793 Piuttosto o abbastanza?

Piuttosto o abbastanza?

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Domanda del giorno: piuttosto e abbastanza hanno lo stesso significato?

Gianni: O meglio: piuttosto che usare abbastanza, posso anche usare piuttosto?

In generale la risposta è no, ma la domanda non è peregrina perché ci sono dei casi in cui usare abbastanza e piuttosto è “quasi” la stessa cosa. Questo accade quando ad esempio dico:

Oggi fa abbastanza caldo

È piuttosto strano

È stata una giornata abbastanza difficile

Due termini dal significato piuttosto diverso

Ho messo “quasi” tra virgolette perché se all’orale, nel linguaggio colloquiale, non ci si fa troppo caso a volte, in realtà qualche differenza c’è tra abbastanza e piuttosto.

Prima di tutto “abbastanza” viene da “bastare” che significa essere sufficiente per raggiungere un certo fine. Infatti molto spesso questo fine viene specificato:

Oggi fa abbastanza caldo per uscire senza giacca.

Non ho abbastanza soldi per comprarmi una macchina.

Per oggi ho lavorato abbastanza.

Il compito è andato abbastanza bene

Quindi può indicare una quantità sufficiente o un livello, un’intensità sufficiente.

Piuttosto” invece deriva da “più” ed è per questo che a volte possono somigliarsi quando parliamo di quantità o livelli.

Bisogna però iniziare a distinguere.

Se posso dire sia che il compito è andato abbastanza bene che piuttosto bene, normalmente non si dice ad esempio:

Il compito è andato abbastanza male.

In questo caso si preferisce usare “piuttosto”:

Il compito è andato piuttosto male.

Questo perché l’obiettivo è che il compito vada bene e non male.

Come stai? Ti trovo piuttosto bene!

Sì, sto abbastanza bene grazie.

Sì, sto piuttosto bene.

Se proprio devo trovare una differenza, dico che abbastanza sottolinea il minimo sufficiente per sentirsi soddisfatti, mentre piuttosto è maggiormente ottimistico.

Tuttavia “piuttosto” si usa anche proprio per indicare una forma di cautela, la volontà di non esagerare nella valutazione.

Se dico che il compito è andato piuttosto bene, evidentemente non è andato benissimo. Sempre meglio che “abbastanza bene” comunque.

C’è un proverbio in merito: “piuttosto è meglio che niente” cioè bisogna sapersi accontentare.

Se voglio indicare un livello alto anche se non altissimo, sempre meglio usare piuttosto:

Sono piuttosto portato per l’informatica

Sono piuttosto sicuro che la Roma stasera vincerà

Una seconda differenza tra abbastanza e piuttosto è che abbastanza si può usare anche come singola affermazione; di solito una risposta ad una domanda:

Ti senti bene oggi?

Risposta: abbastanza!

Non posso usare “piuttosto” in questo caso. Per lo stesso motivo, con le frasi negative si usa quasi sempre “abbastanza” e non “piuttosto”, perché si sottolinea un livello non raggiunto:

Non ho dormito abbastanza bene

Non sei abbastanza simpatico per farmi ridere

Più in generale poi è molto difficile che “piuttosto” si trovi alla fine di una frase. Cosa normale per “abbastanza”.

Per comprare questa macchina non ho soldi abbastanza.

Quando la fortuna non è abbastanza.

Non ho dormito abbastanza

Hai studiato ma non abbastanza

Di soldi ne ho abbastanza

Come avverbio possono essere entrambi simili a “parecchio” ma come detto è meno rispetto a “molto” e “assai

Sono piuttosto stanco. Devo fare una pausa caffè.

Naturalmente, in questi casi, “piuttosto” diventa più adatto rispetto ad “abbastanza” quando non parliamo di qualcosa di “sufficiente” (che basta) per ottenere un fine: una quantità, un numero o un livello, una intensità.
Il tempo è piuttosto peggiorato. Conviene rientrare.
Sto piuttosto male oggi, meglio che resti a casa.

L’obiettivo non è che peggiori il tempo. Sarebbe del tutto normale invece usare “abbastanza” se il tempo migliora o se sono migliorato in salute:

Il tempo è migliorato abbastanza. Possiamo uscire senza ombrello!

Sto abbastanza bene oggi.

Dicevo che nelle frasi negative non si usa in genere “piuttosto”. Se questo avviene, piuttosto ha spesso un altro significato. Infatti si può usare anche per fare confronti, esprimendo una preferenza. In questi casi si usano le preposizioni “di” e “che”. C’è una certa somiglianza con anziché e invece.

Piuttosto di rivedere la mia ex-moglie, mi trasferisco in Brasile!

Piuttosto che criticarmi, perché non mi aiuti?

Sono più portato alla matematica piuttosto che alle materie umanistiche.

Pasta? No grazie, vorrei piuttosto del riso.

Io sarei pigro? Non sei piuttosto tu che mi stai chiedendo troppo?

Vorrei capire se sono io a non capire, e se non è piuttosto o il professore che si spieghi male.

Questi ultimi due sono esempi di frase negativa di cui vi parlavo. Sto facendo un confronto. Questo “piuttosto” in questo caso somiglia a “invece di” e anche a “casomai“.

Veramente c’è anche un altro caso in cui si può fare:

Molte persone non si rendono conto del loro peggioramento dello stato di salute fino a quando non è piuttosto grave.

Questo però è un caso di non pleonastico. Ricordate il “non” pleonastico?

Qualche volta comunque anche piuttosto si usa con le frasi negative in modo analogo a abbastanza.

Se non sei piuttosto esperto, non ti prenderanno a lavorare qui.

Non è piuttosto curioso che a 40 anni Maria non sia ancora mai stata neanche fidanzata?

Dato che non è piuttosto semplice, meglio affidarsi a chi ne sa più di me.

Riguardo al fatto di terminare una frase con la parola piuttosto, possiamo farlo, ma il senso è simile a invece:

Non ho fatto il mio dovere? Tu piuttosto! (anche qui siamo vicini a “casomai“)

Anche qui si fa un confronto e questo è un modo abbreviato ma molto efficace per rimarcare qualcosa. C’è una contrapposizione in questi casi.

Come a dire:

Sei tu che non hai fatto il tuo lavoro, non io.

altro esempio:

Non sono io che ho sbagliato, piuttosto lui! (piuttosto è stato lui!)

All’inizio vi ho fatto l’esempio:

Piuttosto che criticarmi, perché non mi aiuti?

Questa frase può anche essere scritta così:

Basta con le critiche. Perché non mi aiuti piuttosto?

Piuttosto si usa anche nella locuzione “piuttosto che” ma non solo nel modo in cui lo abbiamo fatto finora, quando facciamo un confronto.

Parlo invece di un modo poco apprezzato ma molto diffuso di “piuttosto che” che significa “oppure“. Sicuramente però questo è un errore.

Ne abbiamo già parlato in un episodio passato in cui abbiamo confrontato invece e piuttosto. Vi invito a dare un’occhiata all’episodio in questione. Vi troverete molti esempi e questo vi chiarirà ancor di più le idee.

Poi come al solito, ci sono alcune espressioni e locuzioni cristallizzate che, anche potendo, non potremmo cambiare, come “ne ho abbastanza“.

Adesso se non siete abbastanza stanchi, vi propongo un ripasso piuttosto breve.

Marcelo: Non riesco più’ a tenere a bada la voglia di viaggiare oltreoceano. Tanto il covid è agli sgoccioli vero?

Peggy: Sali in soffitta allora a rispolverare le valigie. E poi andiamo online per dare una sbirciatina al nostro conto corrente. Prima che perdiamo tempo a pianificare un viaggio dovremmo assicurarci di non essere a corto dei fondi necessari per un po’ di svago.

Edita: Certo! se i fondi non ci sono, questa conversazione lascia il tempo che trova

776 Se non (seconda parte)

Se non – seconda parte (scarica audio)

Trascrizione

Oggi vediamo un altro utilizzo molto frequente e interessante di “se non“. Qualche episodio fa abbiamo parlato essenzialmente di se non per” e “se non altro“, ma abbiamo anche detto che “se non” in senso proprio introduce una condizione. Es:

Se non vuoi venire, non è un problema

Abbiamo già visto gli utilizzi di se non fosse“. e anche “se non che“. Invece nell’ultimo episodio abbiamo anche parlato di alternative. Es:

Se non ora, quando?

Quando andare al mare se non oggi che è bel tempo?

Chi è stato a mangiare la cioccolata? Non può essere stato nessun altro se non lui!

Abbiamo quindi visto che “se non” può essere un modo per dire solamente, soltanto, escludendo tutte le alternative. A volte si fa una domanda, ma questa domanda è spesso una domanda retorica che serve solamente ad essere più convincenti.

Vediamo oggi un uso un po’ diverso di “se non“.

Ad esempio se dico:

Questo è uno dei giorni più importanti della mia vita, se non il più importante.

Se non il più importante” significa in questo caso:

Forse il più importante

Probabilmente il più importante

Anzi, il più importante

Per non dire il più importante

Siamo nuovamente di fronte ad una scelta, ma stavolta non per escludere le alternative, quindi non con un significato equivalente a “solamente”, “soltanto“. Piuttosto stiamo cercando di dare più importanza, di sottolineare maggiormente qualcosa, mettendola al primo posto in una graduatoria, in una gerarchia.

Mio figlio è tra i più bravi della sua classe, se non proprio il più bravo in assoluto

E’ come se si volesse dare un chiarimento aggiuntivo, attraverso un’auto-correzione:

Roma è sicuramente una delle città più belle al mondo, se non la più bella.

In questo modo esprimo una mia preferenza in due passaggi e questo risulta ancora più convincente rispetto a frasi più nette:

Roma è la mia città preferita.

Infatti sembra che ci sia una riflessione in più, che porta ad esprimere un giudizio più ponderato, più pensato. Direi che questo è un modo interessante per esprimere una preferenza. Spesso alla fine si aggiunge “in assoluto“, come si è visto. Questo conferisce una maggiore decisione e convincimento delle proprie idee, sebbene non ci sia un’opinione netta. Certo, è più convincente di un “forse”. Se uso “Probabilmente” siamo più o meno sullo stesso livello, mentre se dico “anzi” sto proprio dicendo che, pensandoci bene, la mia scelta sta al primo posto senza dubbio. C’è un ripensamento.

Sei tra le ragazze più belle che io abbia mai visto, se non la più bella in assoluto!

Anche il tono è importante naturalmente.

Adesso ripassiamo:

Anthony: Stavo per entrare nel mio studio casalingo per abbozzare un bel ripasso quando mi sono accorto che c’era un’accozzaglia di oggetti alti mezzo metro a bloccare l’ingresso della porta.

Sofie: Mamma mia! Lo so che per te avere qualcosa in disordine non esiste proprio. Infatti mi ha sempre colpito quanto tu mantenga spartani i tuoi spazi. Sei un minimalista bell’e buono.

Peggy: Hai ragione Sofie! Questa rientra nella lunghissima lista di peculiarità di Anthony. Ma vuoi che di peculiarità e prerogative non ne abbiamo tutti? Eccome se ne abbiamo!

Edita: Infatti! E non sono mica da meno neanche io per quanto concerne l’ordine e la semplicità del design. Vi dico di più, ogni volta che mi tocca fare il cambio di stagione, colgo l’occasione per fare repulisti del mio armadio. Se non lo faccio mi si ficca in mente l’idea di essere terribilmente scompigliata al punto di innervosirmi finché non mi tolgo lo sfizio.

Albèric: Ma tu non hai piccoli in casa. Anthony invece ha ancora una figlia piccolina quindi la mancanza del perfetto ordine non gli può andare così di traverso.

Estelle: Si sa bene che i bimbi e il disordine sono un binomio inscindibile. Quindi lui dovrà armarsi di pazienza altrimenti sua moglie gli dirà di attaccarsi al tram!

201 – ESSERE PER – 2 minuti con Italiano semplicemente

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Emanuele: due minuti con italiano semplicemente, episodio 201.

Giovanni: Ok, grazie Emanuele, abbiamo appena terminato i primi duecento episodi della rubrica due minuti con Italiano Semplicemente, ma io sarei per continuare? E tu?

Emanuele: Anche io sono per continuare papà!

Giovanni: ok, allora oggi in questo episodio n. 201 spieghiamo un metodo veloce ed informale per esprimere un’opinione. L’ho già utilizzato io ed anche Emanuele: “essere per“:

Io sarei per continuare

Al presente diventa “io sono per continuare”, come ha detto Emanuele.

Io ho preferito usare il condizionale perché spesso si fa così con le opinioni, si usa la forma condizionale per cortesia, per non dare l’impressione che sia un’ordine.

Semplice vero?

“io sono per” e poi aggiungete un verbo all’infinito.

Posso usare qualsiasi modo verbale ovviamente, dipende da ciò che si vuole dire, e di solito si usa quando si presenta una scelta tra più opzioni.

Io tra andare a scuola e andare al mare sono per andare al mare.Tu per cosa sei?

Io sarei per il mare

Posso fare anche così, senza ripetere il verbo, tanto è scontato.

A volte il condizionale ha un senso diverso dalla cortesia:

Io sarei per il mare, se mia madre fosse d’accordo 🙂

Io tra il cibo italiano e quello inglese sono per quello inglese

Anche io lo ero, poi ho assaggiato le fettuccine al ragù!

Altro esempio?

La riunione era noiosa, e noi eravamo per andarcene, ma il nostro dirigente ce lo ha impedito.

Un altro esempio:

Io tra la democrazia e la monarchia, sono per la repubblica!

Educazione dei figli:

io sono per l’educazione severa.

Io invece sono decisamente per un rapporto amichevole tra genitori e figli.

E tu per cosa sei?

Attenzione perché “essere per”, quindi “io sono per”, “io ero per”, eccetera (anche con tu, lui, noi eccetera) si usano spesso anche per indicare un’azione imminente, che sta per avvenire, ed anche per indicare la presenza in un luogo “per” fare un’attività:

Ero per uscire, quando sono inciampato! (azione imminente: “stavo per” uscire e sono inciampato)

Anche prima ho detto:

La riunione era noiosa, e noi eravamo per andarcene, ma il nostro dirigente ce lo ha impedito.

Qui il significato potrebbe anche essere: “stavamo per andarcene”, quando il nostro dirigente ce lo ha impedito.

Qualche anno fa ero per turismo a Roma (mi trovavo a Roma per motivi turistici)

Quindi non è un’azione imminente, non è un’opinione, ma è per indicare la presenza in un luogo per fare qualcosa: ecco perché si dice “per”:

Ero per turismo a Roma

Ero per affari a Torino

eccetera. Quindi tre modi di usare “essere per

Ora ripassiamo alcune espressioni passate:

Andrè (Brasile): Tutti sanno che la città di São Paulo in Brasile e la pioggia sono un binomio inscindibile! comunque, siamo alle solite, da anni la misura è colma, la storia si ripete, il caos è assoluto in praticamente tutta la città! Si dà il caso che sia piovuto, solo altro ieri , il 50 % delle previsioni per l’intero mese di Febbraio ma non vedo come le pubbliche autorità non se ne capacitino! Coraggio amici che vivete a São Paulo! Armatevi di pazienza e andate avanti!

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L’inizio e/o la fine di ogni episodio dei “due minuti con Italiano Semplicemente” servono a ripassare le espressioni già viste e sono registrate dai membri dell’associazione. Se vuoi migliorare il tuo italiano, anche tu puoi diventare membro. Ti aspettiamo!

COPERTINA frasi idiomnatiche 2

L’imbarazzo della scelta: Esprimere una preferenza

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Buon giorno amici di Italiano Semplicemente, io sono Giovanni e vi do il mio benvenuto sul sito italianosemplicemente.com dove potete migliorare il vostro italiano in modo alternativo.

In questo sito non ci occupiamo di grammatica, perché preferiamo dare più importanza all’ascolto ed alla ripetizione. Questo metodo è più adatto infatti, secondo me, per coloro che hanno poco tempo per studiare nel modo classico, e soprattutto per coloro che amano la lingua italiana e vogliono imparare a comunicare senza annoiarsi.

Oggi allora cerchiamo di capire come fare per esprimere una preferenza.

Esprimere una preferenza significa fare un confronto e successivamente dire, esprimere il risultato di questo confronto. Qual è la mia opinione? Quale delle due o più alternative preferisco?

Esprimere una preferenza può significare più cose. Potremmo dire di preferire una delle alternative, oppure che non abbiamo preferenze oppure che nessuna delle alternative ci interessa. Possiamo quindi esprimere un giudizio positivo su una, due, più scelte oppure nessuna.

Vediamo innanzitutto di fare alcune considerazioni iniziali. Avere una preferenza implica una scelta. Scegliamo una delle alternative perché ci piace di più, perché ci è più gradita, perché ci è più utile, perché ci ricorda qualcosa di positivo eccetera. Questo dipende dalla cosa di cui parliamo e dipende anche da noi.

Possiamo dire che la scelta e la preferenza sono quindi soggettive, perché dipendono dai gusti della persona, cioè dal soggetto che effettua la scelta. Quando invece una cosa è oggettivamente migliore di un’altra vuol dire che questa scelta non dipende dal soggetto, cioè da chi sceglie, perché se valutiamo la scelta su criteri oggettivi dobbiamo valutarla non secondo preferenze personali ma secondo parametri universalmente riconosciuti come neutri, oggettivi, non personali, non soggettivi.

Se ad esempio una azienda deve acquistare una automobile usata, si deve scegliere secondo parametri come l’anno di immatricolazione, i km fatti, le revisioni effettuate, il fatto che abbia avuto o meno incidenti, l’età del vecchio proprietario, e secondo l’uso che se ne deve fare. Questi sono parametri oggettivi. Mentre se scegliessi semplicemente dal colore perché a me piace il verde, farei una scelta soggettiva.

Ora, quando faccio una scelta soggettiva, esprimo una preferenza, oppure posso anche dire che esprimo un giudizio, o una valutazione, o più tecnicamente, esprimo un parere.

La preferenza è la più usata nelle scelte tra alternative, il giudizio è più adatto a una valutazione di merito, e non necessariamente stiamo facendo un confronto. Una valutazione esprime invece un giudizio complesso, basato generalmente su una serie di caratteristiche da valutare e alla valutazione segue il giudizio o la preferenza o il parere.

Quando acquisto una macchina in effetti prima faccio la mia valutazione poi esprimo la mia opinione in merito, esprimo il mio giudizio comparativo e quindi la mia preferenza.

Il parere dicevo che generalmente è più tecnico. Beninteso, posso sempre esprimere un parere, ma esistono diversi tipi di pareri. Al lavoro si usa molto, soprattutto negli studi e negli uffici. Un parere tecnico, un parere professionale, un parere giuridico ad esempio.

Ma un parere è un’opinione, ciò che pensa una persona di una cosa, e non è detto che stiamo facendo un confronto.

Quale macchina dobbiamo comprare? Mi dai il tuo parere? È chiaro che un parere non può che essere soggettivo. Non esistono pareri oggettivi.

Una valutazione può invece essere sia oggettiva che soggettiva. Un giudizio la stessa cosa.

Ebbene, quando dobbiamo fare una scelta soggettiva possiamo dire:

Questa macchina è la migliore.

Indico la macchina che preferisco ed esprimo la mia preferenza.

La parola “migliore” è un giudizio generale, indica la mia preferenza ma non indica il motivo della preferenza.

La migliore significa che è l’automobile con le migliori qualità, ma quali qualità? Quelle stabilite secondo criteri oggettivi o soggettivi? Ancora non lo sappiamo.

Posso dire “questa è la macchina più buona?

Potrei anche farlo, ma “buona” è normalmente utilizzati in modo diverso. Buono si usa solitamente per i cibi e per il carattere delle persone. Si tratta quindi generalmente di un giudizio associato al palato, al gusto inteso come uno dei cinque sensi, oppure si usa per descrivere una persona: mio figlio è molto buono.

Se un gelato è buono vuol dire che ti piace, mentre se un bambino è buono si comporta bene, non fa arrabbiare i genitori, a scuola non dà problemi alle maestre eccetera. Si tratta di un bambino disciplinato, o anche buono nel senso di generoso, che aiuta gli altri, quindi sensibile ed altruista.

È un termine abbastanza eclettico però. Un professore buono ad esempio è un professore che mette buoni voti e che non incute terrore agli studenti. Buono in tal caso è il contrario di cattivo, il che vale anche per il cibo.

Quindi quando esprimiamo una preferenza non è generalmente corretto dire che questa automobile è la più buona. Non va bene; l’auto non si mangia e non è una persona che si comporta bene. Se dite che è la più buona significa che è l’automobile che sta nelle migliori condizioni, che l’auto sta in buone condizioni, ma non state esprimendo un giudizio generale, ma solo relativo alle sue condizioni: la carrozzeria, gli interni, la vernice. Probabilmente è la più nuova tra tutte, ma non è detto sia la migliore. La migliore dovrebbe magari avere anche altre caratteristiche: essere più grande e alimentata a metano ad esempio.

Per capire bene la differenza tra più buono e migliore vi faccio qualche esempio:

La miglior vacanza è quella rilassante

La pasta più buona è fatta in Italia

Mio figlio è il più buono nella sua classe

Il miglior viaggio che io abbia mai fatto è quello in Brasile.

Naturalmente migliore è il contrario di peggiore, che esprime le peggiori qualità.

Ci sono però altri modi per esprimere una preferenza.

Che ne dici di queste belle mele?

A me piace questa, sembra la migliore .

E di questi ristoranti? Cosa ne pensi? Quale preferisci?

Io sceglierei il primo, mi sembra il più economico.

Oppure:

La mia scelta invece ricade sul ristorante biologico. Mi piace mangiare sano.

O anche:

Io andrei nel ristorante di città, così poi ci facciamo un giro in centro.

Io invece preferisco decisamente il ristorante vegetariano.

Oppure:

Io mi butterei sul primo ristorante della lista, è l’unico che conosco.

In questo caso ho usato “buttarsi” per indicare una scelta, ma generalmente, oltre al fatto che è molto informale, “buttarsi” si usa per esprimere un tentativo che abbia un rischio collegato, quindi tentare, provarci, azzardare. Quando ci si butta, lo dice il verbo stesso, si rischia di farsi male, quindi questo è il modo corretto di usare il verbo. Comunque potete usarlo anche per fare una scelta che non implichi rischio; non è il massimo ma usa ugualmente.

Queste sono tutte modalità molto utilizzate quando si esprime una preferenza. L’uso del condizionale (andrei, sceglierei, butterei) è una forma gentile, che esprime una preferenza senza voler imporre la propria scelta.

Invece dire che “la mia scelta ricade su” qualcosa è una forma un po’ più formale ma ugualmente adatta a tutte le circostanze.

Preferisco decisamente” (come abbiamo detto prima: “io preferisco decisamente il ristorante vegetariano”) è un modo deciso di esprimere una preferenza. Si può usare quando siamo sicurissimi della nostra scelta quando siamo poco disposti ad accettare altre soluzioni. Sicuramente non è una modalità adatta a scegliere un ristorante tra amici poiché quella dovrebbe essere una scelta comune e le preferenze personali non devono essere espresse mettendo in difficoltà gli altri.

La stessa cosa vale se utilizzo termini come “assolutamente“, ancora più forte.

O andiamo al ristorante vegetariano o non se ne fa niente!

ecco, questo è sicuramente il modo peggiore di esprimere una preferenza. Il meno democratico senza dubbio: “o non se ne fa niente” significa “oppure non si va da nessuna parte”.

Posso anche decidere di escludere una delle alternative:

Tutti i ristoranti vanno bene tranne quello vegetariano. Io amo troppo la carne!

Se escludiamo il ristorante di città a me sta bene tutto!

Se invece non ho preferenze posso dire:

Non ho preferenze, fate voi.

A me va bene tutto, nessun problema.

Può accadere invece che non vada bene nulla. Nessuna delle scelte è soddisfacente. Allora se le scelte sono solamente due posso dire:

Non va bene né l’uno né l’altro.

In questo caso è importante dire “né l’uno e né l’altro” senza dimenticare l’articolo: l’uno, l’altro.

Non vanno bene. L’uno è troppo fuori città, l’altro è troppo piccolo.

Oppure:

Nessuno dei due grazie. Io mangio a casa mia (nota: che ragazzo viziato!)

Non mi piace il primo ristorante il secondo.

A me non piace nessuno dei due ristoranti.

Se sono più di due:

Per me nessuno dei ristoranti va bene.

Non mi piace nessuno dei ristoranti che hai detto.

Come pretendi che io debba scegliere tra questi ristoranti? Mi fanno tutti schifo!

Risposta non molto educata quest’ultima.

Seconda parte (15 minuti)

Se sono in un ambiente professionale ovviamente cambia tutto, sia che io abbia preferenze sia che non ne abbia. Scegliere, prima di tutto potrebbe diventare “vagliare“. Si tratta tra l’altro di un verbo professionale che abbiamo già spiegato e è disponibile per tutti i membri dell’Associazione Italiano Semplicemente. In alternativa si può usare il verbo prediligere.

In una comunicazione tra aziende potrei scrivere:

La scelta che prediligiamo è sicuramente quella meno onerosa.

Oppure:

Tra le opzioni da lei prospettate la nostra scelta ricade sul primo prodotto.

Una scelta può infatti “ricadere” su una delle alternative. Questo è una modo abbastanza formale di esprimere una preferenza. La nostra scelta “ricade su”, cioè la nostra scelta “è”. Si usa il verbo ricadere, il cui significato qui è chiaro, ma ricadere ha anche un senso negativo. Esiste infatti la frase “ricadere sugli stessi errori”, ma in questo ultimo caso ricadere significa cadere ancora una volta: “ri-cadere“. Quando una scelta “ricade su” invece vuol dire che la cosa sulla quale ricade la scelta è la cosa che è stata scelta. Una modalità che vi consiglio di utilizzare se ne avete l’opportunità.

La parola “opzioni”, che ho utilizzato nella frase precedente (tra le opzioni) può diventare anche un verbo. Le opzioni sono le diverse possibilità tra le quali posso scegliere: opzione A, opzione B eccetera. Ebbene  quando scelgo una delle opzioni sto optando per una delle opzioni. Il verbo è “optare”:

Io opto per l’opzione A, tu opti per la seconda opzione, lui opta per la terza possibilità, noi optiamo per la soluzione n. 4, voi optate per la quinta alternativa, loro optano per l’ultima voce della lista.

Optare è abbastanza tecnico come verbo. Potete usarlo quando avete una lista definita, puntuale di scelte. Potete comunque usarlo anche in occasioni più informali:

Tra il cinema e il teatro ho optato per quest’ultimo

Optare significa “operare una scelta” cioè semplicemente “scegliere“.

Le chiedo cortesemente di operare una scelta tra le seguenti alternative

Anche questo è molto professionale ed adatto a comunicazioni commerciali.

Operare una scelta è un po’ meno tecnico ma esprime ugualmente una decisione. Implica la scelta di uno dei due termini di un’alternativa.

Il primo prodotto sembra essere quello più soddisfacente per le nostre esigenze.

Qui ho usato “soddisfacente”, il che significa che la scelta ricade sul primo prodotto, che soddisfa maggiormente le esigenze di chi effettua la scelta. Oppure:

Tra le alternative proposte, scegliamo la seconda.

Le alternative vengono proposte, e tra quelle proposte si effettua la scelta. Le alternative posso quindi proporsi all’attenzione di chi deve scegliere. Posso usare anche prospettare come verbo:

La migliore delle alternative che ci ha prospettato è la prima.

Prospettare una alternativa è come proporre, entrambe sono operazioni che avvengono prima della scelta. Prima si prospetta, poi si sceglie tra le alternative prospettate, proposte, mostrate, indicate.

Se invece non si esprime una preferenza ci sono ugualmente possibilità più professionali::

In merito alle nostre preferenze, ci riserviamo di rispondere al più presto.

In merito alle nostre preferenze (cioè riguardo alle nostre preferenze, riguardo alla nostra scelta), “ci riserviamo di” rispondere. “Riservarsi di” fare qualcosa significa tenere per sé la nostra decisione e fare una specie di promessa che la decisione sarà presa in un secondo momento, in futuro:

Ci riserviamo di decidere in un secondo momento

Significa appunto che ci penseremo e decideremo in un futuro. Anche questo è molto adatto a comunicazioni commerciali ed in ambito professionale; è come dire:

Le faremo sapere al più presto la nostra preferenza.

Questa è ovviamente una modalità meno formale.

Le verrà presto comunicato il prodotto che ci soddisfa maggiormente.

Anche questa è una forma corretta. Usiamo ancora il verbo soddisfare.

Entrambi i prodotti sono di ottima qualità. Vorremmo pertanto fare un ordine di entrambi.

Anche in questo caso non ho fatto una scelta.

Se infine nessuna delle alternative ci soddisfa posso dire:

Sfortunatamente nessuno dei prodotti incontra le nostre esigenze

Incontrare le esigenze è un modo molto utilizzato nelle email di lavoro:

Le stampanti che ci avete proposto sono di ottima qualità ma nessuna incontra le nostre esigenze.

Oppure:

Dobbiamo scegliere il servizio che più incontra le nostre esigenze, quello completo o quello parziale.

Prima abbiamo parlato del verbo optare. Abbastanza simile è il verbo “votare“.

Io voto per la prima stampante della lista

Posso usare questa modalità per fare una scelta, ma è abbastanza informale. In generale il verbo votare si usa nelle votazioni. Quando ci sono delle votazioni votare significa dare il proprio voto a qualcuno o qualcosa, cioè sostenere col voto. Questo è uno dei significati. Si può anche usare però quando si esprimere la propria opinione in una consultazione: che facciamo quotiamo la nostra società in borsa? Potete votare sì oppure no.

Io voto sì!

Questo è un modo più attinente di usare il verbo votare, ma si può usare in modo informale anche per esprimere una preferenza, analogamente a optare e scegliere.

Bene ragazzi l’episodio lo terminiamo qui. Non ho scelta (per restare in tema di scelte), perché rischierei di annoiarvi e di stancarvi.

Non vi ho lasciato il tempo di fare un esercizio di ripetizione ma se volete potete farlo arrestando il vostro lettore audio quando volete. Vi consiglio di farlo.

Potreste chiedervi perché nel titolo di questa puntata c’è “l’imbarazzo della scelta“. Così per concludere questa puntata speciale (che ne dite se le chiamiamo così in futuro? Puntate di Italiano Semplicemente e non episodi) vi dico che l’imbarazzo della scelta è una espressione che si usa ogni volta che abbiamo molte alternative, tante che non sappiamo quale scegliere.

In poche parole abbiamo l’imbarazzo della scelta. Non sappiamo quale scegliere perché ci sono troppe alternative. Non siamo veramente imbarazzati ovviamente ma questa è una espressione idiomatica, molto usata in Italia, ed esprime ovviamente una sensazione positiva.

Bene vi saluto a tutti ed al prossimo episodio di Italiano Semplicemente. Grazie a tutti, associati, donatori e visitatori.

Ciao.

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È possibile ascoltare il file audio in formato mp3 tramite l’audiolibro in vendita su Amazon (Kindle o cartaceo)

Trascrizione

Ciao ragazzi da Giovanni e da Italiano Semplicemente, ora sono le 10:00 di mattina in Italia e le 5 di mattina in Brasile. Vi parlo del Brasile perché sono infatti appena tornato dal mio viaggio in Brasile, e devo dire che è stata un’esperienza che mi ha cambiato profondamente. Abbiamo fatto il primo incontro con alcuni dei membri dell’associazione Italiano Semplicemente. Vi racconterò i dettagli comunque in un episodio dedicato proprio a questo incontro.

Oggi invece vediamo un’espressione nuova: “Vuoi mettere?”.

Questa è l’espressione di oggi, è una domanda, ma può anche essere interpretata come un’esclamazione: vuoi mettere!

Quindi possiamo sia inserire il punto interrogativo alla fine (vuoi mettere?) oppure il punto esclamativo (Vuoi mettere!).

Questa è un’espressione che si usa quando si fanno dei confronti, quando cioè si fa una comparazione tra due cose, tra qualsiasi due cose, e, in particolare, quando questo confronto è totalmente a favore di una delle due scelte.

Non stiamo parlando quindi di un confronto alla pari, cioè di un confronto in cui le due cose che vengono confrontate sono valutate allo stesso modo, in cui queste due cose sono giudicate della stessa qualità, o dello stesso valore, ma stiamo parlando di un confronto in cui una delle due cose è migliore di un’altra.

Una delle due cose è molto migliore dell’altra, è decisamente migliore dell’altra, quindi il confronto non è alla pari, ma è tutt’altro che alla pari.

In questo caso quindi possiamo esprimere questo concetto attraverso molti modi diversi.

Uno di questi modi è dire “vuoi mettere?”.

Perché usiamo questa frase? Perché diciamo così? Beh il motivo è semplice.

La frase “vuoi mettere” è semplicemente una abbreviazione di una frase più lunga; un modo veloce di esprimere una preferenza. Perché proprio questo vogliamo fare: esprimere una preferenza, esprimere una netta preferenza per una delle due o più possibilità.

Quando confrontiamo due o più cose e crediamo che non ci sia confronto, allora possiamo dire “vuoi mettere!”. Ho detto quando “non c’è confronto”. Questo è un altro modo per esprimere lo stesso concetto.

 

 

“Vuoi mettere“ è una modalità molto usata da tutti gli italiani di ogni regione, quindi la usano ovunque, ed è sempre usata in contesti informali ed amichevoli. In contesti formali e professionali ci sono altri modalità.

Chi è più forte, la squadra del Real Madrid o la squadra della Roma?

Beh, non c’è confronto!

Direi di sì infatti. Non c’è confronto tra la Roma ed il Real Madrid, infatti è molto più forte il Real Madrid, vuoi mettere? Il Real Madrid ha Cristiano Ronaldo e la Roma chi ha? Dzeko? Vuoi mettere?

Quello che stiamo facendo adesso è “mettere a confronto” due giocatori: Ronaldo e Dzeko. Mettere a confronto significa confrontare. Da questo deriva la frase di oggi: mettere a confronto, cioè confrontare, accostare, mettere una cosa vicino ad un’altra. Infatti quando accostiamo due cose, cioè quando le mettiamo vicine, come se fossero due oggetti, allora riusciamo a vedere questi due oggetti nello stesso momento, insieme, quindi riusciamo a vedere bene le differenze e le similitudini, riusciamo a vedere bene le cose che questi due oggetti hanno in comune e le cose per cui differiscono. Attenzione al linguaggio che sto usando. Differire significa mostrare delle differenze (questo è solo uno dei significati di differire).

Quindi accostiamo due o più cose, le mettiamo a confronto e vediamo subito quale delle due cose è migliore dell’altra. Allora, se la nostra preferenza è marcata e va ad una delle due squadre di calcio, potremmo chiedere: vuoi mettere a confronto il Real con la Roma? Vuoi veramente fare questo confronto? Vuoi comparare il Real con la Roma? Dai, non c’è storia, il Real è sicuramente più forte, vuoi mettere?

Vuoi mettere è quindi l’abbreviazione di “vuoi mettere a confronto?”. Si tratterebbe di una domanda quindi, una domanda che esprime però una preferenza, come per dire: vuoi scherzare? Hai il coraggio di fare questo confronto? È un confronto impari, non c’è storia, non c’è confronto.

Ho appena detto che è un “confronto impari”, cioè che è un confronto tra due cose che non sono pari tra loro, cioè non sono uguali di valore. In questo caso ci si riferisce ad una uguaglianza in termini di valore. Il termine impari è sinonimo di diseguale, ma esprime una differenza di valore, di merito, di qualità. Non è semplicemente una non uguaglianza.

Impari si scrive come impari, seconda persona dell’indicativo del verbo imparare (io imparo, tu impari, lui impara ecc), ma ovviamente cambia la pronuncia: ìmpari, impàri.

Impàri è, a dire il vero, anche il congiuntivo: “spero che Giovanni impari la lezione”, oppure “non è sicuro che io impari a memoria la poesia”.

Ma torniamo ad ìmpari. Impari non è informale, possiamo sempre usare questo modo di esprimere una preferenza, anche in contesti professionali.

Ho detto anche “non c’è storia”. Anche questa è una modalità informale. Non c’è storia esprime, analogamente a “vuoi mettere” una preferenza marcata, evidente. La storia in realtà non c’entra nulla, è solo un modo di dire, probabilmente si cerca una analogia con la storia, con avvenimenti passati, magari a sfide del passato, a guerre, come per cercare di immaginare una sfida, una battaglia e fare una previsione su come finirà: non c’è storia, cioè la storia è già scritta, è ovvio chi vincerà, è scontato, è facile immaginare il vincitore. In poche parole: “non c’è storia”.

Facciamo un esempio:

Mi ricordo bene della primavera piovosa e fredda dell’anno scorso. La primavera di quest’anno invece ci sta offrendo una catena di giorni quasi estivi. Vuoi mettere!

Ecco, anche in questo esempio, chi parla esprime una preferenza. È chiaro che è preferibile avere una primavera quasi estiva che una piovosa e fredda. Il contesto è informale, quindi usare questa espressione è corretto, alleggerisce la frase.

Ci sono delle piccole differenze tra le varie modalità che abbiamo visto.

Vuoi mettere si usa di più per le preferenze, mentre “non c’è storia” più nelle sfide, quindi nello sport ad esempio, o nelle competizioni, quando si fa una previsione soprattutto:

Chi vincerà? Beh, non c’è storia secondo me. Vincerà Giovanni.

Non c’è confronto” è sempre utilizzabile, è probabilmente il modo migliore se si vuole essere sicuri di non sbagliare.

Non c’è confronto tra la primavera calda di quest’anno e quella piovosa dell’anno scorso.

Tra Margherita e Eisabetta chi è la più bella? Beh, non credo ci sia confronto, preferisco Margherita.

Il termine “impari” come dicevo è più formale, ma è usato molto anche dai giornalisti. Questo non significa che voi non lo possiate usare in un qualsiasi confronto. Nessun italiano si stupirà.

Se sto parlando di un incontro di Pugilato (box), posso dire che tra i due pugili, “il confronto è stato impari sin dal primo momento”.

Se parlo di due cellulari, uno Samsung ed uno Huawei, se voi avete una marcata preferenza, potete dire che preferite Samusng (o Huawei) perché secondo voi “il confronto è impari”. Vedrete che un italiano, ascoltandovi, vi farà i complimenti per il vostro italiano.

È più bella la lingua italiana o il francese? Non è detto che il confronto sia impari, ma per qualcuno di voi potrebbe esserlo.

Meglio l’italiano, vuoi mettere?

Perché meglio l’italiano? E’ molto meglio il francese, non c’è proprio storia secondo me.

Beh, anche secondo me meglio l’italiano, la lotta è impari, l’italiano è più melodioso.

No, dai, non è vero, il francese è la lingua della diplomazia, non c’è confronto!

Non c’è paragone” è ancora un’altra espressione, del tutto equivalente a “non c’è confronto” ed infatti la parola confronto è equivalente alla parola paragone. “Mettere a paragone” è esattamente la stessa cosa di mettere a confronto, di conseguenza. Allora per esprimere una netta preferenza potremmo anche dire: “non c’è paragone!” Meno informale di “non c’è storia” ma del tutto analogo come significato.

Infine vale la pena di ricordare anche la frase “reggere il confronto”, che è una frase anche questa che si usa quando facciamo un paragone, un confronto, e manifestiamo una preferenza spiccata. Allora posso dire:

La Roma? Non regge il confronto col Real Madrid.

È più melodica la lingua francese di quella italiana? Può darsi, sicuramente l’inglese non regge il confronto però. Molto più melodiche la lingua italiana e quella francese. Si usa il verbo “reggere” perché reggere significa “sostenere”, “sopportare”, “resistere”. Come se ci fosse un peso da reggere, un grande peso che non ce la facciamo a reggere, a sostenere, a sopportare.

Se io non reggo il confronto con te significa quindi che io non riesco a sostenere il confronto con te, che non reggo il confronto, non riesco a reggerlo, a sopportarlo, poiché dopo un po’ di tempo risulterà chiaro che tu sei migliore di me. Il verbo reggere si usa per indicare lo sforzo che si fa ad apparire uguale, equivalente, quando invece non si riuscirà a lungo a sostenere questa tesi. Il senso dello sforzo a volte è anche inteso come uno sforzo psicologico, non è un caso che si usi anche con “reggere lo sguardo” nel senso di riuscire a guardare senza interrompere, senza staccare per vergogna o timidezza o senso di inferiorità.

La lingua inglese quindi, in quanto a melodia, non regge assolutamente il confronto con l’italiano: non c’è confronto, non c’è paragone. Non c’è storia, vuoi mettere? L’italiano è molto più melodica. È un confronto impari.

L’episodio di oggi finisce qui. Un saluto a tutti e grazie ancora per le vostre donazioni. Chi aiuta Italiano Semplicemente aiuta tutti gli stranieri che vogliono imparare bene l’italiano.

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