se dico “me la vedo io”, il senso del verbo vedere è: tu non vedrai nulla, cioè non ci sarà nessun problema per te: me la vedo io, non preoccuparti.
Ovviamente è informale, ma in modo formale “te la vedi tu” diventa:
E’ una sua responsabilità, se ne occupi lei, si prenda lei in carico questa faccenda, veda lei come risolvere il problema.
Ora un breve ripasso. Domani vediamo l’ultimo utilizzo di “vedi tu“, essendo andati già oltre i due minuti. Bogusia: Può darsi che qualcuno di voi recentemente abbia trovato questo sito per imparare oppure approfondire il proprio italiano. Vi ha colto alla sprovvista questo metodo ingegnoso e adesso le sette regole d’oro vi ronzano per la testa?
Ho deciso di ritagliarmi del tempo e dirvi che non siamo alle solite qua: cioè, studiare anni e anni, il che significherebbe armarsi di nuovo di pazienza e forse ad un certo punto accusare la fatica e alla fine voglia di sfuggire dallo studio.
No, non è così con italiano semplicemente. Chi impara con noi è proprio cascato bene e ha svoltato,appunto. Qui si ingrana e questo è meglio dirlo a scanso di equivoci prima che decidiate di allontanarvi anzitempo dalla lingua italiana. Hai visto mai che adesso ti è venuta la voglia di continuare?
Segue la spiegazione di Emanuele… .- – – L’inizio e/o la fine di ogni episodio dei “due minuti con Italiano Semplicemente” servono a ripassare le espressioni già viste e sono registrate dai membri dell’associazione. Se vuoi migliorare il tuo italiano, anche tu puoi diventare membro. Ti aspettiamo!
Giovanni: che facciamo oggi? Cosa spieghiamo in questo episodio numero 204? Vabbè, mamma, vedi tu oggi ok? Ciao! Giuseppina: Ci sono sequenze di suoni, di parole, che in maniera automatica e irriflessa vengono inserite nella frase e, svuotati dal loro significato originario, prendono un diverso significato. Stiamo parlando di una cosa di cui gli italiani non possono fare a meno: gli intercalari. “Vedi tu”, è uno di questi.
Il verbo che si usa in questo caso è “vedere” e non è da interpretare alla lettera. In questo caso significa occupatene tu, pensaci tu, o anche pensaci su e poi decidi in totale autonomia.
Due sole parole che possono essere però usate in più modi diversi, dunque, descrivendo velocemente, in modo colorito, quello che intendiamo dire.
Vogliamo vedere come viene facile utilizzare questa espressione?
Esempio:
Io te lo dico, poi…. vedi tu.
Questo è un esempio con cui si invita ad ascoltare (io te lo dico) e poi a prendere una decisione autonomamente (vedi tu).
Se chiedete ad una ragazza:
quando vogliamo andare a vedere quel film?
e lei vi risponde:
Vedi tu!
vuol dire che lei non dà nessuna importanza alla cosa e tocca a te decidere
Vogliamo prendere quel cagnolino?
Vedi tu!
Dicendo cosi ti viene lasciata tutta la responsabilità della decisione.
Solitamente è un messaggio positivo, del tipo “non c’è problema per me, decidi tu”.
Sì può rispondere:
ok, vedo io e poi ti dico.
Dunque “vedi tu” significa “pensaci tu“, nel senso di “decidi tu“, “pensaci con calma“.
Ovviamente è un’espressione informale.
Si dà del tu, ma con uno sconosciuto può diventare “veda lei“, che è un modo cordiale per dire “a sua discrezione“, “a sua scelta“.
Ovviamente si sta dando del lei al nostro interlocutore.
C’è sempre un tono confidenziale oltre che cordiale. Si usa solo all’orale.
Se si parla con più persone naturalmente diventa “vedete voi”, o “che vedano loro” se si parla di altri.
Attenzione perché “te la vedi tu“, o “veditela tu“, o “se la vedono/vedano loro” è un po’ diverso e questo lo vediamo domani.
Infine c’è anche un altro senso che vediamo ugualmente domani, che si usa per chiedere un parere.
Frase di ripasso: Ulrike: La puntata 47 della rubrica “due minuti con italiano semplicemente” sul verbo rispolverare, l’avete presente? Quale membro dell’associazione italiano semplicemente mi sono prefissa di rispolverare a volte gli episodi passati con qualche frase di ripasso. Utile per me per destreggiarmi sempre meglio con la lingua italiana e al contempo utile per voi per farvi ricordare le espressioni passate. Allora buttate un occhio sulle espressioni che ho appena usato. Può darsi che non vi ricordiate del loro significato, in questo caso non scervellatevi troppo e soprattutto non siate restii ad andare a ritroso per una bella ripetizione. Una volta rotti gli indugi non riuscirete più a tenere a bada la voglia di seguire ogni giorno i due minuti con italiano semplicemente, frasi di ripasso incluse. .- – – L’inizio e/o la fine di ogni episodio dei “due minuti con Italiano Semplicemente” servono a ripassare le espressioni già viste e sono registrate dai membri dell’associazione. Se vuoi migliorare il tuo italiano, anche tu puoi diventare membro. Ti aspettiamo!
È possibile ascoltare il file audio in formato mp3 anche tramite l’audiolibro in vendita su Amazon (Kindle o cartaceo)
Video con sottotitoli
Trascrizione
Buongiorno amici di Italiano Semplicemente da Giovanni.
Oggi ho alcune cose da dirvi. Una di queste riguarda l’espressione idiomatica che dà il titolo all’episodio di oggi “Non ti ci facevo”, mentre la seconda cosa riguarda un esperimento che ho fatto sulle pagine del sito ItalianoSemplicemente.com. Un esperimento che riguarda la pubblicità.
Ebbene, da qualche mese a queste parte ho provato a utilizzare una forma di pubblicità automatica sulle pagine del sito, ed ho provato a fare questo per poter garantire qualche entrata che potesse sostenere il sito e le spese sostenute.
In questi ultimi mesi le entrate derivanti dalla pubblicità non sono state molto alte, abbastanza deludenti direi, circa 20-25 euro mediamente al mese.
Ora quindi mi chiedo: la cifra non è molto alta e la pubblicità sul sito dà in effetti un po’ fastidio ai visitatori. Il mio desiderio d’altronde è quello di essere utili agli stranieri e se posso evitare la pubblicità ne faccio volentieri a meno. Quindi farò un esperimento, farò un tentativo nei prossimi mesi.
Se allora attraverso le donazioni si riesce a fare a meno della pubblicità sono ben felice di toglierla dal sito, quindi adesso dal mese di novembre 2018 toglierò la pubblicità e vediamo se arriva qualche donazione in più. Io vi ringrazio per questo e come sempre renderò omaggio ai donatori attraverso la mia consueta attività quotidiana al vostro servizio riguardante la lingua italiana. Vi informerò su come stanno andando le cose, come sempre. Per il momento quindi niente pubblicità sul sito per tutto il mese di novembre 2018.
Ora passiamo all’argomento di oggi, una espressione curiosa quella che vi spiegherò oggi: “non ti ci facevo“. Si tratta di una espressione informale, che si usa in ogni regione italiana ed ha a che fare con lo stupore. Lo stupore, cioè la meraviglia, la sorpresa, ed a volte anche sconcerto, che è una forma di stupore esagerata oltre che legata anche ad altre emozioni.
Non ti ci facevo infatti significa:
Non credevo tu fossi così, non credevo fossi capace di questo, oppure non credevo tu avessi queste caratteristiche.
Vi spiego meglio:
Intanto sto parlando con te, ed infatti c’è “ti”: “non ti ci facevo”.
E’ un po’ complicata da spiegare come frase, quindi direi di iniziare da un esempio concreto e da una frase simile ma più semplice.
Incontro una persona che non avevo mai visto dal vivo, cioè di persona, ma solo dal computer o dalla TV, lo vedo e gli dico:
Non ti facevo così alto
“Non ti facevo così alto” significa: Non credevo fossi così alto, credevo invece che tu fossi più basso, quindi sono meravigliato, sono stupito, sono sorpreso dal vederti così alto. La parola più complicata credo sia “facevo“, che è il verbo “fare”, che non c’entra proprio nulla col significato della frase.
Ma davanti a questo “facevo” c’è “ti”: non ti facevo così alto.
Questo cambia il significato del verbo “fare” ma solamente in questa forma, solamente nell’imperfetto e a volte nel presente.
“Non ti ci facevo” significa semplicemente non credevo, non immaginavo, non avevo capito.
E’ importante dire anche che spesso con questa frase si dà un giudizio su di una persona. L’affermazione quindi sottolinea lo stupore nel notare soltanto ora una qualità o un difetto di una persona.
Quindi “non ti facevo così alto” vuol dire “non credevo che tu fossi così alto“, “non immaginavo che tu fossi così alto“, “non avevo capito che tu fossi così alto“, così alto come adesso invece vedo con i miei occhi. E’ un giudizio positivo in questo caso.
Si usa in modo informale, tra amici e conoscenti, ma non c’è niente di volgare nella frase, quindi potete usarla tranquillamente con persone che conoscete.
Devo comunque fare delle puntualizzazioni. Farò poi molti esempi in questo episodio e vi consiglio di ripetere anche voi gli esempi che farò, per memorizzare meglio.
Prima considerazione: la frase si può usare anche senza la negazione, quindi si può dire, con lo stesso significato e con lo stesso stupore:
Ti facevo più basso!
Il significato è il medesimo: credevo fossi più basso!
Secondo: si può usare nella pratica solo la forma dell’imperfetto. Non possiamo quindi dire: “ti farò più basso”, oppure “ti ho fatto più basso” o “ti feci più basso.” Posso a volte trovare una frase al presente, ma non in questo esempio.
Non è quasi mai consentito usare altri tempi quindi gli italiani non capiranno se provate a farlo. Infatti la frase si usa solamente per manifestare stupore per una cosa che ora è evidente, lampante, lapalissiana, mentre invece prima non lo era.
Terza precisazione: posso usare la frase anche rivolgendomi a qualcun altro:
Se passeggiando insieme a te incontriamo un’altra persona vista in TV, lo guardo e ti dico:
Hei, guarda, c’è Tom Cruise, Noooooo! Non lo facevo così basso“, credevo fosse più alto.
Oppure parlo di me: Tom Cruise con tono di rassegnazione risponde:
Non mi facevi così basso? Lo so, me lo dicono tutti…
Poi Tom Cruise aggiunge:
Neanche il mio amico Antonio Banderas però è alto lo sai? Nessuno ci faceva così bassi!
Tutti gli attori non molto alti, in effetti, la TV tende a mostrarli più alti. Posso quindi dire che generalmente:
Molti attori visti in TV non li facevo così bassi, nessuno li faceva così bassi.
Posso anche domandare:
Per curiosità, voi li facevate così bassi? Oppure è solamente una mia impressione?
Facciamo adesso un passo in avanti nella spiegazione.
Se parlo con te, posso anche dirti:
Sei alto! Non ti ci facevo così alto!
o semplicemente:
Sei alto! Non ti ci facevo!
Adesso ho aggiunto la particella “ci“. Queste particelle ci perseguitano vero?
In questo caso la particella “ci” serve a sostituire il motivo del mio stupore. Sei alto! Quindi ho già manifestato il motivo per cui sono sorpreso. Quindi aggiungo: Non ti ci facevo!
Se usate “ci” è già chiaro di cosa stiamo parlando. In fondo non è molto diverso da quando dite frasi come: Ci credo! Ci siamo! Ci mancherebbe!
Ovviamente possiamo cambiare a nostro piacimento le persone che sono stupite e le persone di cui si parla:
Se tu parli di me: Io so cucinare la pizza! Non mi ci facevi vero?
Il “ci” si riferisce a cucinare la pizza: Non mi facevi capace di cucinare la pizza. vero?
Se io parlo di lei: Hai visto? E’ riuscita ad imparare l’italiano! Non ce la facevo proprio!
Il “ce” si riferisce a imparare l’italiano: Non la facevo proprio capace a imparare l’italiano. In questo caso parlo di una donna, quindi non ce “la” facevo.
Attenzione se loro parlano di noi: Abbiamo vinto il mondiale! Loro non ci facevano capaci di tanto.
Vedete che se si parla di noi la forma cambia, perché stavolta il “ci” si riferisce a “noi” e non posso usare due volte “ci”. Non posso dire: non ci ci facevano! Quindi questo è un caso particolare. Devo usare una sola volta “ci” e specificare “capaci di tanto”.
Se io parlo di voi: Siete riusciti a scalare l’Everest?
Non vi ci facevoassolutamente!
Adesso è come prima: il “ci” sta per scalare l’Everest. Posso quindi anche dire, se togliamo “ci”: Non vi facevoassolutamente in grado di scalare l’Everest!
Se tu parli di loro: I miei due fratelli sono due assassini!
Scommetto che non ce li facevi!
Il “ce”, anche stavolta, sta ad indicare la cosa di cui parliamo, l’essere assassini.
Scusate di questo esempio un po’ forte, ma avevo bisogno di farvi notare che questa espressione di oggi si usa non solo per manifestare stupore verso cose positive, ma anche per cose negative. Nella maggioranza dei casi c’è un giudizio di merito: positivo o negativo. Anche l’altezza in fondo è considerata una qualità, ma come dicevo si può usare per qualsiasi giudizio, anche negativo.
Se tu mi tradisci (il tradimento è una cosa molto negativa!) posso pertanto esprimere il mio stupore, e stavolta possiamo chiamarlo anche sconcerto, sgomento, sbalordimento, e quindi posso dire:
Mi hai tradito! devo dire che non ti ci facevo proprio!
In questo caso è chiaro che si fa riferimento ad una caratteristica negativa del tuo carattere, o del tuo modo di essere, o del tuo atteggiamento. Queste sono frasi che si pronunciano sempre con un tono molto aspro e di amarezza: stupore ed amarezza nello stesso tempo.
Concluso l’episodio sottolineando ancora che l’espressione è informale, ma che esistono modalità diverse e meno informali molto simili, che si possono usare anche per iscritto, o con persone che non conoscete. In questi casi posso usare verbi diversi dal verbo fare, come reputare, considerare e talvolta anche “stimare“:
Non ti reputavo in grado di una cosa simile!
Non ti consideravo così abile!
Non ti stimavo capace di un’impresa del genere!
Queste sono forme però che più difficilmente troverete contratte nella forma di prima, ma può capitare di trovare frasi tipo: “non ti ci reputavo”, o “non ti ci stimavo”, “non ti ci consideravo”.
Nella forma presente invece si trovano più spesso questi verbi rispetto al verbo “fare”. Posso quindi dire ad esempio:
Non credo che tu sia capace di fare del male a nessuno. Per quanto noi possiamo essere molto diversi, non ti ci reputo.
Non ti reputo capace di fare del male a nessuno
Insomma il verbo reputare posso tranquillamente usarlo al presente ed anche in altri tempi, senza problemi. Ma se vogliamo esprimere stupore questi verbi reputare, considerare, stimare, non riescono a farlo come il verbo “fare”.
Reputare non è la stessa cosa in fondo: la reputazione dà più il senso della stima, dell’apprezzamento che si ha di una persona. Il verbo stimare ha anche altri significati, mentre considerare indica di più una riflessione, un’esamina.
Lo stupore non c’è in nessuno di questi casi: ecco il motivo per cui la frase di oggi: “non ti ci facevo” nel suo uso informale, non riesce bene ad essere sostituita da altre forme usando altri verbi.
Con questo è tutto, ripetete l’ascolto se ne avete bisogno, grazie a chi sostieneItaliano semplicemente ancora una volta.
Considerate che in caso di donazione vi reputerei molto generosi 🙂
Un saluto da Giovanni da Roma.
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Se vuoi e se puoi, aiuta Italiano Semplicemente con una donazione personale.
Per il sito significa vita, per te significa istruzione.
Buon giorno amici di Italiano Semplicemente, io sono Giovanni e vi do il mio benvenuto sul sito italianosemplicemente.com, un sito dove potete imparare l’italiano, e soprattutto dove potete imparare a comunicare e parlare in italiano. Cerchiamo di farlo nel modo meno noioso possibile, evitando spiegazioni complicate.
Oggi voglio spiegarvi una espressione che gli stranieri non usano mai, ma che vi risulterà molto utile.
L’espressione è “prendere atto”
Non si tratta, vi dico subito, di una espressione di tutti i giorni, di quelle che gli italiani usano quotidianamente, ma piuttosto di una espressione molto usata al lavoro, soprattutto allo scritto. Ovviamente stiamo parlando di lavori in cui si fanno comunicazioni in forma scritta e con un certo livello di formalità.
L’espressione in molte famiglie si usa anche al di fuori dell’ufficio, ma questo non avviene in tutte le famiglie italiane; diciamo solo in quelle più istruite.
Ma passiamo subito alla spiegazione. “Prendere atto” contiene innanzitutto il verbo prendere. Si tratta di un verbo usato da tutti, anche dagli stranieri. E’ un verbo molto usato perché prendere significa afferrare, quindi per prendere un oggetto basta allungare una mano e afferrare un oggetto. Se ti dico: “Prendi questa mela!” tu puoi allungare la mano verso di me e prendere, afferrare la mela. Semplice quindi.
Ma prendere è un verbo molto usato anche in moltissime espressioni idiomatiche e anche molto usato per costruire tantissime frasi dove non si usa il verbo nel modo che abbiam visto prima, per afferrare gli oggetti.
Possiamo infatti prendere anche cose immateriali, che non si toccano. Posso “prendere in considerazione” qualcosa, ad esempio, cioè semplicemente “considerare”, “tenere in considerazione” qualcosa. Tra l’altro questa frase ha un significato molto simile a prendere atto di qualcosa.
Posso prendere un autobus, cioè salire su un autobus, come anche un treno, un taxi, una bicicletta eccetera.
Posso “prendere una decisione”, dove si usa il verbo prendere nel senso di assumere una decisione, decidere cosa fare, risolvere una situazione di incertezza.
Posso “premdere in giro” qualcuno, cioè ridere di qualcuno, fare delle battute su di lui, posso “prendere coscienza”, che significa svegliarsi, oppure risvegliarmi da una situazione di incoscienza. Il verbo prendere quindi si usa in una moltitudine di occasioni diverse: quando si prende qualcosa con le mani, oppure quando si fa proprio qualcosa, come una decisione appunto, oppure in senso figurato e con un senso molto diverso dal significato proprio del verbo. A volte si fatica molto a capire il motivo per cui si usa questo verbo, come prender in giro, “prendere alla larga” un argomento eccetera. In realtà non si deve molto riflettere sul motivo per cui usiamo questo verbo, perché gli italiani non lo fanno, ed io adesso sto cercando di spiegarvi qualcosa sulla quale non ho mai realmente riflettuto. Bisogna semplicemente fare l’abitudine ad usare certe espressioni, e col tempo diventerà naturale.
Nel caso della frase di oggi abbiamo “prendere atto”. Che significa “considerare come un dato acquisito”, oppure “tener conto al fine di prendere delle decisioni”. Non è facile sostituire “prendere atto” con un’altra frase di identico significato.
Prendere atto ha un significato preciso: se tu sei la mia fidanzata ed io ti dico ad esempio:
Il nostro rapporto è finito. Devi prendere atto di questo e cercare un’altra persona
Ti voglio dire che devi prendere atto di quello che ti ho detto, devi cioè considerare quello che ti ho detto come una realtà da accettare, cosicché le tue decisioni future non possano prescindere da questo (vedi anche farsene una ragione).
Prendere atto di qualcosa implica che da ora in poi bisogna sempre pensare a questo e capire che non c’è più nulla da fare per cambiare le cose. Possiamo solo prendere le nostre decisioni future considerando questo fatto, questa cosa di cui stiamo prendendo atto, come un fatto acquisito, come una realtà da accettare.
Spesso infatti l’espressione si usa quando si deve dire che bisogna accettare una realtà, anche se è difficile farlo. Non possiamo cambiare le cose, quindi l’unica cosa che possiamo fare è prenderne atto.
Vedete che non si tratta in fondo di una frase formale. Per quello che ho detto finora si può usare in molte occasioni diverse, al lavoro, in famiglia e nelle relazioni sociali di qualsiasi tipo.
Spesso si usa anche semplicemente per dire che una persona accetta qualcosa. Ecco, il verbo “accettare” può essere usato al posto di prenderne atto.
Tua figlia si sposa? Accettalo, devi accettarlo. Cioè, devi prenderne atto. Prendi atto di questa realtà. Accettala così com’è, perché così non soffrirai più.
Accettare ovviamente è molto più usato in queste occasioni non lavorative. Ma al lavoro se dobbiamo scrivere un documento o una comunicazione formale non possiamo scrivere “accettare”, anche perché accettare ha diversi significati: accettare un’offerta ad esempio ha un altro significato di “accettare un compromesso” o di “accettare le conseguenze di qualcosa”.
Prendere atto in questi casi è la forma migliore per comunicare l’accettazione di una realtà al fine di prendere delle decisioni future. In questi casi formali però non stiamo parlando necessariamente di cose negative che accettiamo a malincuore,
Usiamo questa frase invece ogni volta che veniamo a conoscenza di qualcosa di importante che influenza il nostro comportamento. Se usiamo questa espressione vogliamo comunicare che abbiamo ricevuto una informazione e ora siamo a conoscenza di questa informazione, e quindi “ne prendiamo atto”.
La frase è neutra, non stiamo esprimendo dispiacere o piacere. Stiamo solo dicendo che siamo venuti a conoscenza di qualcosa e la teniamo in considerazione, la consideriamo per il futuro.
Vediamo alcuni esempi:
Sono un’azienda che produce caldaie e scriviamo ad un cliente che si è lamentato per un inconveniente tecnico durante l’istallazione della caldaia: Gli rispondiamo così:
Gentile cliente, la ringraziamo per averci contattato. In merito all’inconveniente, ne prendiamo atto e ci scusiamo per quanto accaduto.
In questo caso “si prende atto” di quanto accaduto. E’ una formula cordiale per dire che la comunicazione del cliente non è stata inosservata. Invece ne prendiamo atto, perché per noi è importante.
Se invece io lavoro in una istituzione pubblica e ho ricevuto delle osservazioni su un documento, dei pareri da altre istituzioni, posso rispondere:
Si prende atto delle osservazioni arrivate al fine di apportare le modifiche al documento.
Si prende atto delle osservazioni, cioè ne terremo conto, le terremo in considerazione per il futuro, quando dovremo apportare le modifiche al documento sul quale sono state fatte le osservazioni.
Anche il verbo Considerare si avvicina molto a prendere atto. Quando si fa un ragionamento si può decidere di considerare qualcosa, cioè di tenere in considerazione qualcosa che riteniamo importante. Come dicevo prima “prendere in considerazione” ha un significato simile a prendere atto.
Si prende atto di qualcosa. Importante usare la giusta preposizione, che in questo caso è di, del, delle, dei, degli.
Prendo atto della tua decisione;
Prendiamo atto della vostra dichiarazione;
Prendiamo atto volentieri delle tue volontà;
Mi auguro prendiate atto di tutte le nostre osservazioni;
Se prenderete atto dei nostri consigli ve ne saremo lieti;
Se la Francia non dovesse prendere atto delle decisioni del governo Italiani ci saranno forti ripercussioni politiche;
Dovete prendere atto del risultato elettorale ed accettare la sconfitta
Tenete presente che in tono confidenziale, se dite che prendete atto di qualcosa la frase potrebbe sembrare un po’ fredda. Infatti la caratteristica di neutralità della frase, l’assenza di emozioni che c’è nella presa d’atto, può essere utilizzata volontariamente per sembrare offesi, freddi, distaccati dalla persona con cui parlate, proprio per comunicare una sensazione di freddezza.
Ah mi vuoi licenziare? Hai detto che non lavoro bene? Bene, ne prendo atto e da domani mi metto alla ricerca di un altro lavoro.
Come? Non mi ami più? Ne prendo atto e me ne vado.
A volte quindi si usa proprio per prendere le distanze dal nostro interlocutore, per comunicare freddezza e distacco dalla persona con cui parliamo.
Al lavoro invece vi consiglio di usarla perché una “presa d’atto”, così si chiama, è qualcosa di molto adatto alle comunicazioni di lavoro.
Spesso si tratta di qualcosa di molto formale, ma non ci sono problemi ad usarlo in email e scambi di opinioni.
Spesso si dice “prendere atto di un fatto”, cioè la parola fatto si associa molto spesso alla presa d’atto.
Devi prendere atto di un fatto: non sei più un bambino e devi guadagnarti da vivere!
La parola “atto” si riferisce al significato di atto inteso come relazione scritta, un resoconto, un rapporto, un verbale, insomma un documento che viene letto e quindi leggendolo si viene a conoscenza di qualcosa che si deve tenere nella dovuta considerazione.
Anche questo è un modo per sostituire la frase “prendere atto”: tenere qualcosa nella dovuta considerazione.
Posso anche dire: “prendere nota” cioè annotare, segnare da qualche parte. Ma prendere nota è più informale, somiglia più a segnarsi qualcosa, annotarsi un appunto, senza troppa considerazione in fin dei conti. Prendere atto è un po’ più serio come concetto.
Prendo anche atto che probabilmente vi state stancando di questa spiegazione e se ne prendo atto non posso continuare ancora, quindi vi saluto tutti, vi ringrazio per l’attenzione