Tirare a campare

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Trascrizione

Buongiorno amici, spero stiate tutti bene. Da parte mia devo dire che  non c’è male, sto molto bene, sia fisicamente che moralmente.

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A volte mi capita anche di non essere in forma, ma ad ogni modo non faccio sicuramente parte di quella categoria di persone che alla domanda “come stai” risponde con ad esempio: “così così” , oppure “si sopravvive“, o anche “si tira a campare” o “tiro a campare“.   Molte persone rispondono proprio così:  “si tira a campare”. Non so se avete mai sentito questa espressione,  molto usata soprattutto  dalle persone anziane, o almeno a me è capitato spesso di ascoltarla da persone con una età abbastanza avanzata.

Di espressioni simili ce  ne sono molte, tra cui vivacchiare, che poi è un semplice verbo, una distorsione del verbo vivere, oppure anche la frase “vivere alla meglio“.

Tirare a campare è la frase quindi su cui voglio soffermarmi oggi.  Il verbo tirare in questo caso è utilizzato in un modo veramente strano,  insolito direi.  Tirare qualcosa significa prendere una cosa con le mani e portare questa cosa verso di sé: tirarla a sé o tirarla verso di sé.  Questo è il modo più utilizzato di usare questo verbo. Tirare quindi è il contrario di spingere. Si può tirare una corda, si può tirare una maniglia di una porta, ma si può tirare anche un sasso però, ed in questo caso tirare significa lanciare, prendere una cosa e lanciarla, tirarla lontano. Quindi è esattamente il contrario di prima. Analogamente si può tirare un calcio di rigore nel gioco del calcio, e qui tirare il rigore equivale a battere un calcio di rigore o di punizione. Non è esattamente un verbo facilissimo da usare pertanto.

Qui in questa frase “tirare a campare” si sta invece parlando della propria vita. Campare infatti significa più o meno, essere vivi, sopravvivere. Come stai? “Si campa” , “si sopravvive” , anche questa è una risposta del tutto equivalente a tirare a campare. “Si campa”  significa quindi “si sopravvive“, ma “si tira a campare“, oppure se parlo in prima persona:”tiro a campare” ha un senso ancora più forte che indica uno sforzo, una fatica che si fa cercando di sopravvivere.

Infatti quando si fa fatica a fare qualcosa si può anche usare il verbo tirare in un altro modo. Posso dire “tirare avanti a fare qualcosa“. Ad esempio:

Come stai? Una risposta può essere:

Si tira avanti“: anche questa è una risposta analoga ed equivalente a “si tira a campare“.

In altri contesti posso ugualmente usare tirare avanti. Al lavoro posso chiedere ad un collega: Come va con il tuo progetto lavorativo? Risposta:”Lo sto tirando avanti a fatica“.  Cioè faccio fatica a proseguire con il progetto, riesco a portarlo avanti ma con fatica, faccio un notevole sforzo: lo tiro avanti con fatica. È come se spingessi in avanti qualcosa di pesante.  Questo podcast è anche quindi una risposta a Alexandre su Twitter che mi ha chiesto il significato di “fare fatica a fare qualcosa” . Ecco, la fatica, caro Alexandre,  può essere sia fisica che psicologica,  cioè mentale.

Quando si fa fatica a sollevare qualcosa si tratta di fatica fisica, ma se faccio fatica a fare un lavoro mi riferisco invece allo sforzo mentale, all’impegno che devo mettere in quel lavoro, oppure alla volontà che devo mettere perché magari non mi interessa quel lavoro, non mi interessa ma qualcuno mi ha chiesto di farlo,  oppure non ho la capacità di farlo, è troppo difficile. La fatica quindi può dipendere da molte cose diverse.

Nel caso di tirare a campare si fa fatica a campare, cioè a sopravvivere. Se una persona ha delle difficoltà economiche, cioè ha problemi di denaro, dei seri problemi economici, magari non ha i soldi per acquistare il cibo o per la casa o cose di prima necessità, in questo caso ha senso dire: faccio fatica a tirare avanti, oppure tiro a campare come posso, riesco a tirare a campare. In tal caso si vuole dire che nonostante le difficoltà, vado avanti, sopravvivo ma con fatica. Invece questa frase tirare a campare è spesso usata, direi in modo improprio, per dire: va bene ma potrebbe andare meglio, va bene ma ho dei problemi.  Non sono soddisfatto.

Non ci sono quindi in realtà seri problemi  economici legati alla sopravvivenza, problemi a mangiare o cose del genere. Oppure è solo un modo ironico di rispondere.

Alcune persone hanno infatti  quasi il timore, la paura di dire che tutto va bene, che sono felici di come vadano le cose. Chissà perché. Ed allora rispondono con “si tira a campare“. Forse queste persone hanno paura di attirare troppo l’attenzione e che la loro felicità possa essere motivo di invidia da parte di chi ascolta, oppure rispondono così per non sembrare troppo esagerati e per non vantarsi.  Quindi usiamo il verbo tirare: è  come se noi stessi fossimo spinti a fatica in avanti, come se avessimo mille difficoltà a superare dei problemi.  Ecco perché si usa il verbo tirare. È la vita stessa a cui ci si riferisce. Qui è importante l’uso della preposizione semplice “a“. Tirare a campare. È quindi simile alla frase “riuscire a vivere”  o “riuscire a sopravvivere“. Ecco perché si usa la preposizione “a”. Campare non è però esattamente come vivere o sopravvivere. Campare significa avere cibo a sufficienza per sopravvivere, nonostante mille difficoltà. Tra l’altro il verbo campare è molto usato nelle espressioni idiomatiche italiane: Un altro modo di dire abbastanza diffuso è infatti “campa cavallo che l’erba cresce“. Ma questa frase la spieghiamo la prossima volta in un altro episodio di italiano semplicemente.

Insomma avete capito che tirare a campare è la frase idiomatica di oggi, non molto intuitiva da comprendere. Spero sia riuscito a spiegare bene il senso. Spero anche che non impariate ad usare questa espressione parlando di voi stessi e della vostra situazione personale, anche perché,  secondo me, con questo tipo di risposte si mette anche un po’ in imbarazzo chi fa la domanda: come stai? Ci si aspetta sempre che si risponda: benissimo grazie e tu?

Ciao ragazzi ci vediamo al prossimo podcast di italiano semplicemente.

I verbi professionali: RENDERE

Audio

Trascrizione

Benvenuti nel corso di Italiano Professionale. Oggi vediamo il verbo RENDERE.

Anche questo è un verbo che è quasi sempre utilizzato nel lavoro.

Vediamo quanti sono i significati del verbo rendere e quando si usa. Facciamo ovviamente degli esempi di utilizzo ed infine un esercizio di ripetizione, seguendo quindi il metodo di Italiano Semplicemente che tutti voi sicuramente conoscete. Per chi non ne sa nulla vi invito a leggere le sette regole d’oro di Italiano Semplicemente.

Dunque rendere ha un utilizzo, come dicevamo, prevalentemente professionale, ma il primo significato che trovate sul dizionario è quello di dare indietro qualcosa che si era preso o ricevuto, cioè rendere è un sinonimo di restituire. Posso quindi dire “devo rendere a Giovanni il libro che mi ha prestato”.

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Il file MP3 da scaricare e la trascrizione integrale in PDF di questo episodio  è disponibile per chi ha aderito all’associazione Italiano Semplicemente

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Le espressioni sulle figuracce

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E’ possibile leggere ed ascoltare e/o scaricare il file audio di questo episodio in formato MP3 anche tramite l’audiolibro (+Kindle o cartaceo) in vendita su Amazon, che contiene in tutto 54 espressioni italiane e 24 ore di ascolto.

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Trascrizione

Mohamed: Ciao Giovanni, come stai? In classe i miei studenti mi chiedono le frasi idiomatiche che si usano in caso di figuracce. Se puoi aiutarmi a fare questa cosa sarebbe una cosa molto bella. Grazie in anticipo. ciao

Bene, ciao a  tutti e grazie a Mohamed a cui voglio rispondere col podcast di oggi. Mohamed è un professore di italiano ad Alessandria d’Egitto e fa parte della redazione di Italiano Semplicemente infatti mi aiuta spesso a realizzare dei bei podcast come questo. Per rendere il podcast più interessante ci aiuterà stavolta anche Jessica, una ragazza brasiliana, ed Ulrike, una ragazza tedesca.

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L’argomento del giorno sono quindi le figuracce. Cos’è una figuraccia? La figuraccia è una impressione negativa suscitata in qualcuno col proprio comportamento.

Se non avete capito ve la spiego meglio: quando fate qualcosa di sbagliato, qualcosa che invece avreste dovuto fare bene, meglio o che altre persone si aspettavano che voi faceste bene, queste  altre persone potrebbero avere dei pensieri negativi su di voi, potrebbero pensar male di voi,  e voi quindi avete fatto una figuraccia.

Una figuraccia è la conseguenza di un comportamento, di un vostro comportamento, in conseguenza del quale qualche altra persona ha una impressione negativa su di voi. In questi casi si dice che chi ha avuto questo comportamento fa una figuraccia. Fare è il verbo che si usa con la parola figuraccia: “fare una figuraccia“.

Io ad esempio posso fare una figuraccia col mio professore di italiano se vengo bocciato all’esame. Magari non riesco a rispondere a delle domande facili e il mio professore di italiano si aspettava invece una persona preparata,  che aveva studiato, ed invece no, il professore mi boccia, cioè mi dice che l’esame è andato male, mi boccia perché crede che io non sia affatto preparato: posso dire di aver fatto una figuraccia col mio professore e la cosa può darmi fastidio oppure no; in entrambi i casi il professore di italiano non avrà un bel ricordo di me dopo questo esame,  dopo questa figuraccia che ho fatto.

La parola figuraccia finisce con il suffisso “ACCIA” è questo è ciò che normalmente viene fatto nella lingua italiana quando si qualifica negativamente una qualsiasi cosa. Quindi una cosa brutta diventa una “cosaccia” , una brutta bicicletta diventa una biciclettaccia. Eccetera.

In questo caso è una figura ad essere accia, cioè ad essere brutta: una figuraccia è appunto una brutta figura. La figura rappresenta in questo caso come appariamo agli occhi degli altri, cioè l’impressione che facciamo. Si può fare una bella figura, o anche un “figurone“, termine spesso usato ma solo all’orale, cioè una bella figura, una bella impressione.  Si usa dire anche “fare una porca figura”  in certi casi. All’opposto si può fare una brutta figura, cioè una figuraccia, appunto, ed anche figuraccia è un termine colloquiale, che non si usa nello scritto.

Ci sono in realtà molti modi per chiamare una brutta impressione che facciamo agli occhi di altre persone. Dipende un po’ dal tipo di brutta figura e dalle persone con cui parliamo: ci sono quindi modi formali ed informali, perché come sapete la lingua italiana ci dà molte diverse possibilità.

Nella forma scritta ad esempio le modalità più diffuse sono “fare una pessima figura” e “fare una pessima impressione”. Pessima equivale a brutta o cattiva, ma è un termine equivalente a negativa o negativo se dico pessimo al maschile. Infatti brutto e brutta sono più relative a cose tangibili, che si toccano, come oggetti e persone, cattivo invece  è più usato come carattetistica umana (cattivo è il contrario di buono).  Per cose intangible cioè che non si toccano, come la figura, come una impressione possiamo usare quindi pessima figura, cioè una impressione negativa.

Fino a qui niente di particolarmente difficile quindi.

Ascoltiamo un esempio di brutta figura,  di figuraccia che ha fatto Ulrike.

Ulrike: io ho chiesto ad una cliente se fosse in cinta ed ho fatto gli auguri, ma non era così. Lei era solo ingrassata,  causa una separazione da suo marito. 

Divertente come figuraccia, quella di Ulrike, avete ascoltato, Ulrike ha visto una sua cliente e le ha fatto gli auguri perché credeva fosse in cinta, credeva aspettasse un bambino, questo sembrava agli occhi di Ulrike ed invece no, invece la cliente di Ulrike era solamente ingrassata, aveva messo su qualche chilo per motivi personali.  Ma fortunatamente pet Ulrike la donna è rimasta sua cliente e l’ha perdonata.

Allora: adesso vi spiego bene la differenza tra pessima impressione e brutta figura: si può fare una pessima impressione, ad esempio, ad un esame universitario, o ad un qualsiasi esame del mondo se l’esame va male ovviamente, ed  è sicuramente la forma più utilizzata in ambito accademico e nei colloqui di lavoro anche. La parola figura e la frase fare una brutta figura o figuraccia sono invece più usate nelle relazioni umane, non accademiche e istituzionali dunque, ma tra amici e familiari  o anche al lavoro con i colleghi. Invece pessima è più formale diciamo. Quindi  se ad un colloquio di lavoro non ci si presenta, oppure se si arriva in ritardo ad una riunione si fa una pessima figura.

In questi casi potete scusarvi, ad esempio potete fare come Jessica:

“ti chiedo mille scuse, io ero…  avevo una visita di una mia amica”. 

Ecco sicuramente Jessica ha fatto una pessima figura,  e con questo tipo di scusa ha persino peggiorato la situazione ha reso la situazione persino peggiore.

Invece la parola “impressione” si usa di più quindi quando c’è una valutazione da dare, e quindi come detto prima in caso vada male un esame o un colloquio di lavoro.

Ma non finisce qui. La parola “gaffe” è conosciuta credo da tutti, ma una gaffe è una azione o una espressione inopportuna, cioè un atto commesso o una parola pronunciata che rivelino una inesperienza ad esempio, o goffaggine.

Se ad esempio un ragazzo esce con la sua fidanzata e la chiama per sbaglio con un altro nome, allora quella che avete fatto è una gaffe, almeno è questa la parola, il termine più usato in questi casi. La parola gaffe deriva dal francese e significa quindi commettere un’indelicatezza, dire o fare una cosa indelicata. Di usa molto in Italia, soprattutto in ambito televisivo: ci sono personaggi televisivi divenuti famosi per le gaffe che hanno fatto: Mike Bongiorno ad esempio, il famoso presentatore televisivo morto qualche anno fa, ne ha fatte più di una in TV. Lui presentava un programma famosissimo in cui Mike bongiorno faceva alcune domande ai partecipanti che erano preparati ognuno du un singolo argomento (il titolo della trasmissione era “Lascia o raddoppia”) e una volta c’era una signora, la signora Longari, (Longari era il cognome della signora) e la domanda era sugli uccelli: era una domanda che riguardava un uccello.

Ebbene la signora Longari sbaglia la domanda e Mike bongiorno commenta l’errore dicendo:

Ahi ahi ahi, signora Longari: mi è caduta sull’uccello“.

Questa è sicuramente la gaffe, la figuraccia più famosa di Mike Bongiorno.

La gaffe consiste nel fatto che  la signora Longari ha sbagliato una domanda, cioè è caduta su una domanda – si dice anche così quando si sbaglia: “cadere su” ed in modo colloquiale, parlando direttamente si dice anche “mi è caduta”, rivolgendosi direttamente alla persona che sbaglia; quindi Mike dice “Ahi ahi ahi, signora Longari: mi è caduta sull’uccello”, cioè ha sbagliato la domanda sull’uccello!

Sembra un commento normale, ma purtroppo per lei, suo malgrado, l’uccello è anche un modo di chiamare l’organo sessuale maschile. Dunque Mike Bongiorno dice una cosa che ha anche un secondo significato, una frase con un doppio senso quindi.

Un’altra famosa gaffe è di un’altra presentatrice italiana che dice in diretta TV “voglio salutare l’Istituto dei ciechi di Milano, so che mi stanno guardando“. Anche questa è una gaffe, infatti i ciechi sono coloro che non hanno il dono della vista, quindi non vedono, quindi evidentemente anche questa è una gaffe, una figuraccia. La parola italiana più simile a gaffe è papera,  quindi fare una papera è come fare una gaffe. Papera, o papero è il nome di un uccello che normalmente si trova nei parchi e nei laghi. Il Papero (il nome dell’ucello è al maschile) è una giovane oca non ancora in fase riproduttiva, quindi il papero è un’oca giovane. Chissà perché “la papera” invece, inteso come figuraccia, si pronuncia al femminile: forse per via del fatto che indica una brutta figura, che è appunto una parola femminile. Comunque le papere, o i paperi, camminano in modo buffo, lo averet sicuramente notato: e la goffaggine del modo di camminare è all’origine dell’utilizzo di questa parola per indicare una brutta figura.

Un altro modo di dire simile, anzi si tratta di una sola parola, è “svarione” ed anche svarione si usa col verbo fare: fare uno svarione. Ma svarione è più semplicemente un grosso errore, un errore inaspettato, più che una figuraccia. Comunque non è una parola molto usata; a parte nel calcio, dove si parla spesso di svarione difensivo, di uno svarione, cioè di un grosso errore, commesso da un difensore se causa un gol degli avversari. Allo stesso modo posso usare la parola “sproposito“, ma sproposito si usa col verbo dire: dire uno sproposito: “ha detto uno sproposito”, vuol dire “ha detto una sciocchezza, una grossa sciocchezza”. e quando si dice uno sproposito si fa sicuramente una figuraccia.

La parola sproposito si usa anche in altra circostanze però, tutte hanno a che fare con le figuracce: ad esempio “parlare a sproposito“. In questa frase significa parlare inutilmente e in modo controproducente. Quando qualcuno parla a sproposito dice cose fuori luogo, cose inopportune, fa ad esempio delle affermazioni imbarazzanti, e quando qualcuno parla a sproposito sarebbe meglio stesse zitto, perché più parla, peggio è. Attenzione perché  sproposito è usato anche come sinonimo di “molto”. Ad esempio se acquistate qualcosa e lo pagate una cifra alta, molto soldi, potete dire che avete pagato “uno sproposito”, ed in questo caso significa appunto molto.

Un modo molto elegante per dire figuraccia è “fare una figura barbina“, ma attenzione perché chi fa una figura barbina è una persona che fa una figuraccia per un motivo preciso: un motivo legato ai soldi o per un grave motivo morale: la persona che fa una misura barbina è solitamente una persona gretta, meschina, avara, cioè attaccata ai soldi: se ad esempio un uomo invita a cena una donna per la prima volta, al loro primo appuntamento, se l’uomo non paga la cena ma la fa pagare alla donna,  allora l’uomo fa una misura barbina. Barbina si scrive come barba, ed infatti deriva proprio dalla parola barba ma sinceramente non c’entra nulla con la barba. Una figura barbina si potrebbe tradurre con “una figura misera” ed infatti spesso si dice anche così. Misera viene da miseria, cioè la mancanza di qualcosa. Questo qualcosa che manca, in questo caso è una qualità importante. Quando la modalità è interessata quindi usate barbina, ma se è molto grave potete anche usare “figura meschina“, che sono equivalenti ma barbina è meno grave, e potete usarlo anche ironicamente, per ridere, volendo anche su voi stessi.  La figura meschina invece è grave, più seria come espressione perché la persona meschina è una persona spiritualmente limitata, ed anche intellettualmente limitata, che non ha principi morali, una persona meschina vi fa pena, è moralmente povera e non vale la pena di frequentarla.

Vediamo adesso altri due modi abbastanza eleganti che vi consiglio di usare: le parole sono “lapsus” e “magra“. Con la parola lapsus si indica un errore di distrazione, uno sbaglio, come la parola gaffe, ma con lapsus si usa il verbo avere: “ho avuto un lapsus“. Quando qualcuno ha un lapsus fa un l’errore ed in particolare l’errore può consistere in una sostituzione di una parola con un’altra, mentre scrive o mentre parla, o anche la dimenticanza di un nome.

In particolare c’è il Lapsus freudiano, che viene da Freud, il famoso psicologo tedesco dovuto a motivi inconsci. Se ad esempio una signora anziana, una nonna chiama il proprio nipote col nome del proprio figlio,  esprimerà inconsciamente il desiderio di essere ancora giovane. Anche con i lapsus quindi possiamo fare delle brutte figure. Nell’esempio che ho fatto prima, di chiamare la fidanzata con il nome di un’altra ragazza, posso quindi parlare di lapsus, di laspus froidiano in particolare, perché il motivo della figuraccia è legato all’inconscio, alla mente umana.

Oltre a lapsus, dicevamo prima, esiste la parola “magra“.

Sapete tutti che magra e grassa, sono due aggettivi che indicano una corporatura opposta: una persona magra è una persona che è il contrario di una persona grassa: il magro ha un fisico asciutto, non mangia molto e il grasso invece è più pesante ed è in sovrappeso, cioè ha un peso maggiore della norma. Il magro è il contrario.

Ebbene, le parole grasso o grassa e magro o magra si associano spesso ai rapporti sociali. La magrezza, come la miseria nell’espressione “una figura misera” sta ad indicare la mancanza di qualcosa, e quindi si usa la mancanza peso, di grasso, o un peso insufficiente, ad immagine, diciamo come immagine figurata. Quindi una “magra figura” è una figuraccia, una brutta figura che si fa con qualcuno, e sicuramente è un’immagine molto negativa, ma non ha una connotazione negativa come “figura barbina”, che è più collegata alla moralità. Una magra figura invece è più usata quando l’effetto che si fa è ironico. Se la figuraccia genera delle risate da parte di altre persone e viene voglia di nascondersi dalla vergogna, possiamo dire che si tratta di una magra figura, o semplicemente di una magra. Magra quindi può essere sia sostantivo che aggettivo.

Notate che se una persona fa una magra figura, qualcuno potrebbe farsi una “grassa risata“, che è una grande risata, una risata fatta con gusto e soddisfazione per la figuraccia fatta da qualcuno.

Vedete quindi come a volte la magrezza e la grassezza si usano nelle situazioni sociali in cui si fanno delle figuracce.

Terminiamo questo episodio con una espressione idiomatica molto comune: “fare una figura di merda” che è molto usata dagli italiani di ogni ceto sociale, religione, età e ambiente diverso. La merda, cioè la cacca, è un dispregiativo, e si usa in questa espressione per indicare proprio la gravità della figura, la brutta figura fatta. Chi di noi non ha mai fatto una figura di merda nella vita? Se voglio esagerare e scendere bel volgare posso anche dire fare una figura del cazzo , è bene sapere che esiste anche questa forma, più utilizzata di quanto  uno straniero possa immaginare.

Attenti quindi perché queste due ultime sono espressioni  volgari  ed ovviamente si usano solo all’orale.

Bene Mohamed, spero che i tuoi studenti abbiano materiale a sufficienza per essere soddisfatti ora.

Concludo ringraziando tutti coloro che sostengono Italiano Semplicemente economicamente. Grazie a loro ho acquistato un nuovo microfono per registrare i file audio, e questo nuovo microfono è in grado di eliminare i rumori di fondo, che possono a volte essere molto fastidiosi; quindi ora la qualità audio sarà sicuramente migliore di prima. Il prossimo acquisto sarà una telecamera che vorrei utilizzare per registrare alcun video in giro per Roma da utilizzare su Youtube.

Bene per finire esercitatevi anche voi a parlare un po’ adesso con un esercizio di ripetizione:

Figuraccia

Fare una figuraccia

Fare una brutta figura

Io ho fatto una brutta figura

Tu hai fatto ha figura barbina

Mio  fratello ha fatto una gaffe

La mia amica ha avuto un lapsus

Noi abbiamo fatto veramente una magra figura,

Voi avete fatto una figura di merda

I miei fratelli fanno spesso delle pessime figure.

Continuate pure a fare le vostre richieste su Facebook sui futuri episodi di Italiano Semplicemente, cercherò di venirvi incontro più che posso, compatibilmente con gli orari di lavoro e con la famiglia.

Ascoltate più volte il podcast per memorizzare bene e fatemi conoscere le vostre impressioni,  nella speranza di non aver fatto una figuraccia avendo detto e scritto anche alcune parolacce. Non le usate mi raccomando,  potreste fare una figura di merda.

Ciao.

PS: Ascolta la figuraccia di Jessica

Padre e figlia – ripassiamo alcune espressioni

Audio

Trascrizione

Buongiorno a tutti e benvenuti in questo nuovo episodio di Italiano Semplicemente e grazie per essere qui.

Oggi facciamo un bell’episodio di ripasso. Ripassiamo, cioè rivediamo, per poterle ricordare meglio, alcune espressioni che abbiamo già spiegato attraverso dei podcast recenti.

L’idea è un’idea molto interessante, e quest’idea mi è stata data da Madonna, una ragazza egiziana che ha scritto une breve storia, quella che ascolterete oggi. In questa storia sono utilizzate alcune espressioni, di tanto in tanto, che pronunceranno i protagonisti di questa bella storiella, che sono un padre e una figlia. Io interpreterò il padre e Madonna vestirà i panni della figlia. Vestire i panni equivale ad interpretare. I panni sono i vestiti. Vestire i panni è una frase che si usa quando una persona deve immedesimarsi in qualcuno, deve identificarsi, deve “calarsi nel personaggio”, cioè interpretare qualcun altro. Bene. Vi faccio ascoltare la storia, poi seguirà una mia spiegazione che servirà a rinfrescarvi la memoria sulle espressioni ma anche, importantissimo, ad ascoltare lo stesso dialogo raccontato da me, in modo indiretto quindi, cioè utilizzando delle diverse coniugazioni e ache delle diverse parole.

Un esperimento questo molto utile credo per chi ha difficoltà con i verbi e col vocabolario in generale. Ma ascoltiamo pure la storia: padre e figlia parlano al telefono, come ascolterete, la figlia frequenta la scuola, mentre il padre si trova fuori casa da qualche giorno.

Figlia: ciao papà!
Padre: ciao tesoro come stai ?
Figlia: Eh, bene ..mi manchi tanto sai? quando tornerai a casa?
Padre: anche tu ..ritornerò fra due settimane. Ma dimmi, CHE ARIA TIRA a scuola?
Figlia: nessun’aria in particolare ..facciamo gli esami alla fine di questo mese, MIO MALGRADO.
Padre: dai che sei brava…  se passi gli esami con dei bei voti ti faccio una sorpresa!
Figlia: Davvero??
Padre: sì, TI DO LA MIA PAROLA!
Figlia: ok..ma ho paura di una materia.  Psicologia è veramente difficile ..è già GRASSO CHE COLA se sarò promossa con il voto minimo!
Padre: difficile psicologia? Non è difficile dai, Anzi, direi che è interessante. Ascolta: nulla è difficile da capire! Se studi bene, ti va bene certamente..  Ma cosa fai adesso?
Figlia: niente… CAZZEGGIO un po’ per non annoiarmi…
Padre: bene.
Figlia: ma…  come è andata la tua riunione la settimana scorsa?
Padre: MICA era la scorsa settimana la riunione! È martedì prossimo!
Figlia:  ah, pensavo fosse la settimana scorsa…comunque che fai in questi giorni a parte il lavoro?
Padre: beh, ho comprato nuovi libri per INGANNARE IL TEMPO. ..te li faccio leggere quando ritorno a casa.
Figlia: ok,  ma ascolta papà, POICHÉ sei in Egitto,  mi raccomando COGLI L’OCCASIONE AL VOLO e vai a vedere le piramidi.
Padre: sì, certo che lo farò.. Allora Ciao tesoro, MI RACCOMANDO studia bene.
Figlia: ok papà … Ciao.

Bene, avete ascoltato questa storia ed avrete sicuramente notato che sono presenti alcune delle espressioni idiomatiche italiane di cui ci siamo occupati in passato.

Nell’articolo, cioè nella trascrizione dell’articolo ho inserito anche i link, cioè i collegamenti ipertestuali alle spiegazioni.

Si tratta di espressioni ma anche di parole singole e apparentemente semplici come POICHE’, ad esempio, che a differenza di perché, che si usa nelle domande, “poiché” si usa nelle risposte, ma vi invito a leggere i podcast che vi interessano di più. In tutto sono dieci citazioni, 10 episodi che vengono richiamati in questa storia.

Brevemente, per i più sfaticati di voi, vi faccio un piccolo riassunto, molto sintetico per capire meglio il dialogo ed il significato di ogni espressione usata.

All’inzio della storia il padre dice alla figlia: “Ma dimmi, CHE ARIA TIRA a scuola?” vale a dire: come va a scuola? Cosa si dice nella tua scuola?

E la figlia risponde: “nessun’aria in particolare ..facciamo gli esami alla fine di questo mese, MIO MALGRADO“. Cioè la figlia risponde al padre, suo malgrado, cioè purtroppo per lei, nonostante a lei non piaccia questa cosa, quindi suo malgrado, malgrado la volontà della figlia, a fine mese ci saranno gli esami, che evidentemente non piacciono a Madonna. Povera Madonna, come darle torto.

Poi il padre promette un regalo alla figlia, infatti dice “sì, TI DO LA MIA PAROLA!”, cioè ti prometto di farti un regalo qualora passassi, cioè superassi, gli esami. Se quindi Madonna fosse promossa agli esami con dei bei voti il padre promette, dà la sua parola alla figlia, cioè le promette di farle una sorpresa, ed in particolare le promette un regalo.

Ma poi la figlia, un po’ pessimista, risponde che lei ha paura di Psicologia, che come materia è veramente difficile secondo lei e aggiunge che è già GRASSO CHE COLA se sarà promossa con il voto minimo! E’ difficile quindi, secondo la figlia, che lei riesca a superare l’esame di psicologia, e se lo supererà, è già grasso che cola se prenderà il voto minimo, il voto più basso tra quelli ammessi per la promozione. In Italia i voti, i voti all’università vanno da un minimo di 18 trentesimi a trenta trentesimi. Poi c’è anche il trenta e lode, che è il voto massimo ad un esame universitario.

Nella storia non viene detto che la figlia frequenta l’università ma è scontato visto che si parla di voto minimo.

Dopo il padre domanda alla figlia cosa stesse facendo. Dice infatti: “ma cosa fai adesso?”
e la figlia risponde di non fare nulla. Dice di cazzeggiare un po’: CAZZEGGIO un po’ per non annoiarmi…” dice. La figlia dice che mentre parla cazzeggia un po’ per non annoiarsi. Cazzeggiare equivale a perdere tempo, ghibellonare, fare cose inutili, senza un obiettivo preciso.

Poi dopo è la figlia che fa una domanda al padre. Gli chiede infatti come fosse andata la sua riunione della settimana scorsa.
Il padre allora risponde che quella riunione non c’è stata, infatti la riunione, dice il padre, è programmata per il martedì futuro: “MICA era la scorsa settimana la riunione! È martedì prossimo!”

Il padre usa quindi la parola MICA, che è una forma colloquiale per negare, per dire no. “Mica era la settimana scorsa la riunione! È martedì prossimo!”” Questa frase la posso anche invertire senza problemi: “È martedì prossimo la riunione, MICA la settimana scorsa!”.

La figlia fa poi un’altra domanda al padre, e gli chiede cosa faccia in quei giorni a parte il lavoro: ” che fai in questi giorni a parte il lavoro? Ed il padre risponde  che lui ha acquistato dei nuovi libri, e lo ha fatto per Ingannare il tempo: “beh – dice il padre – ho comprato nuovi libri per INGANNARE IL TEMPO. ..te li faccio leggere quando ritorno a casa”. Non appena il padre tornerà a casa per raggiungere la figlia, le farà leggere i libri che lui ha acquistato per ingannare il tempo, cioè per far trascorrere il tempo più velocemente, perché quando non hai molte cose da fare il tempo sembra non passare mai.

Mi auguro che anche voi, per ingannare il tempo, ogni tanto ascoltiate degli episodi di Italiano Semplicemente. Un grazie a Madonna che ha avuto questa bell’idea. Se qualcuno di voi vuole esercitarsi e fare la stessa cosa sarò felice di pubblicare anche la vostra storia. Basta andare sulla pagina delle frasi idiomatiche, scegliere una decina di frasi, comporre una breve storia ed inviarla a italianosemplicemente@gmail.com

Un saluto a tutti.

 

 

 

 

Andare a rotta di collo

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E’ possibile leggere ed ascoltare e/o scaricare il file audio di questo episodio in formato MP3 tramite l’audiolibro (+Kindle) in vendita su Amazon, che contiene in tutto 54 espressioni italiane e 24 ore di ascolto.

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Trascrizione

Allora amici rieccoci qui, su Italiano Semplicemente punto com.

Recentemente sto notando un crescente interesse da parte dei membri della famiglia di Italiano Semplicemente, anche  su Facebook. Per chi non lo sapesse esiste una pagina Facebook dedicata ad Italiano Semplicemente sulla quale tutti gli amici scrivono i loro pensieri sui Podcast pubblicati e fanno le loro proposte sui nuovi articoli, o episodi, o Podcast (chiamiamoli pure “episodi” visto che la traduzione di Podcast in italiano non esiste in una sola parola). Cerco di accontentare tutti,  ho ancora delle  richieste da soddisfare ma state tranquilli che ce la faremo.

Questo crescente interesse che sto notando ho immediatamente provveduto a trasformarlo in energia da dedicare alla spiegazione delle lezioni da condividere con tutti voi.

Prima di passare alla spiegazione del prossimo episodio vi faccio una piccola introduzione sui futuri progetti di Italiano Semplicemente. Spero vi faccia piacere.

Ci ho riflettuto a lungo, da quando, ormai più di un anno fa, ho deciso di intraprendere questa avventura, finalizzata all’aiuto di voi stranieri che volete imparare la lingua italiana.

Allora,  i futuri progetti sono diciamo sintetizzabili,  riassumibili in quattro semplici punti.

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Primo, le spiegazioni delle espressioni tipiche italiane, che saranno gratuite come sempre, con trascrizione e con il relativo file audio in formato mp3. Queste lezioni continueranno per sempre finché avrò voce per parlare e sono il modo migliore per aiutare le persone come voi.

Secondo, il corso di Italiano Professionale, la mia personale “resolution“, cioè il mio obiettivo di quest’anno, dell’anno 2017, corso la cui versione base sono intenzionato a terminarla nel corso di  quest’anno, il 2017. Poi il corso si arricchirà di lezioni aggiuntive perché la mia intenzione è di affrontare, uno alla volta, tutti i mestieri, tutte le professioni, tutti i lavori che gli stranieri fanno in Italia, che svolgono in Italia: Pizzaiolo, domestica, badante, professoressa, infermiera, addetta al call-center  eccetera. Faremo quindi, dal 2018, dei pacchetti per ogni singolo lavoro. Ci saranno dialoghi, ci saranno lezioni approfondite su tutti i lavori, su come parlare e quali parole usare in ogni occasione. Ci saranno spiegazioni del vocabolario, ed ogni volta come faccio sempre mi farà piacere spiegarvi quando usare un termine o una espressione e quando usarne un’altra: un lavoro alla volta dunque, uno al mese. Questa è la mia profonda intenzione, della quale sono veramente entusiasta poiché un corso di questo tipo non esiste oggi su internet. Il corso sarà interamente online ma chi vorrà potrà ricevere la stampa dell’intero corso e la pen-drive con tutte le lezioni audio e PDF.

Terzo punto, in futuro c’è anche un progetto di aiutare maggiormente i principianti. Oggi ci sono molte lezioni gratuite ed approfondite per loro, per coloro che non conoscono l’italiano per niente, e tali lezioni sono delle piccole storie con domande e risposte, come molti di voi sanno già. Sono storie divertenti create insieme ai miei figli che mi aiutano spesso. Non appena avrò terminato le storie per principianti gratuite previste, in futuro sarà invece creato un corso per principianti  di circa 15 lezioni in più con le storie più famose e conosciute da tutti: la storia di pinocchio, cenerentola, biancaneve e anche discorsi celebri che tutti conoscono, come il discorso di martin Luther King (I have a dream, in italiano ovviamente) ed altri discorsi che tutti o molti conoscono già nella loro lingua. Ci sto lavorando e saranno corsi adatti per i bambini ma anche per gli adulti. Anche queste lezioni avranno una storia, delle domande e delle risposte e i relativi  file PDF da leggere.

Quarto punto, ma non per importanza, è la creazione di un’area comune, che potrebbe essere un gruppo privato su Facebook, dove con i partecipanti, un gruppo ristretto di persone, affronterò ogni mese un argomento diverso relativo alla cultura italiana; si parlerà di personaggi italiani particolarmente importanti, parleremo di turismo in Italia, di monumenti, delle scarpe italiane, della moda in generale e faremo dei podcast anche sulle città italiane.

Il programma prevede che ogni mese si affronti un argomento diverso, e si farà un file audio con trascrizione, un video con sottotitoli, e anche un file audio chiamato “vocabolario”. Vedremo quindi ogni volta un vocabolario diverso: il vocabolario del turista, del cinema eccetera.

Chiunque è interessato potrà sottoscrivere l’abbonamento mensile ed ogni mese potrà decidere se continuare oppure non continuare più. Sto ancora studiando i dettagli di questa offerta ma sul sito potete già leggere la pagina dedicata a questo speciale corso di italiano, basta andare sul menù in alto e cercare “LA CULTURA ITALIANA“. Potete inviare le vostre adesioni via email se siete interessati. Nel frattempo come dicevo ho inserito un pulsante sul menù in alto, nel sito, dove spiego i dettagli di questo speciale corso sulla cultura italiana. Ho anche scritto alcuni degli argomenti che pensavo di trattare.

Molte quindi le novità che ci aspettano cari amici.

Bene, passiamo ora alla frase di oggi, che è l’espressione “andare a rotta di collo“.

Ho provato a chiedere sulla nostra pagina Facebook se qualcuno conoscesse questa espressione. La maggioranza di coloro che hanno risposto non la conosce, qualcun altro  la conosce ma non sa bene come usarla.

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Bene, allora è una espressione che si usa quando si deve esprimere, diciamo così, il concetto di velocità.

“Andare velocemente” è la frase più comune, il modo più utilizzato per esprimere questo concetto, e quando si fanno le cose velocemente, si possono usare diverse espressioni, o termini, qualcuna di queste è una espressione idiomatica, proprio come  “andare a rotta di collo”.

Vediamo un po’: andare è un verbo noto a tutti voi che capite ciò che sto dicendo. Il “collo” è una parte del corso, ed è quella parte del corpo che sta sotto la vostra testa e sopra le vostre spalle, e che ha la funzione di sostenere la vostra testa e farla girare a destra e sinistra. Il collo.

La parola “rotta” viene da rompere. Se una cosa è rotta vuol dire che non funziona più. Anche il collo si può rompere, ma la rottura del collo è una cosa gravissima e questo è solamente un modo di dire, perché la frase “andare a rotta di collo” significa semplicemente andare velocemente, fare le cose velocemente, talmente velocemente che si potrebbe rompere il collo.

Andare a rotta di collo è quindi una espressione che posso usare (è una espressione informale, beninteso) ogni volta che qualcuno fa qualcosa di fretta, di molta fretta. Solitamente si usa più quando si deve correre fisicamente, quando cioè c’è uno sforzo fisico o anche uno stress mentale. Quindi se dico:

E’ da stamattina che sto andando a rotta di collo, devo rilassarmi, non ce la faccio più.

Vuol dire che da questa mattina che sto facendo le cose velocemente, e sono stressato. Ho bisogno di riposare, di rilassarmi perché finora sono andato a rotta di collo.

Ma è una espressione che potete usare sempre per indicare una velocità eccessiva. Al lavoro potete andare a rotta di collo per poter terminare un documento importante, ed in questo caso c’è solamente un stress mentale e meno una fatica fisica.

Anche se correte solamente, e state correndo per fare in tempo a prendere il treno, altrimenti lo perdete, potete dire che dovete sbrigarvi, che dovete andare a rotta di collo per non perdere il treno, o anche l’aereo. In questo caso c’è maggiormente una fatica fisica. Però in questo caso si capisce di più perché la rottura del collo è un trauma che potrebbe capitare più facilmente quando correte. Scherzi a parte, in questi casi, nei casi in cui si deve correre si usa anche un’altra espressione, che mi ha ricordato Maya su Facebook, che saluto. L’espressione è “correre a perdifiato”. Quando si corre, si sa, viene il fiatone, si respira affannosamente, si respira con affanno, cioè con fatica. Il “fiato” è il respiro, il fiato è l’aria che esce dai polmoni durante il movimento di espirazione, che si chiama “fiatone” quando si fa grosso, quando si respira affannosamente perché si corre, si sta correndo. “Correre a  perdifiato” vuol dire quindi “correre finché si perde il fiato”, cioè correre finché viene  mancare il fiato, quando non si riesce più a respirare per quanto si corre. In questi casi bisogna stare attenti perché il battito cardiaco aumenta, aumenta e aumenta e si rischia perfino ‘infarto, cioè l’arresto cardiaco, l’arresto del cuore: il cuore si ferma. “A perdifiato” quindi sta per “a perdere il fiato” e correre a perdifiato significa correre molto, finché il fiato viene a mancare. Ma correre a perdifiato si usa solamente nella corsa, mentre in senso figurato non si può usare. In questi casi si usa “andare a rotta di collo”, cioè in tutti quei casi in cui si va velocemente, si fa qualcosa velocemente.

Andare velocemente: in generale, non solo nella corsa ma sempre, se non vogliamo usare espressioni idiomatiche, possiamo dire anche semplicemente: sbrigarsi, oppure “andare di corsa”, o “andare di prescia“.

Qui però bisogna fare anche una distinzione. Se si tratta di una semplice velocità si deve usare sbrigarsi, andare velocemente, andare di corsa, precipitosamente o andare a rotta di collo ma invece se voglio esprimere l’intenzione, il desiderio di voler accelerare, avere la fretta di voler terminare una attività qualsiasi, ci sono altre espressioni.

In effetti quando ci si sbriga, quando si fa velocemente, quando si va speditamente, si potrebbe sbagliare qualcosa, si potrebbe trascurare qualcosa, infatti la fretta non è mai una buona cosa. Ma quando si ha fretta, molta fretta, può capitare di ascoltare l’espressione: “vado di prescia” o “avere prescia“, molto diffusa dal Lazio in giù, quindi è una espressione locale del centro-sud Italia.

  • scusa, ma vado di prescia;
  • scusami ma ho prescia;
  • non mi sono ricordato di quella cosa perché andavo di prescia, avevo molta prescia.

Se uso questa parola “prescia”, con andare o avere come verbo, significa che voglio evidenziare la cosa negativa che c’è nella fretta, il fatto di non poter pensare a tutto. Infatti spesso ci si scusa quando si usa la parola prescia: “scusa vado di prescia”, “scusa ho prescia, ci pensiamo dopo a quella cosa”.

In modo più elegante la fretta da prescia, che evidenzia i fattori negativi, si trasforma in “premura“. “Avere premura” è un modo più formale, ma sempre colloquiale e adatto più alla forma orale che a quella scritta. La premura è un desiderio urgente di qualche cosa. Non è solo fretta dunque; può essere la fretta di terminare, ma premura è più delicato; premura è fretta sì, ma anche cura, attenzione:

Si può avere la premura di finire un lavoro, perché si ha la fretta di terminarlo, ma il lavoro va fatto bene, con attenzione, quindi bisogna impegnarsi nel farlo. C’è una bella differenza tra “avere prescia di finire un lavoro” e “avere premura di finire un lavoro”. Nel primo caso c’è solo fretta, e il lavoro è più un peso, più una cosa da terminare in fretta. Nel secondo caso il lavoro è importante, quindi è meglio avere premura che avere prescia. Non usate mai la frase “ho molta prescia” al lavoro ma piuttosto usate “ho molta premura” se volete essere stimati e considerati persone attente al proprio lavoro. Quindi posso fare anche altre esempi:

  • Ho molta premura di terminare questo lavoro;
  • Non devi avere premura di finire oggi!
  • Non dobbiamo avere così premura.

Ecco, quindi stiamo attenti perché se voglio sottolineare la velocità e la fatica, anche fisica ed emotiva, utilizzo ” andare a rotta di collo“; se invece sottolineo la fretta senza attenzione utilizzo “avere prescia“, o “andare di prescia“.

Se poi vogliamo essere più formali, eleganti e professionali possiamo dire “andare spediti“. Chi va spedito va velocemente, chi fa le cose velocemente le fa in modo spedito, o anche speditamente. Si dice anche così. Spedito inoltre evidenzia la mancanza di ostacoli. Chi va spedito non ha nessun ostacolo da superare. Non ha problemi.

Hai problemi? No, no, nessun problema, sto andando molto spedito.

Andare spediti è sicuramente più elegante e carino da ascoltare, sicuramente più carino di andare di prescia che invece sottolinea, evidenzia come detto, gli elementi negativi della fretta ed è anche più elegante di “andare a rotta di collo”, che preannuncia anche se in modo figurato, incidenti fisici!

Infine vi dico anche che c’è anche una parola simile a “andare a rotta di collo”. Si tratta di una sola parola, anzi si tratta di un verbo. Il verbo è scapicollarsi.

Scapicollarsi significa esattamente “andare a rotta di collo” ed è persino più forte come concetto.

Domanda: Hai finito quel lavoro? Doveva essere pronto per ieri!

Risposta: Mi sto scapicollando ma ancora non sono riuscito a finirlo!

Oppure: Per finire questo lavoro devo scapicollarmi!

Scapicollarsi è quindi uno di quei verbi pronominali che esistono solamente nella forma pronominale. Non esiste io scapicollo qualcosa oppure tu scapicolli eccetera, ma esiste invece:

Io mi scapicollo

Tu ti scapicolli

lui/lei si scapicolla

Noi ci scapicolliamo

Voi vi scapicollate

Essi/loro si scapicollano

Ci si riferisce quindi a se stessi. Non è un verbo che presenta particolari difficoltà e in Italia vi capiterà spesso di ascoltarlo perché si usa ovunque ma è molto informale. Mai usarlo nelle occasioni importanti.

Bene, se volete ora terminiamo l’episodio facendo un esercizio di ripetizione. Ripetete dopo di me senza pensare troppo alla grammatica. Imparate ad ascoltarvi.

Io vado a rotta di collo;

Tu vai a rotta di collo;

Lui si scapicolla;

Lei va a rotta di collo;

Noi abbiamo premura di finire il lavoro in tempo;

Voi state andando molto spediti;

Loro vanno di prescia.

Ripetete l’ascolto più volte, non abbiate fretta, non fate le cose di prescia

 

 

 

 

Vattelappesca

Audio

E’ possibile ascoltare il file audio e leggere la trascrizione di questo episodio tramite l’audiolibro (Kindle o cartaceo) in vendita su Amazon, che contiene in tutto 42 espressioni italiane.

US  – UK – DE – FR – ES – IT – NL – JP – BR – CA – MX – AU – IN

Trascrizione

Eccoci qua, amici di Italiano Semplicemente, ad un nuovo episodio dedicato alla lingua italiana. L’espressione di oggi è VATTELAPPESCA. E’ stato RAUNO, che saluto, (Ciao Rauno) a proporre la spiegazione di questa parola.

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VATTELAPPESCA, badate bene, è infatti una sola parola, tutta attaccata.

Rauno nella sua email mi chiede: mi interessa l’espressione VATTELAPESCA, lo so, dice Rauno, che significa “chi lo sa?” ma perché si usa dire questo?

Bene Rauno, allora spieghiamo a tutti il significato di questa espressione, come l’hai chiamata tu, anche se è un’espressione composta da una sola parola: VATTELAPPESCA.

In realtà però vattelappesca sembra una frase di più parole: VATTELAPPESCA infatti viene dalla frase VATTELA A PESCARE, cioè VALLO A PESCATE DA TE, VAI  TU A PESCARE QUESTA COSA.

E’ una esclamazione dunque, che deriva da tre parole che sono state unite in una sola parola: VATTELAPPESCA= VATTELA  A PESCARE.

Vai è la forma imperativa del verbo andare. Vai! cioè tu vai, vai a pescare. Pescare invece è quell’attività che compiono i pescatori, cioè pescare significa estrarre dall’acqua, tirar fuori dall’acqua. Solitamente si pescano i pesci, gli animali che si trovano in acqua, ma si può in realtà pescare qualsiasi cosa, l’importante è che si trovi in acqua. Quindi VATTELAPPESCA significa letteralmente: “vai a estrailo dall’acqua”, “vallo a paescare”.

Rauno dice che conosce questa espressione, il suo significato figurato e che sa che significa “chi lo sa!”, cioè sa che significa “non lo so!”, “chissà!”, “non so!”.

La persona che parla, e che usa questa parola quindi sta semplicemente dicendo che non sa qualcosa, e si usa spesso in questi casi, ma in realtà nella maggior parte dei casi non si usa quando non si sa qualcosa, quando non si conosce qualcosa in generale, ma si usa quando non si sa più dove si trova qualcosa. Prima si conosceva il luogo, ora invece non si sa più.

Quindi anche se sul dizionario della lingua italiana trovate che questa è una locuzione familiare che si usa frequentemente  in espressioni d’incertezza, di dubbio, di ignoranza assoluta, quando non sapete qualcosa, la verità è che si usa quasi sempre quando questa ignoranza è relativa a qualcosa, o qualcuno, di cui non si conosce più il luogo in cui si trova.

E’ familiare come espressione, ma è utilizzatissima nel linguaggio di tutti i giorni.

Se ad esempio due miei amici che non mi vedono da molto tempo, parlando tra loro di me, potrebbero dire:

Hei, ti ricordi di Giovanni? Chissà che fine ha fatto ora! Sai per caso dove abita adesso Giovanni?

L’altro amico potrebbe rispondere:

“Chi lo sa, vallo a sapere dove abita! Abita vattelappesca dove”

Quindi vattelappesca equivale a chissà, chi lo sa ed espressioni analoghe, ma vattelappesca è più adatto a descrivere l’incertezza di un luogo:

Dove si trova Giovanni? Vattelappesca dove si trova!

Cioè vallo a pescare dove si trova. Vattelo a pescare, vallo tu a pescare Questa sarebbe la traduzione letterale, ma cosa c’entra la pesca?

Rauno infatti nella sua email mi domanda: Gli italiani vanno spesso a pescare quando sono all’oscuro di qualcosa?

Quando sono all’oscuro di qualcosa, cioè quando non sanno qualcosa (Rauno ha utilizzato un’altra espressione idiomatica!), in questi casi gli italiani non vanno a pesca, assolutamente no, ma dove si pesca? Nel mare, oppure in un fiume, o in un lago, e se provate a gettare una cosa nel mare, una qualunque cosa, come una bottiglia ad esempio, e la lasciate lì, poi se provate ad andare a riprendere la bottiglia dopo 10 anni, o dopo 20 anni, riuscite a ritrovarla? Il mare è grande!

Vai a pescare dove è andata a finire quella bottiglia!

Vai, vai, vattela a pescare e vediamo se la ritrovi!

Te lo dico io, non la ritroverai mai quella bottiglia, vattelappesca quella bottiglia dove può essere oggi!

In questo esempio ho utilizzato una bottiglia, per farvi capire da dove viene questa espressione, ma ogni volta che non sapete assolutamente dove possa essere una cosa o anche una persona, potete usare questa parola, senza che la pesca c’entri qualcosa. La pesca quindi, caro Rauno, è usata solamente per indicare la difficoltà nel trovare qualcosa, come se la dovessimo cercare in mare, che è grande, molto grande.

Quindi ad esempio se non trovate più una vostra amica su Facebook con cui parlavate qualche tempo fa, potete dire:

Vattelappesca dove sarà adesso!

Allo stesso modo, se non trovate gli occhiali:

Dove sono i miei occhiali accidenti? Vattelapesca!

Posso usare vattelappesca al posto, o anche insieme ad un’altra espressione più conosciuta, “andarsi a cacciare” o “andare a cacciarsi”.

Ad esempio:

Vattelappesca dove si saranno cacciati i miei occhiali!

Dove si sarà cacciato quel mio amico di Facebook? Vattelappesca!

Cacciarsi quindi si usa nella forma interrogativa:

Dove ti sei cacciato? Non riesco a trovarti!

Dove si sarà cacciato il mio amico? Vattelappesca!

Dove si saranno cacciati i miei occhiali? Vattelappesca!

Quindi oggi amici volevo spiegarvi una espressione ed invece alla fine ne ho spiegate due.

Allora: andare è un verbo, lo conoscete tutti, mentre cacciarsi è anch’esso un verbo che viene da cacciare, deriva dal verbo cacciare; ma cacciare significa uccidere gli animali, ucciderli o catturarli per sport, ed invece cacciarsi non è uccidere o catturare se stessi per sport… perché solitamente i verbi pronominali riflessivi, che finiscono per “si” hanno questo significato. Lo abbiamo già visto sull’episodio dedicato ai verbi pronominali.

Cacciarsi vuol dire invece “andare in qualche posto nascosto”, “andare a finire da qualche parte”, “infilarsi”. Quando non trovate qualcosa si usa frequentemente proprio come vattelappesca.

Se un oggetto come ad esempio una forchetta vi cade dal tavolo mentre state mangiando e questa forchetta va a finire nell’angolo più lontano della stanza, e voi non la vedete più potete dire:

  • dove si sarà cacciata la forchetta? vattelappesca dove si è cacciata!

E se poi la trovate:

  • guarda dove si era cacciata la forchetta!
  • guarda dove si era andata a cacciare la forchetta !

Prima dell’esercizio di ripetizione devo dirvi che a volte vattelappesca si usa anche genericamente quando non si conosce qualcosa, non solo dove è qualcosa, ma in tutti i caso di incertezza. Ad esempio:

Mentre sto parlando, in quanti siete all’ascolto di questo podcast? boh, chissà, vattelappesca.

Un piccolo esercizio di ripetizione ora, che vi invito a fare  prima di terminare l’ascolto. Ripetete dopo di me:

VATTELAPPESCA!

VATTELAPPESCA!

VATTELAPPESCA dove sarà la penna!

VATTELAPPESCA dove sarà Maria oggi!

Dove si sono cacciati gli occhiali?

Dove sei? Dove ti sei cacciato?

Dov’eri? Dove ti eri cacciato?

Vattelappesca dove ti sei cacciato!

Un saluto affettuoso a tutta la famiglia di Italiano Semplicemente e non usate questa espressione col professore di italiano, mi raccomando! E’ pur sempre una espressione familiare, si usa quindi tra amici e in famiglia.

Un’altra raccomandazione: ripetete l’ascolto più volte per ricordare meglio. Saluto infine tutti i brasiliani, che oggi sono stati coloro che hanno più ascoltato più degli altri i podcast di Italiano Semplicemente. Chissà dove  sono adesso tutti i brasiliani che son stati su Italiano Semplicemente: Chi, lo sa, vattelappesca!

 

La paura fa novanta, pezzo da novanta

Audio

Trascrizione

Membri della famiglia Italiano Semplicemente, un saluto da Giovanni, e vi do il benvenuto in questo nuovo episodio, in questo nuovo podcast di ItalianoSemplicemente.com. Ringrazio tutti del vostro interesse e dei vostri commenti sulla pagina Facebook, spero da parte mia, di esservi utile e di aiutarvi concretamente nell’apprendimento della lingua italiana. Scusate se a volte non riesco a rispondere personalmente ai messaggi su Facebook ma non sempre riesco a trovare il tempo. Ad ogni modo credo sia più produttivo sottolineare due cose, prima di iniziare la spiegazione di oggi.

La prima cosa è che queste espressioni, conoscere le espressioni idiomatiche Italiane è importante per conoscere la cultura Italiana, e difficilmente troverete queste espressioni in un corso di italiano convenzionale, dove lo studio della grammatica è al centro e non c’è spazio per le espressioni tipiche italiane. La seconda cosa, ancora più importante, a mio modo di vedere, è che per ogni espressione tipica italiana bisogna sapere come utilizzarla, in quali occasioni, se è informale o formale, se la potete usare in famiglia o in ufficio o col vostro professore di italiano. È bene sapere quindi anche in quali altri modi esprimere lo stesso concetto, per essere sicuri che stiamo usando bene l’espressione, altrimenti c’è il rischio di fare brutte figure, ed allora è meglio non conoscerla quell’espressione. Sul web ci sono altri siti o canali YouTube, anche molto interessanti,  in cui si spiegano le espressioni italiane, ma tutti questi siti spiegano solo una versione della frase, e si tratta sempre di espressioni familiari, che potete usare e tra amici e non con persone diverse o che non conoscete bene. È per questo, è anche per questo che nelle mie spiegazioni cerco sempre di specificare il contesto di riferimento. Ed è anche per questo che ho deciso di sviluppare il corso di italiano professionale, che potete trovare sul sito e in cui vengono spiegate,  tra l’altro, tutte le frasi che si riferiscono al mondo del lavoro, dalle riunioni, alle conferenze, al colloquio di lavoro,  a come trattare eccetera. Ma torniamo all’espressione di oggi.

L’espressione che ho scelto di spiegarvi oggi, anzi le espressioni di cui ho deciso di parlarvi oggi sono due. Si tratta di “pezzo da novanta” e di “la paura fa novanta”. Credo siano due espressioni interessanti da spiegare e da comprendere.

Queste due espressioni sono state proposte da Leonardo, che saluto. Leonardo mi ha inviato una mail attraverso il link che ho inserito nella pagina delle frasi idiomatiche, e ha scelto due espressioni che contengono la parola “novanta”, che è un numero, come sapete. Novanta è il numero che sta dopo l’ottantanove e prima del novantuno. Ma in Italia il novanta è un numero particolare; non è un numero qualunque.  Sapete infatti,  o forse non lo sapete, che esiste un gioco in Italia che si chiama “Tombola”, un gioco molto famoso.  Ora vi spiego come funziona il gioco della Tombola.

Ecco quindi che per spiegare queste due semplici espressioni contenenti la parola 90, il numero 90, occorre fare una premessa. Occorre spiegare il significato del numero novanta, cioè quello che rappresenta il numero novanta. Questo, inevitabilmente, ci fa entrare nella cultura italiana. Vediamo come quindi.

La tombola, dicevo, è un gioco, un tradizionale gioco da tavolo nato nella città di Napoli nel XVIII secolo, secolo che inizia nell’anno 1701 e termina nell’anno 1800 incluso. Il gioco della Tombola è un gioco in cui vengono sorteggiati dei numeri, vengono estratti dei numeri che vanno da 1 a 90, numeri compresi tra 1 e 90. La Tombola è la versione casalinga del gioco del lotto.

Probabilmente molti di voi conoscono il gioco del lotto ma non conoscono la Tombola.

Ebbene, questo gioco, famosissimo in Italia, è un gioco diffuso a livello familiare, infatti ogni Natale, durante le feste del Natale (che cade il 25 dicembre di ogni anno)  in quasi tutte e famiglie, soprattutto se ci sono dei bambini, si gioca a Tombola: ci si mette tutti attorno ad un tavolo e si gioca tutti assieme a Tombola.  Questo avviene anche nelle feste di paese, dove si gioca a Tombola nella piazza del paese, di molti paesi almeno,  soprattutto al centro-sud. Dicevo che vengono sorteggiati, vengono estratti dei numeri, che stanno dentro ad un contenitore, all’interno di alcune palline. Nelle piazze dei paesi i numeri vengono sorteggiati e vengono urlati con l’aiuto di un megafono, in modo che tutti possano ascoltare.

tombola

Ogni persona, per partecipare al gioco, acquista una “cartella”, cioè un foglio, un foglietto, sul quale sono scritti 15 numeri, in tre file di 5 numeri. C’è poi una persona che estrae un numero alla volta dall’urna, dalla scatola, dal contenitore. Quindi man mano che escono i numeri, uno alla volta, questi numeri vengono detti ad alta voce: “cinque, ventidue, ottantasei” eccetera. Le persone che hanno acquistato una cartella controllano se la loro cartella, il loro foglio contiene il numero di volta in volta estratto. Quando una cartella contiene, su una delle tre file, il numero estratto, normalmente si appoggia un fagiolo sopra quel numero, oppure si fa un buchino sulla cartella con uno stuzzicadenti: diciamo che ci sono vari modi di segnare i punteggi. E quando si vede, quando si verifica, si constata, si appura che avete quel numero nella cartella si dice: “ce l’ho”, e mettete, appoggiate il fagiolo sul numero della vostra cartella di carta.

Quando si vince? Si vince quando qualcuno nella sua cartella riesce per primo, prima degli altri, ad avere due o più numeri in fila, cioè sulla stessa fila, su una delle tre file di ogni cartella: si fa quindi “ambo” (con due numeri), si fa terno con tre numeri, quaterno con quattro e chi ne azzecca cinque, tutti i cinque numeri di una delle tre file fa quella che si chiama “cinquina”.

Chi è poi molto fortunato riesce anche a “fare Tombola”. Fare tombola vuol dire utilizzare tutti i fagioli, tutti e 15 i fagioli, quindi vuol dire che tutti e 15 i numeri della cartella sono stati estratti. Ovviamente chi riesca a fare tombola lo strilla, lo dice a voce alta davanti a tutti non appena viene pronunciato l’ultimo numero: “tombola, ho fatto tombola!”

Chi fa tombola vince generalmente dei soldi, ma a prescindere dai soldi o dal premio che si vince, è un gioco molto divertente.

Questo gioco nasce a Napoli, come ho detto prima, ed a Napoli si danno molta importanza ai numeri ed al loro significato. Cosa significa? Significa che i napoletani hanno attribuito, hanno assegnato ad ogni numero, ad ogni numero da 1 a 90, uno specifico significato.

Quindi esiste un sistema di associazione tra numeri e significati, di solito umoristici. Ogni numero ha un suo significato. Per chi fosse interessato esiste anche un libro, che si chiama “La Smorfia”, che da secoli, da molti anni quindi, associa i sogni ai 90 numeri. Ogni numero ha un suo significato, ed ogni avvenimento, ogni sogno particolare, va tradotto in uno o più numeri.

Ebbene, il numero 90 (novanta) è associato alla paura. Allo stesso modo possiamo dire che la paura è rappresentata dal numero 90. Tutta questa lunga spiegazione per arrivare a questo dunque.

Dunque la paura è il numero 90, e la paura fa 90. Questo è il senso proprio dell’espressione “la paura fa 90”. Inoltre vediamo che si usa il verbo “fare”: “la paura fa 90”.

Allo stesso modo infatti possiamo dire che 47 fa “morto che parla”, oppure che 42 fa caffè.

Quanto fa 40? Vediamo un po’… ah 40 fa noia!

Quindi questo significa che se sognate, se fate un sogno e sognate che il vostro caro nonno, morto tanti anni fa, si beve un caffè e vi racconta delle storie, allora dovete giocare al lotto i numeri 47 (morto che parla) e il numero 40 (caffè). Infatti 40 fa caffè e 47 fa morto che parla. Semplice vero?

“La paura invece fa 90”, ora avete capito che significa, letteralmente, che la paura è rappresentata dal numero 90. Tutto qui. Ma questo è il senso proprio, quello letterale.

La paura fa 90 è però una espressione idiomatica, e questa espressione significa invece che con la paura si possono fare cose incredibili. Sotto lo stimolo della paura si fanno cose che sembrerebbero impensabili in condizioni normali.

Se quindi, ad esempio, siete rincorsi da un cane che vuole mordervi, riuscirete a correre molto velocemente, molto più velocemente del normale: la paura fa 90!

Potete usare questa espressione quindi ogni volta che verificate che con la paura si fanno coe incredibili.

Spero Leonardo sia chiaro il senso della prima frase: la paura da novanta!

Ora vediamo la seconda frase che contiene il numero novanta: “pezzo da novanta”.

Stavolta la tombola non c’entra nulla. Stavolta il numero 90 rappresenta la dimensione, cioè la grandezza, di un cannone. Il cannone è l’arma da fuoco che si usava per sparare sulle navi, un’arma normalmente molto grande (lunga circa 2 metri o giù di lì). Sembra che la larghezza della bocca del cannone, da dove cioè esce la palla di cannone, cioè il proiettile del cannone, si misuri in calibri, e il calibro di un cannone può variare: Nella seconda guerra mondiale esistevano i cannoni a calibro 88 che avevano i tedeschi, e pare che gli italiani possedessero, avessero anche una trentina di cannoni a calibro 90, cioè più potenti.

Esistevano quindi solamente trenta cannoni, trenta cannoni che avevano un calibro pari a 90.

Esistevano quindi solamente 30 pezzi da 90.

Qui occorre spiegare però anche il termine “pezzo”, che normalmente si usa per indicare una piccola quantità, una porzione di qualcosa, come un pezzo di pizza eccetera. Soprattutto nel mondo del commercio la parola pezzo non indica una porzione di qualcosa, ma il termine “pezzo” viene usato in questo caso per indicare una singola unità: un pezzo. Questo vale per qualsiasi cosa: Se voi acquistate un qualsiasi oggetto, e ne acquistate alcune unità, potete dire anche che avete acquistato “alcuni pezzi”. Il termine pezzo quindi non significa solamente “una porzione”, “un pezzo” come quando qualcosa si rompe e “va in pezzi”, cioè si distrugge in piccole porzioni più piccole. Il termine pezzo al singolare significa quindi una singola unità. Al plurale, se voglio acquistare sei bicchieri uguali posso dire alla commessa: scusi, vorrei sei pezzi di questo bicchiere! Cioè vorrei sei bicchieri di questo tipo, sei bicchieri uguali. Quindi quei trenta cannoni speciali, quei trenta cannoni che avevano un calibro 90, erano dei pezzi speciali, dei pezzi quasi unici, perché ne esistevano solamente trenta pezzi: esistevano pochissimi pezzi da 90.

Da allora la frase “pezzo da novanta” ha anche un senso figurato, e viene usata per indicare una persona importante: un pezzo da novanta è un personaggio importantissimo, come ce ne sono pochi al mondo.

Allora ad esempio se conosco il vice presidente di un’importante azienda, posso dire che quello è un pezzo da novanta di quell’azienda, cioè un uomo importante, che svolge un ruolo importante. Non si tratta di un uomo qualsiasi, ma di un vero pezzo da novanta.

Qualcuno di noi, credo, potrebbe conoscere alcuni pezzi da novanta, in qualsiasi ambito. Io, fatemi pensare… dunque, non ho mai conosciuto pezzi da novanta della politica italiana, ad esempio, e non ho neanche mai conosciuto pezzi da novanta dello sport. Totti ad esempio è un pezzo da novanta del calcio italiano e mondiale, e mi piacerebbe molto conoscerlo. Nel mio caso non mi vengono in mente pezzi da novanta che io abbia mai incontrato o conosciuto personalmente.

Avete quindi capito che un pezzo da novanta è una persona importante, molto importante. Non per forza la più importante nel suo settore, ma una delle persone più importanti.

Quindi se ad esempio devo indicare una persona che ricopre un ruolo importante in una azienda ma non ricordo il suo ruolo, cioè non ricordo ad esempio se si tratta del direttore, del vicedirettore, del presidente o del vicepresidente, ma ricordo solamente che è uno importante, posso dire che è un pezzo da novanta, che questa persona è uno dei pezzi da novanta.

Pezzo da novanta è una espressione molto usata in Italia, usata soprattutto nella forma orale e quindi non molto raffinata come espressione. Si dice anche “essere qualcuno”. Se dico che mio padre è qualcuno nel tennis, ad esempio, vuol dire che gioca bene a tennis, che è una persona conosciuta. Essere qualcuno, se detta nel modo giusto, significa quindi essere una persona conosciuta, importante perché conosciuta, una persona rispettata perché importante. Anche questa espressione però è abbastanza familiare.

Se vogliamo esprimerci in modo leggermente meno informale possiamo usare la parola “calibro”, oppure, ancora meglio, possiamo usare la parola “spessore”: allora possiamo dire che una persona importante è un pezzo da novanta, se parliamo con amici, ma possiamo anche dire che questa persona è una persona di grosso calibro, o di un certo calibro, che vuol dire ugualmente un calibro elevato, un livello elevato; questo se parliamo con persone di cui abbiamo molto rispetto, o che non conosciamo abbastanza bene. Il senso è lo stesso però. Esistono persone di grosso calibro, ed anche persone dello stesso calibro, cioè dello stesso valore, della stessa importanza. Esistono poi delle persone che hanno un “elevato calibro morale”, persone cioè che han dimostrato nella loro vita di avere una forte moralità, un forte senso del dovere ad esempio, o elevato senso civico. Se quindi volete fare un complimento ad una persona che stimate molto per la sua correttezza ed onestà, che vi ha dimostrato in molte occasioni, potete dirgli che secondo voi è una persona di un elevato calibro morale.

La parola spessore, infine, può essere usata allo stesso modo: “Quella persona ha un elevato spessore morale”, oppure quella persona ricopre un ruolo di un certo spessore, perché magari è il direttore, o il vicedirettore, o il responsabile di una qualche attività.

Bene, sperando che anche voi un giorno possiate diventare persone di elevato calibro morale, se non lo siete già ovviamente, spero di essere riuscito a farvi capire bene il significato di queste due frasi “pezzo da novanta” e “la paura fa novanta”: se ci sono riuscito posso dire di essere un professore di un certo spessore, anche se questo non è esattamente il mio mestiere. Siamo dovuti un po’ entrare nella cultura italiana per capire bene, ed in effetti è questo il significato profondo di imparare una lingua: se imparate la cultura, imparare la lingua vi risulterà più facile. Spero di non avervi annoiato, ringrazio Leonardo per la domanda e tutti gli altri di essere così numerosi a seguire ItalianoSemplicemente.com.

Ora rispondete a voce alta ad alcune facili domande. Aspettate la domanda e provate a rispondere, così vi esercitate nella pronuncia: saranno delle domandine facili-facili.

La paura fa ottantanove?

No, la paura non fa ottantanove, la paura fa novanta!

La paura fa novantuno?

No, la paura non fa novantuno, la paura fa novanta!

Quanto fa la paura?

La paura fa novanta!

Ripetete ora:

Pezzo da novanta.

Quell’uomo è un pezzo da novanta!

Rispondete:

Ma chi è quell’uomo? Una persona di spessore?

Altroché! Quello è un pezzo da novanta!

Quel tizio è qualcuno nell’azienda?

Sì, lui è un pezzo da novanta! È uno di grosso calibro!

Ciao a tutti, e ricordatevi che tutti i fan di italiano semplicemente sono pezzi da novanta, almeno per me.

L’undicesimo comandamento: fatti i fatti tuoi!

Audio

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Descrizione 

Tanti modi diversi per dire la stessa cosa. Agli amici, ai colleghi,  in famiglia. 

– fatti gli affari tuoi

– non ficcare il naso 

– la cosa non la riguarda 

– non ti inpicciare 

– non ti immischiare 

– fatti i fatti tuoi 

– non amo le interferenze 

– non sia inopportuno 

Trascizione

Buongiorno a tutti, e benvenuti su un nuovo episodio di Italiano Semplicemente.

Oggi siamo qui per spiegare il significato di alcune espressioni molto usate in Italia. In particolare spiegheremo a tutti cos’è l’undicesimo comandamento.

Il comandamento, o meglio, i comandamenti, sono le regole, scritte sulle tavole della legge che, secondo la Bibbia, furono date da Dio a Mosè sul monte Sinai.

Ci sarebbe molto da dire in proposito, ma qui mi limito a dire che  per chi non conosce molto bene la religione cattolica, i dieci comandamenti sono le dieci fondamentali regole che ogni cattolico deve rispettare. Ci sono varie versioni dei dieci comandamenti, e nella versione cattolica questi comandamenti sono ben noti a tutti gli italiani.

Questi comandamenti, sono appunto dieci. Il loro numero è dieci:

  1. Non avrai altro Dio all’infuori di me.
  2. Non nominare il nome di Dio invano.
  3. Ricordati di santificare le feste.
  4. Onora il padre e la madre.
  5. Non uccidere.
  6. Non commettere atti impuri.
  7. Non rubare.
  8. Non dire falsa testimonianza.
  9. Non desiderare la donna d’altri.
  10. Non desiderare la roba d’altri.

Questi sono i dieci comandamenti che ci insegnano a tutti da piccoli, diciamo dai 6 ai 10 anni, quando si frequentano le scuole elementari e durante l’attività di formazione, diciamo così, durante il catechismo (o catechesi) che si fa ai bambini prima di fare la prima comunione, uno dei principali sacramenti cristiani.

Ma prima avevo parlato dell’undicesimo comandamento! 

fatti_gli_affari_tuoi

Ebbene, sebbene l’undicesimo comandamento non esista ufficialmente, almeno non esiste nella religione cristiana, ebbene è una usanza nota a tutti gli italiani che l’undicesimo comandamento sia un’altra regola che tutti dovremmo rispettare. La regola che tutti dovremmo rispettare è la seguente: Pensa ai fatti tuoi! “I fatti tuoi”, o in generale “i fatti propri” sono le cose che ci riguardano personalmente, le cose che riguardano noi stessi. Quindi “i fatti miei” sono le cose che mi riguardano, mentre “i fatti tuoi” sono le cose che riguardano te. Allo stesso modo “i fatti suoi” sono le cose che riguardano lui o lei, cioè una terza persona. La stessa cosa vale per “i fatti nostri”, che riguardano noi,  “i fatti vostri” che riguardano voi ed infine “i fatti loro”, che riguardano loro, cioè delle terze persone.

“Pensa ai fatti tuoi,” significa quindi non pensare alle cose che non ti riguardano, non entrare, non interessarti delle cose che non ti riguardano, che cioè non riguardante, te stesso, ma invece riguardano qualcun altro, un’altra persona. Questo è quello che scherzosamente è indicato come l’undicesimo comandamento.

Ovviamente non si tratta di una regola religiosa, ma semplicemente di un modo di dire italiano.

Quando vogliamo dire a qualcuno che non deve pensare alle cose che riguardano gli altri, possiamo farlo appellandoci all’undicesimo comandamento, che recita appunto: pensa ai fatti tuoi!

Appellandoci vuol dire “fare appello”, cioè “richiamando”, “ricordare che esiste”, e dicendo “mi appello all’undicesimo comandamento” si vuole dire, scherzosamente, che esiste una regola, una legge, un comandamento (quindi una legge divina), esiste una legge alla quale mi appello, cioè una legge che va rispettata e quindi te la ricordo, come se fosse una vera legge; e questa legge alla quale mi appello dice che non devi pensare alle mie cose, ma devi pensare alle tue cose e basta: “mi appello all’undicesimo comandamento significa semplicemente: “fatti i fatti tuoi

Ci sono però  altri modi di dirlo. Ci sono altri modi simili per dire la stessa frase, per dire questa semplice frase. Ed è proprio questo l’argomento di oggi.

Il modo più diffuso è: “fatti i fatti tuoi“. Fatti i fatti tuoi significa “pensa ai fatti tuoi”, ed anche a “occupati dei fatti tuoi”, il verbo quindi può variare: fare, pensare, occuparsi.

Ma perché si dice “i fatti”? 

I fatti sono le cose che accadono. I fatti, cioè: ciò che accade, ciò che succede. Quindi i fatti tuoi sono le cose che accadono a te, le tue vicende: i fatti tuoi.

Comunque non solo può cambiare il verbo: fare, pensare, occuparsi: A cambiare può anche essere la seconda parte della frase. “I fatti” possono diventare “gli affari”.

Quindi la frase diventa:

Fatti gli affari tuoi, pensa agli affari tuoi, occupati degli affari tuoi.

Di queste versioni viste finora la meno offensiva è “occupati degli affari tuoi”, semplicemente perché “occuparsi” è un verbo un po’ più formale, meno usato di fare o pensare.

Se invece non vogliamo essere affatto delicati con la persona  cui ci rivolgiamo, e quindi vogliamo proprio offendere questa persona, colpevole di non essersi occupata degli affari propri, possiamo essere decisamente più offensivi.

Quindi possiamo dirgli di “farsi i cazzi suoi“.

“Fatti i cazzi tuoi” è la versione più offensiva, sicuramente. Può capitare a tutti di ascoltarla molto spesso, e quando la ascolterete la persona che parla, e che dice questa frase a qualcun altro, avrà probabilmente un tono di voce molto alto, perché la frase è una frase di sfogo, una frase con la quale ci si sfoga, si urla quasi, una frase con la quale si accusa la persona con la quale si parla di non aver rispettato l’altra persona. Se lo dico a mia sorella, le sto dicendo che mi ha mancato di rispetto.

Si usa molto in ambito familiare, o con gli amici, con le persone alle quali si vuole più bene quindi… essendo le persone più importanti per noi, sono quelle con le quali le nostre emozioni sono più forti, e quindi ci dispiace di più litigare con familiari e amici che con sconosciuti.

Infatti è molto offensivo anche

Con uno sconosciuto basta dire: “non sono cose che la riguardano“, oppure “non sono cose che ti riguardano“, a seconda che state dando del lei o del tu a questa persona.

Ci sono però anche altri modi di dire questa cosa. Ad esempio c’è: “non ti immischiare” oppure “non ti impicciare” e anche “non ti intromettere

Immischiarsi, impicciarsi ed intromettersi sono i tre verbi utilizzati in questo caso. Questi tre verbi hanno lo stesso identico significato. Quello che cambia è il contesto: intromettersi è più educato. Impicciarsi è il più familiare dei tre.

Ad esempio: “non ti intromettere in ciò che non ti riguarda”. intromettersi significa mettersi in, cioè entrare, quindi “non entrare in ciò che non ti riguarda”: è la stessa cosa. Volendo si può usare anche il verbo entrare.

La stessa cosa vale per immischiarsi e impicciarsi. immischiarsi viene da “mischia”, e la mischia indica se vogliamo un gruppo di persone coinvolte in una attività. Chi si immischia (doppia m)  si sta facendo gli affari di qualcun altro, non si sta facendo i fatti suoi. Il verbo immischiarsi si usa solamente in questo modo in italiano, cioè per indicare che qualcuno si sta occupando di affari che non lo riguardano, sta entrando in una mischia che non gli compete.

Il verbo impicciarsi è uguale? Ha lo stesso significato di immischiarsi? 

La risposta è sì, ha lo stesso significato, ma diciamo che impicciarsi è indicato maggiormente per sottolineare che questa persona sta dando fastidio, sta entrando in questioni che non la riguardano e facendo questo crea fastidio, crea intralcio: “Non ti impicciare!” è come dire: “fatti gli affari tuoi, sei fastidioso!”.

Quindi voglio sottolineare questo aspetto, quello del fastidio, del disturbo creato, dell’intralcio. Ma più o meno il verbo è equivalente a immischiarsi.

Quello che si deve ricordare è che esistono situazioni diverse in cui usare espressioni diverse, e quindi se non conoscete la persona è meglio che al massimo  diciamo qualcosa come “non ti intromettere”. Non possiamo esagerare con la confidenza,  ed evitate di dire “fatti i fatti tuoi”, o ancora peggio “non ti impicciare” o “non ti immischiare” che sono più familiari.

“Fatti i cazzi tuoi”  è invece da evitare sempre, ma è bene sapere cosa significhi perché capita spesso di ascoltare questa frase, anche in film polizieschi o commedie italiane.

Se vogliamo poi essere ancora più formali  possiamo usare varie forme, dando però  del lei (questo è importante se non conoscete la persona). Posso dire ad esempio:

La cosa non credo che la riguardi!

oppure

non credo che la cosa debba essere di suo interesse!

o anche

non vedo,  non capisco come l’argomento possa interessarle!

In tutti questi casi si sta dando del lei all’interlocutore, e non del tu. In alternativa, sempre in modo formale, potete esprimere i vostri sentimenti, ciò che provate e quindi potete manifestare che i vostri sentimenti sono stati offesi: come farlo?

Gradirei moltissimo se lei non si interessasse della questione!“: In questo modo state comunicando un vostro disagio. Ma lo state facendo in modo formale, distaccato.

Si può  anche dire: “non amo le interferenze!“, o, ancora più deciso, potete dire: “la cosa non la deve interessare!” o ancora più forte: “non sia inopportuno!“.

Inopportuno significa non opportuno. Ed opportuno significa appropriato, adatto, adatto ad una certa circostanza. Quindi voi non siete opportuni,  cioè se siete inopportuni, allora vuol dire che non state nel posto giusto, quindi è come dire, è come invitare la persona ad andare in un luogo più opportuno, ad occuparsi di cose più opportune.

“Non sia inopportuno” quindi è un invito a non essere inopportuno: “non sia” cioè “non essere”, ma non dimenticate che state dando del lei alla persona, quindi “tu non essere” diventa “lei non sia” inopportuno.

Inopportuno è molto usato nella lingua italiana ma ha più utilizzi diversi: una persona può essere inopportuna, ma anche un intervento, cioè ciò che viene fatto o detto da qualcuno può essere inopportuno. Se qualcosa o qualcuno è inopportuno, in poche parole, c’è qualcosa che non va, e la cosa a cui ci si riferisce sarebbe stato meglio non fosse accaduta, perché ha creato disagio, ha creato dei problemi.

Se quindi vi siete chiesti il significato della parola inopportuno,  la vostra domanda non è stata inopportuna!

L’ultima espressione di oggi è “ficcare il naso“. Ficcare vuol dire mettere, inserire, mentre il naso come sapete è la parte del corpo che serve per odorare. “Ficcare il naso” è lo stesso che impicciarsi, immischiarsi: è al stessa cosa. “Ficcare il naso” dà più l’idea di chi si sporge, di chi si intromette, come se una persona dovesse entrare in una stanza e inserisce la testa di nascosto nella stanza con la porta appena aperta. Quindi mette la testa, ficca la testa dentro, ma la prima cosa che entra è in realtà il naso, come per annusare, o per vedere cose che non dovrebbe vedere. Quindi l’espressione “non ficcare il naso in queste cose” ad esempio, vuol dire “non immischiarti”, “non impicciarti. Il naso è utilizzato in molte espressioni italiane.

Bene ragazzi,  possiamo dire che è opportuno fare un esercizio di ripetizione ora? Ebbene sì, possiamo dirlo! È molto opportuno,  ed infatti lo facciamo subito.

Ripetete dopo di me e, state attenti alla vostra pronuncia. Non saltate questo esercizio, mi raccomando, sarebbe veramente inopportuno.

Io mi faccio i fatti miei!

Tu ti fai gli affari tuoi!

Lui si fa i fatti suoi

Lei si fa i fatti suoi.

Noi ci facciamo gli affari nostri.

Voi fatevi i fatti vostri!

Loro si fanno i fatti loro!

La cosa non ti riguarda! 

Pensa ai fatti tuoi!

Occupati degli affari tuoi!

La cosa non ti riguarda!

Non ti immischiare!

Noi non ci impicciamo!

Non ficcare il naso nelle mie cose!

Credo sia abbastanza per oggi. Se volete ascoltate questo episodio più volte e venite a trovarci su italianosemplicemente.com.

Fatevi pure i fatti nostri, noi non ci offendiamo!

Ps: grazie di cuore per le vostre donazioni


> Tutte le frasi idiomatiche

 

Italiano Professionale – Lezione n. 8: risultati

Audio prima parte (17:42)

Audio seconda parte (49:06)

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 Trascrizione

1. Introduzione all’ottava lezione

Buongiorno e benvenuti all’ottava lezione di Italiano Professionale. Siamo arrivati alla lezione numero otto. Spieghiamo oggi le espressioni italiane utilizzate quando si parla di risultati, di obiettivi raggiunti o ancora da raggiungere. Questo è l’argomento di oggi.

Mohamed: oggi ci sono io a farti compagnia! Mi chiamo Mohamed e sono egiziano. Insegno italiano ad Alessandria.

Ciao Mohamed, benvenuto. Grazie a Mohamed che offre il suo contributo, quindi presta la sua voce per questa lezione di italiano professionale.

Dunque Mohamed, parlavamo di risultati. Le espressioni di oggi, che vedremo nel dettaglio, sono tutte relative ai risultati (goal in inglese). In ogni lavoro ci sono dei risultati da raggiungere, da ottenere, da perseguire ed è quindi questo un argomento che non poteva mancare in un corso di italiano professionale, dove cerchiamo di affrontare le situazioni comuni a tutte le attività; situazioni suddivise per argomento.

Questo argomento, quello dei risultati, è sicuramente uno dei più importanti e dei più specifici del settore lavoro. I risultati si sognano, inseguono, e poi si raggiungono, si ottengono, o anche si perseguono: questi sono i verbi più diffusi che si usano quando si parla di risultati: sognare, inseguire, raggiungere, ottenere, perseguire, ma ce ne sono anche altri come vedremo nella lezione.

Vi capiterà di parlare di risultati, di obiettivi, di sogni, e vi capiterà di andare nella giusta direzione oppure no. Ebbene, nella lingua italiana esistono molteplici espressioni, anche idiomatiche, quindi con un doppio significato (significato letterale e figurato); espressioni che si adattano a descrivere ognuno un aspetto diverso riguardo a questo argomento.

Vediamo oggi queste espressioni insieme a Mohamed.

Mohamed: si tratta di molte espressioni Gianni, tutte diverse tra loro.

Molte espressioni diverse, infatti!

Mohamed: per semplicità, forse è meglio dividere queste espressioni in gruppi. Giusto Gianni?

Sì, infatti abbiamo pensato che è bene fare una classificazione. Così all’inizio vedremo un primo gruppo di espressioni che si riferisce alle frasi che si usano prima di aver raggiunto i risultati, in una fase precedente. Poi vediamo un secondo gruppo, dove collocheremo le frasi più utilizzate che si usano durante, oppure poco prima di aver ottenuto dei risultati, poco prima del traguardo diciamo, e infine il terzo ed ultimo gruppo, dedicato al dopo. Diciamo una suddivisione temporale. Essendo molte frasi abbiamo pensato di utilizzare questa pratica suddivisione. Vedrete che in questo modo sarà anche più facile riuscire ricordare le singole espressioni. In ogni caso avrete bisogno di ascoltare la lezione molte volte per poterle memorizzare completamente.

Nella seconda parte della lezione vedremo anche espressioni che si usano quando non si riesce a raggiungere dei risultati: quando i risultati cioè non arrivano.

Dopo la spiegazione, vedremo se ci sono, tra tutte le frasi viste, delle espressioni rischiose, rischiose nella pronuncia o anche nel contesto in cui ogni singola espressione va utilizzata. Vedremo allora quali evitare e quali usare in contesti istituzionali.

Alla fine concluderemo la lezione con un dialogo finale e con un esercizio di ripetizione.

Mohamed: Io e Gianni interpreteremo due personaggi che parleranno prima, durante e dopo i risultati: voi dovrete ripetere ognuna delle frasi dopo di noi.

Infatti ci sarà un dialogo e due personaggi, interpretati da me e Mohamed. Io e Mohamed saremo due dirigenti di una stessa azienda, un’azienda di scarpe italiane, che produce scarpe italiane, che discutono della stagione autunno-inverno. In questo dialogo useremo tutte le espressioni spiegate in questa lezione.

2. Pronti, partenza e via: verso i risultati!

Dunque abbiamo appena iniziato la nostra attività lavorativa: le cose vanno bene. Non abbiamo ancora ottenuto risultati, ma i primi risultati sono positivi. In questo caso possiamo utilizzare diverse espressioni.

La frase più semplice è: “andare alla grande!”. Andare alla grande vuol dire che le cose vanno bene; abbiamo iniziato bene. Il verbo andare è appropriato e adatto, perché indica una direzione ed un movimento: si sta andando, si sta procedendo, in una direzione. E qual è la direzione? “Alla grande” ci dice che questa direzione è quella giusta!

Alla grande significa semplicemente “benissimo”. Se chiedo a Mohamed: come va col tuo nuovo ristorante? Fai buoni affari?

Mohamed: Sì, vado alla grande, grazie!

Vado alla grande!” è molto usato ed è una espressione abbastanza informale, usata tutti i giorni tra persone che si conoscono. È informale, quindi, non è adatta a situazioni più importanti.

Ovviamente se parlo al plurale, se faccio cioè riferimento a più persone, si dice: “andiamo alla grande!” Oppure “vanno alla grande!” se mi riferisco a delle terze persone, ad un gruppo di persone a cui non si appartiene.

Ci sono alcune frasi analoghe ad “andare alla grande”. Una di queste è “Andare per il verso giusto”. Questa è più formale, adatta anche alla forma scritta: anche in questo caso si vuole dire che si è iniziato bene, sia sta andando verso la giusta direzione, anzi, il giusto verso: “Andare per il verso giusto”. La direzione infatti ha due versi, due versi opposti, e quello intrapreso, il verso intrapreso, è il giusto verso, o il “verso giusto”. Si sta utilizzando una rappresentazione, diciamo, geografica, geometrica, come se vi doveste recare, come se doveste andare in un luogo e doveste prendere una strada che porta in quel luogo. Quel luogo è il risultato da ottenere, e voi state andando verso quel luogo, ma non lo avete ancora raggiunto.

Ad esempio gli ascoltatori di questa lezione stanno andando nel verso giusto se vogliono ottenere una conoscenza della lingua italiana adatta ad un ambiente di lavoro.

Un’altra espressione simile, perché anch’essa adatta a contesti anche formali è: “andare a gonfie vele”.

In questo caso si utilizza l’immagine di una barca a vela, cioè di una barca, di un’imbarcazione, che non ha un motore, ma si muove grazie a delle vele, grazie al vento che gonfia le vele; le gonfia perché le riempie d’aria, e le vele diventano così “gonfie”. Se c’è molto vento la barca si muove velocemente; se invece non c’è vento, allora la barca, non avendo un motore, non si muove, non va avanti.

Ebbene, questo è probabilmente il miglior modo per esprimere che state procedendo molto bene, senza problemi, nella giusta direzione. Siete sospinti dal vento, ed ovviamente questa è un’immagine, un’immagine molto adatta e molto elegante da utilizzare: andare a gonfie vele.

Quindi “andare a gonfie vele” e per il verso giusto sono due espressioni adatte entrambe anche ad un contesto formale: le vele gonfie indicano che state andando benissimo. “Andare per il verso giusto” è meno ottimistica come frase, ma ugualmente positiva.

Mohamed: non mancano poi altre espressioni molto informali che utilizzano un’immagine per dire che tutto va bene.

Sì, “andare a tutto gas” è una di queste. L’immagine qui è quella di un veicolo a motore. Non c’è la vela quindi, ma un motore. Dove c’è un motore, come su una macchina o su una moto, c’è un combustibile che lo alimenta. Questo combustibile può essere la benzina, può essere il gasolio, eccetera; ma in questa frase si usa “il gas”, ed il gas nella frase rappresenta il combustibile, qualunque esso sia. Nelle macchine c’è il pedale dell’acceleratore, nelle moto c’è la manopola, perché si accelera con le mani e non con i piedi. Sia guidando una macchina che guidando una moto possiamo quindi accelerare: si può dire, anziché accelerare, “dare gas”. Si può dare più gas oppure si può dare meno gas, a seconda se si vuole accelerare o rallentare. E si può “andare a tutto gas” se si vuole andare alla massima velocità possibile, quindi premendo col piede il pedale al massimo nella macchina, o girando la manopola al massimo nella motocicletta, nella moto.

Chi “va a tutto gas” quindi va al massimo, “va a gonfie vele”. Le due frasi sono identiche ma adatte a due contesti diversi: il gas è informale, le vele sono più eleganti.

Andando dall’informale verso il formale, ci sono poi altre espressioni: “andare a tutta birra”, del tutto analoga come frase rispetto a “andare a tutto gas”. Sia il gas che la birra in effetti appartengono più al linguaggio giovanile ed a argomenti attinenti al tempo libero, e non al lavoro.

Lo stesso si può dire per “andare a tutto spiano”.

Mohamed: Questa però è più difficile da spiegare. Cos’è lo spiano?

Dunque, andare è anche qui il verbo utilizzato. La preposizione “a” è presente anche qui. “Tutto spiano” equivale a “tutta birra”, ed anche a “gonfie vele”. Cos’è lo spiano mi hai chiesto?

È talmente normale usare questa espressione per gli italiani che nessuno probabilmente sa cosa sia lo spiano. Ho fatto quindi una ricerca in proposito, caro Mohamed, ed ho scoperto che lo “spiano” si usava a Firenze, nell’antichità: si usava nei forni, dove si cucina il pane. Lo spiano era una certa quantità di grano col quale si fa il pane, lo spiano era quindi una quantità di grano. C’era anche il mezzo spiano, che era ovviamente la metà. C’era quindi il “tutto spiano”, e c’era il “mezzo spiano”. Se si lavorava “a tutto spiano” si faceva quindi il massimo del lavoro. Oggi l’espressione è usata in tutti i lavori e non solo nel forno, dove si fa il pane. E non solo nel lavoro poi!

Posso lavorare a tutto spiano, ma posso anche mangiare a tutto spiano, posso correre a tutto spiano, divertirmi a tutto spiano.

Anche questa è un’espressione familiare.

Mohamed: Ancora più difficile sarà spiegare l’espressione “a spron battuto”.

Mi stai veramente mettendo in difficoltà, Mohamed!

A spron battuto” è credo l’espressione più difficile da spiegare finora.

Il senso però è quasi identico a quello visto finora: procedere bene, andare bene, aver iniziato bene anzi, benissimo direi. Come ”a gonfie vele”.

Le due frasi “a gonfie vele” e “a spron battuto” si possono usare anche con altri verbi, non solo con il verbo “andare”: posso dire “Procedere a gonfie vele”, o “proseguire a gonfie vele”.

Analogamente posso dire “andare a spron battuto”, ma anche “procedere a spron battuto”, “proseguire a spron battuto”, “andare avanti a spron battuto”. Posso anche dire “lavorare a spron battuto”.

Però quando si dice “a spron battuto” c’è anche l’idea della velocità, della fretta, e non solo del buon risultato. Quindi si usa anche dire “allontanarsi a spron battuto”. A spron battuto quindi è anche come dire “subito”, “velocemente”. Invece “a gonfie vele” contiene solamente il risultato, la velocità sì, ma legata al risultato.

In ambito bellico, quindi in caso di guerre, di battaglie, si usa dire che un esercito si è “ritirato a spron battuto”, per dire che si è ritirato in massa, e con velocità.

Ok ma cos’è lo spron battuto? Ebbene lo spron è lo sperone, che è quel pezzo di ferro, o di acciaio, che si usa con il cavallo per farlo correre, per farlo andare più velocemente. Lo sperone è attaccato allo stivale del piede, e se si punzecchia il cavallo con lo sperone, il cavallo avverte del dolore e aumenta la velocità. Lo sperone si batte quindi sul cavallo, quindi lo sperone è battuto sul cavallo. “A spron battuto” vuol dire quindi “ a sperone battuto”. E se si va, se si procede “ a spron battuto” si procede velocemente. L’immagine del cavallo quindi è analoga all’immagine della vela, o della macchina a gas. Si sta comunque andando velocemente nella giusta direzione. Credo che a spron battuto si possa sempre utilizzare, ma si trova un po’ in mezzo alle espressioni viste, quindi è adatta a tutte le situazioni, ma di più a quelle informali. Utilizzatissima anche questa espressione.

Finisce qui la prima parte della lezione otto di italiano professionale: nella seconda parte vedremo altre espressioni: prima quelle del secondo gruppo e poi quelle del terzo gruppo. Poi si parlerà dei rischi nella pronuncia e per finire l’esercizio di ripetizione.

Fine prima parte

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Ne ho abbastanza

Audio

Trascrizione

Ciao a tutti gli amici di Italiano Semplicemente. Oggi vediamo una serie di espressioni, tutte abbastanza simili, che si usano per dire una cosa molto semplice: basta!!

“Basta” quindi è la parola più semplice, l’esclamazione più facile che esiste per dire “stop”.

Bene, quindi tale parola esprime quindi, un sentimento, un’emozione, uno stato d’animo: quello stato d’animo che abbiamo quando vogliamo che qualcosa finisca, che qualcosa termini, quando siamo stanchi di qualcosa. “Basta!” è un’esclamazione quindi. Le esclamazioni di usano per esclamare, per esprimere un sentimento, e le riconoscete perché sono seguite da un punto esclamativo, quello col puntino in basso.

Quante volte diciamo “basta” ogni giorno? Lo diciamo ai nostri figli, quando insistono a fare qualcosa che non va, qualcosa che non va bene, qualcosa che non andrebbe fatto, oppure lo diciamo semplicemente perché siamo stressati e siamo stanchi, dopo una lunga giornata di lavoro o di studio. Poveri figli! Oppure lo pensiamo, lo pensiamo al lavoro, lo pensiamo perché non sopportiamo più qualcosa, perché non siamo più disposti a tollerare qualcosa.

Allora in Italia si usano molti modi diversi di dire basta! Io stesso ne ho già utilizzati molti finora. Ho usato anche i verbi “sopportare” e “tollerare”, il primo più familiare, il secondo più formale, più adatto nella forma scritta ad esempio. Questi due verbi possono essere usati per costruire delle semplici esclamazioni, per dire appunto “basta!”.

Vediamo in particolare che ci sono alcune espressioni che gli italiani usano più di frequente, anche più frequentemente del semplice “basta!”.

Vediamo quali sono: “ne ho abbastanza!” è una delle esclamazioni più usate.

immagine_ne_ho_abbastanza

“Ne” si riferisce alla cosa della quale ne avete abbastanza, cioè si riferisce alla cosa di cui siete stanchi, alla cosa a cui dite basta. Ad esempio: “ne ho abbastanza del mio lavoro!”. Ho è il verbo avere.

“Ne ho” quindi vuol dire “io ne ho”. Quindi io, anche se non c’è scritto, anche se non si pronuncia è scontato: sono io che ne ho abbastanza!

Cioè sono io che sono stanco del mio lavoro, ad esempio, sono io che non voglio più lavorare. “Ne ho abbastanza!”. Oppure “ne ho abbastanza di te”: questa è forte ragazzi!! Questa frase potete dirla alla persona che non volete più vedere, la persona con la quale non volete più avere rapporti, anche al vostro fidanzato o fidanzata, anche se non è carino, diciamo…

Ovviamente possiamo utilizzare l’espressione con qualsiasi persona:

Io ne ho abbastanza, tu ne hai abbastanza, lui o lei ne ha abbastanza, noi ne abbiamo abbastanza, voi ne avete abbastanza, loro ne hanno abbastanza. Ma in tutti i casi spesso non troverete il pronome personale davanti.

Spero che nessuno vi dica mai questa frase, sinceramente. Infatti “ne ho abbastanza” esprime un sentimento molto forte. Ne ho abbastanza di qualcosa, in generale vuol dire che col passare del tempo il vostro sentimento di stanchezza è aumentato: all’inizio non eravate stanchi di questa cosa o di questa persona, ma man mano che il tempo è passato, vi siete sempre di più stancati, tanto che non siete più disposti ad accettare questa cosa, ne avete abbastanza. “Abbastanza” come vedete contiene la parola “basta”. Quindi abbastanza vuol dire che non volete più continuare. Abbastanza, come parola, è semplicemente l’equivalente di “enough” in inglese, o di “assez” in francese, ma “ne ho abbastanza” invece è informale, è colloquiale, si usa molto nella forma orale, nel parlato. L’equivalente, la forma equivalente, ma formale, di questa espressione, è molto diversa: “La misura è colma”. Questa espressione è molto formale, ma ha lo stesso identico significato di “ne ho abbastanza!”. L’espressione è “La misura è colma”.

Vediamo bene questa espressione. “Colma” vuol dire piena. Un bicchiere, ad esempio è colmo, quando è pieno fino all’orlo, fino alla fine, fina alla parte più alta del bicchiere, l’orlo. Più di così non è possibile, perché l’acqua uscirebbe.

“La misura è colma” utilizza quindi l’immagine di un contenitore, come un bicchiere, che non può più contenere altro liquido, perché tale bicchiere, tale contenitore, è colmo, è pieno fino all’orlo. “La misura” indica il livello massimo possibile dell’acqua, indica cioè quanto “misura” il contenitore, quanto è ampio, quanto è grande. Quant’è la misura di questa bottiglia? un litro, ad esempio. Questa bottiglia misura un litro esatto, questo contenitore misura cinque litri esatti.

Potete ascoltare o leggere la frase “la misura è colma” all’interno di articoli, anche giornalistici, che parlando di qualcosa di cui qualcuno si è stufato. Qualcosa di cui qualcuno è stufo, è stanco. Infatti “la misura è colma” a differenza di “ne ho abbastanza” si usa di più nella forma scritta.

Ho appena usato anche, involontariamente, l’espressione, la parola “stufato” o “stufo”. Ad esempio posso dire: “sono stufo di questa situazione”, oppure “mi sono stufato di questa situazione”. Ebbene queste due espressioni sono equivalenti a “sono stanco” e “mi son stancato”. “Sono stufo” quindi significa semplicemente “sono stanco”, ma è più familiare, ed anche più forte, esprime una stanchezza maggiore: “sono veramente stufo”: potete ascoltare molto spesso questa espressione in Italia.

Inoltre “stanco”, e la “stanchezza” si usano, sono più usate per indicare la stanchezza fisica. Se andate a fare una corsa a piedi, o in bicicletta, al vostro ritorno potete dire che siete molto stanchi , ma non potete dire che siete stufi, o che vi siete stufati, perché se dite che vi siete stufati vuol dire che non volete più andare a correre, che vi siete stufati della bicicletta ad esempio. Se invece dite “sono stanco” vuol dire che fisicamente la corsa vi ha reso stanchi, vi ha stancato.

Quindi “sono stufo di questa situazione” equivale a “ne ho abbastanza di questa situazione”. Voglio smettere.

Bene, ora vediamo ancora un’altra espressione utilizzatissima, una esclamazione che non ha bisogno di aggiungere nessun’altra parola; è già abbastanza chiara e forte così com’è. L’espressione è: “Non ne posso più!”. Non ne posso più vuol dire “basta!” quindi è anch’essa un’esclamazione. Se vogliamo non ne posso più è una frase che sintetizza una frase più lunga, come ad esempio “non posso più proseguire”, “non posso più andare avanti”. “Non ne posso più” è più breve, più concisa, più secca come esclamazione, come se si volesse accorciare la frase perché si è stanchi persino di sprecare parole a riguardo: “Non ne posso più!”. Anche qui il “ne” si riferisce alla cosa della quale siete stufi, alla cosa di cui ne avete abbastanza. Se dite “non ne posso più!” e non aggiungete altro, potete farlo, ma vuol dire che è già chiaro di cosa stiate parlando. Altrimenti potete anche dire: “non ne posso più… della mia macchina”, ad esempio, o “non ne posso più di lavare i piatti” o “non ne posso più di studiare la grammatica”.

“Non ne posso più di questi esami universitari”. Ecco, se non ne potete più dei vostri esami universitari non è un buon segno, perché faticherete a finirli e quindi faticherete a laurearvi; anche a me è capitato di non poterne più dell’università.

Quindi finora abbiamo visto le espressioni più usate:

– “basta!”;

– “ne ho abbastanza!”;

– “non ne posso più!”

– “la misura è colma”

Come dicevo prima potete anche utilizzare i verbi sopportare tollerare.

Ad esempio “non sopporto più” è anch’essa molto usata. “non ti sopporto più” o anche “non sopporto più una certa persona” sono ugualmente molto utilizzate, e vi capiterà spessissimo di ascoltare queste espressioni in dialoghi, conversazioni informali, davanti alla macchina del caffè, tra amici al bar eccetera.

Invece come dicevo il verbo “tollerare” è più formale, più forbito, diciamo così. Molto usata è ad esempio l’espressione: “non sono più disposto a tollerare questa situazione”. Questa frase potreste ascoltarla in riunioni, anche importanti, in cui uno dei partecipanti manifesta il desiderio di liberarsi di una situazione spiacevole. Magari in una riunione d’ufficio ci si può lamentare del fatto che uno dei colleghi non lavori molto, non aiuti l’attività dell’ufficio, quindi uno dei collegi si potrebbe lamentare di questo e potrebbe dire al dirigente, o ad una riunione a cui partecipa anche il capo, il dirigente dell’ufficio: “non sono più disposto a lavorare a queste condizioni”, “non sono più disposto a tollerare questa situazione”.

Quindi il verbo tollerare si associa, si usa, insieme a “non sono più disposto”, cioè “non sono più disponibile”. Usando un linguaggio più familiare potrei dire: “non mi va più!”, o anche “non ho più voglia”. Ma ovviamente come saprete in un ufficio spesso si utilizzano frasi diverse.

È importante sapere che chi vuole imparare a comunicare in italiano, impari che, come immagino accada anche in altre lingue, ci sono differenze sostanziali, importanti, tra il linguaggio familiare, di tutti i giorni, dal linguaggio d’ufficio, almeno quello da usare per alcune occasioni, come durante le riunioni o quando si vuole esprimere qualche sentimento, qualche preoccupazione, o anche un semplice dissenso, quando non siete d’accordo su qualcosa. In questi caso è importante usare le parole giuste.

Per questo motivo esiste anche il corso di Italiano Professionale, che serve esattamente a questo: a spiegare la differenza tra linguaggio formale e informale, a capire quando usare un’espressione o quando usarne un’altra, più adatta al lavoro, o durante una riunione, o più adatta perché meno aggressiva eccetera.

Per chi è interessato il corso sarà disponibile a partire dal 2018, stiamo sviluppandone i contenuti giorno dopo giorno e chi ci vuole aiutare può visitare la pagina facebook dedicata al corso di italiano professionale dove ci può suggerire dei contenuti interessanti da aggiungere.

Credo che può bastare così per oggi, altrimenti ne avrete abbastanza anche di questo episodio e di italiano semplicemente.

La misura è colma per oggi, ma domani provate ad escoltare ancora questo episodio, altrimenti vi dimenticherete presto e se un giorno vi capiterà di dire basta a qualcosa, o a qualcuno, penserete:

“oddio, com’era che si diceva? Non mi ricordo più!”

Quindi seguite le sette regole d’oro, per chi non conosce le sette regole d’oro per imparare a comunicare in italiano vi invito a dare un’occhiata al sito italianosemplicemente.com e vedrete che ascoltando più volte lo stesso podcast, se il vostro livello di italiano è sufficientemente alto per comprendere almeno il senso del discorso, allora in tal caso la ripetizione dell’ascolto è una delle chiavi per comprendere sempre di più, e vedrete appunto che a forza di ripetere l’ascolto ci saranno delle parole che all’inizio non capite, ma poi, una alla volta, saranno più chiare: il contesto vi aiuterà a capire anche ciò che all’inizio non comprendevate.

Terminiamo l’episodio con un esercizio di pronuncia. Anche questo importantissimo: è la settima regola d’oro: “Parlare”. Quindi ripetete dopo di me per esercitare i muscoli e per abituarvi ad ascoltare la vostra voce, così da non avere imbarazzo o problemi psicologici quando vi capiterà di parlare con un italiano vero.

Proviamo a ripetere alcune frasi che abbiamo visto oggi:

– Ne ho abbastanza degli esami universitari.

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– Ne ho abbastanza di te.

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– Non ne posso più di questa situazione.

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– non ne posso più di questo caldo. Voglio l’inverno!

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– Basta, ora la misura è colma.

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– Il governo italiano deve cambiare. La misura è colma.

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Ciao ragazzi, alla prossima.


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