2 minuti
Tenere botta vs tenere duro
Tenere botta vs tenere duro
Durata MP3: 7 minuti (solo per membri dell’associazione)
Descrizione: L’espressione “tenere botta” indica resistere a difficoltà immediate, mentre “tenere duro” implica una resistenza prolungata e costante nel tempo.
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Associazione Italiano Semplicemente
Indice degli episodi della rubrica

Crinale e andazzo
Crinale e andazzo
Durata MP3: 9 minuti (solo per membri dell’associazione)
Descrizione: Crinale è una linea di confine, spesso usata in senso metaforico per situazioni critiche. Andazzo indica l’andamento delle cose, di solito con un’accezione negativa. Vi spiego la differenza alla maniera di Camilleri.
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Coincidere, combaciare, coincidenza e scalo
Coincidere, combaciare, coincidenza e scalo
Durata MP3: 10 minuti
Descrizione: ll verbo “coincidere” non coincide esattamente col verbo combaciare. Analogamente non c’è coincidenza tra la coincidenza e lo scalo.
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Uno spaccato
Uno spaccato
(ep. 1166)
Trascrizione
Se vi chiedo cosa sia uno spaccato, cosa rispondete?
Evidentemente, un non madrelingua potrebbe far riferimento al verbo “spaccare” e dunque spaccato sarebbe indicato come il participio passato del verbo spaccare. Non è sbagliato, ma uno spaccato (inteso come sostantivo) è una cosa diversa.
L’uso figurato del termine non manca mai, vero?
Allora immaginiamo di aprire, o “spaccare” un oggetto per vedere cosa c’è dentro.
Qualcosa vediamo, non tutto, ma qualcosa, che forse è sufficiente.
Allora “lo spaccato” diventa una rappresentazione, una descrizione o un’illustrazione dettagliata di una parte o di un aspetto di qualcosa, per offrire una comprensione più chiara o approfondita. Il termine viene utilizzato in diversi contesti, e il suo significato può variare leggermente a seconda dell’ambito.
Il suo discorso è stato uno spaccato fedele della società contemporanea, mettendo in luce le sue contraddizioni e i suoi progressi.
Quindi il discorso ci descrive fedelmente la società contemporanea. Ci mostra in particolare le sue contraddizioni e i progressi.
La mostra fotografica offre uno spaccato unico della vita rurale negli anni ’50, tra tradizioni e duro lavoro.
Il libro fornisce uno spaccato dettagliato del funzionamento interno della politica, rivelando dinamiche spesso ignorate.
Lo spaccato di vita presentato dallo scrittore non mi rappresenta assolutamente
I verbi che si usano, quando è presente “lo spaccato” normalmente sono:
- Presentare uno spaccato
- Offrire uno spaccato
- Rappresentare uno spaccato
- Evidenziare uno spaccato
- Mostrare uno spaccato
Generalmente il contesto in cui ci troviamo è culturale o sociale, per descrivere un aspetto specifico di una società, di un’epoca o di un fenomeno e non si può dire che lo spaccato faccia parte del linguaggio quotidiano. Lo usano principalmente giornalisti, scrittori, critici d’arte e anche in sociologia. In questi ambiti, viene usato per descrivere una parte di una realtà più complessa, per fare un’analisi di un aspetto particolare di un fenomeno o per raccontare una situazione che offre uno spunto di riflessione senza pretese di totalità.
Possiamo comunque usarlo tutti volendo, parlando di un libro che rappresenta una certa realtà, o di un quadro, per descrivere cosa ci vuole mostrare.
Sicuramente è uno di quei termini che arricchisce il nostro vocabolario. Provate ad usato quando parlate con un italiano e noterete la sua espressione di stupore e ammirazione per il vostro livello di Italiano.
Possiamo anche dire
Il libro offre uno spaccato della vita contadina nel XIX secolo.
Oppure siamo in ambito tecnico e architettonico, per indicare un disegno o un’immagine che mostra la struttura interna di qualcosa.
Il manuale include uno spaccato del motore per facilitare la manutenzione.
Oppure siamo in ambito narrativo o analitico, per descrivere un dettaglio o una porzione che rappresenta una realtà più grande.
Il reportage presenta uno spaccato del sistema scolastico italiano.
Ci sono chiaramente termini vicini nel significato, come un panorama, un ritratto o una Illustrazione, una rappresentazione.
In genere viene utilizzato per descrivere una rappresentazione parziale o selettiva di qualcosa che è troppo complesso o ampio per essere descritto nella sua totalità.
Quando ad esempio parliamo di un “spaccato della vita di provincia negli anni ’50”, stiamo dicendo che il libro non pretende di fornire un quadro completo e esaustivo di quella realtà, ma piuttosto si concentra su alcuni aspetti significativi o emblematici, quelli che possono rappresentare in modo efficace una parte di quella realtà.
Quindi, la frase esprime che il libro esplora un frammento della vita in provincia in quel periodo, probabilmente scegliendo alcune storie o situazioni che possono essere indicative o significative, senza però cercare di fare una panoramica totale o definitiva di tutto ciò che accadeva in provincia negli anni ’50.
Ripasso episodi precedenti.
Marcelo: Ragazzi, Pare che ci siano state alcune defezioni tra i membri dell’associazione. Non mi direte che non ne siete al corrente!
Karin: Sì, sì. Ho chiesto a Giovanni per capire meglio, ma in realtà ci sono anche alcuni membri che abbiano fornito false generalità in fase di iscrizione e dunque il rinnovo per ora è in sospeso.
Ulrike: Io li avrei cacciati seduta stante. Bisogna agire con decisione acché la cosa non si ripeta più. Avverto un certo fastidio quando vedo queste cose.
Julien: Da quel dì che lo dico io! Bisognava controllare prima, che so, esigendo un documento di riconoscimento. Mi direte che può sembrare un po’ troppo esagerato, ma almeno risolvevamo il problema a monte anziché a valle.
Olga: Beh, ormai la frittata è fatta. Poi mi chiedo: qualcuno ha ascoltato la versione di questi membri o ci fidiamo di Giovanni?
Flora: mi pare doveroso fidarsi del presidente, non è persona che gli prende lo schiribizzo e fa cose insensate. Certo che quado ti ci metti sei di un diffidente che non ti dico!
Essere in rotta di collisione
Essere in rotta di collisione
(ep. 1165)
Essere in rotta di collisione è un’espressione che si ascolta e si legge abbastanza spesso. Indica una situazione in cui due o più parti sembrano inevitabilmente destinate a uno scontro. Può riferirsi a conflitti di tipo politico, sociale, personale o perfino economico. In ambito di politica internazionale:
Vediamo esempi di utilizzo e altre espressioni con la parola “rotta”. Episodio audio e trascrizione riservati ai membri dell’associazione Italiano Semplicemente
Quando ‘per’ significa ‘nonostante’
Quando ‘per’ significa ‘nonostante’
(ep. 1164)
https://italianosemplicemente.com/wp-content/uploads/2025/01/1164quandopersignificanonostante.mp3
Trascrizione
Oggi voglio parlarvi di un altro uso particolare della preposizione “per”.
Ricordate che in passato infatti abbiamo visto frasi come “per essere bravo, sei bravo”.
Ebbene, abbiamo fatto questo bell’episodio in merito e abbiamo visto che in quel caso la preposizione per viene usata per introdurre qualcosa di insufficiente.
C’è sempre un “ma”, o un “però” a seguire. In qualche modo siamo vicini al senso di “nonostante“, perché c’è qualcosa che non basta, non è sufficiente, o che non corrisponde a ciò che serve, che è utile, o che ci si aspettava. Si riconosce, se vogliamo, una qualità inutile. Non voglio entrare maggiormente nel merito, essendoci appunto l’episodio che potete ascoltare e leggere.
Oggi invece vediamo che si può usare la preposizione “per” anche in un modo alternativo, e ha anche questa volta un senso simile a “nonostante“.
Analizziamo la frase seguente:
Guidi bene per essere una donna
A parte lo stereotipo sulle donne che non sanno guidare, la preposizione “per” ha un utilizzo particolare, che indica una concessione e non una causa o un obiettivo.
Infatti la preposizione “per” molto spesso indica una causa o un obiettivo.
Es:
Ho studiato molto per superare l’esame.
Oppure:
Lavoro per guadagnare dei soldi.
In questo caso invece, “per” significa “nonostante“, “sebbene” o “considerando che“, “tenendo conto che”, e l’espressione complessiva implica una sorta di contrasto tra l’aspettativa comune (che, secondo stereotipi, in questo caso le donne non sarebbero brave a guidare) e la realtà, che invece è diversa.
Quindi la frase “guidi bene per essere una donna” si traduce in “nonostante tu sia una donna, guidi bene” oppure “considerato che sei una donna, guidi bene”.
La preposizione “per” in questo caso non indica uno scopo, ma una contraddizione rispetto all’aspettativa comune.
Possiamo anche invertire la frase, facendola iniziare con la preposizione per:
Per essere una donna guidi bene.
Vediamo altri esempi.
Entro in un negozio e vedo con piacere che oggi tutti i prodotti sono scontati del 20%. Però poi mi accorgo che i prezzi sono ugualmente alti.
Posso dire:
Oggi, per esserci lo sconto, non mi pare costi poco.
“Per” funziona qui nello stesso modo, indicando che “nonostante” lo sconto, il costo non sembra essere basso.
Lo stesso vale per la frase:
Per essere così giovane, è molto maturo
In sintesi, l’uso di “per” in queste frasi è legato a una concessione che esprime un contrasto tra ciò che ci si aspetta e ciò che effettivamente accade.
Questo uso della preposizione “per” con il significato di “nonostante” è considerato colloquiale, informale.
Si tratta di una costruzione che si trova spesso nel linguaggio parlato o in contesti meno formali, ma che può risultare poco adatta a un registro scritto o formale, dove espressioni come “pur essendo”, “benché” o “nonostante” sarebbero più appropriate.
Ad esempio:
Informale:
Per essere un film di basso budget, è fatto davvero bene.
Formale:
Pur essendo un film di basso budget, è realizzato molto bene.
Questa costruzione è comune e perfettamente comprensibile, ma il suo tono informale la rende più adatta a situazioni di uso quotidiano o a testi meno rigorosi.
Adesso ripassiamo qualche episodio passato. Vi consento di dire la vostra.
Albéric: Sapete ragazzi, riflettevo sul significato di certi modi di dire nella lingua italiana, e mi chiedevo: si dice consentire o acconsentire in questo contesto? Per scrupolo, meglio chiarire una volta per tutte.
Rauno: A dir la verità, non me ne volere, ma certi dettagli non mi tangono più di tanto; ciò non toglie che la lingua italiana abbia fior fiore di espressioni degne di nota. Senza contare che, tra l’altro, c’è già un episodio in merito.
Estelle: Beato te! Io invece sto sempre lì lì per scatenarmi quando sento qualcuno storpiare certi termini, tanto che mi vien voglia di mettere dei paletti sull’uso corretto delle parole!
Marcelo: Vivaddio, concordo! Non c’è santo che tenga: le regole grammaticali vanno rispettate in toto e non possiamo permetterci di eludere la grammatica.
Distinguersi per
Distinguersi per (ep. 1162)
Audio Mp3 riservato ai membri dell’associazione Italiano Semplicemente
Trascrizione

Continuiamo a parlare di cose che separano o, se vogliamo, distinguono una cosa dall’altra, sulla scia dell’ultimo episodio in cui abbiamo visto il discrimine e la discriminante.
Il verbo distinguere lo conoscete tutti vero?
Distinguere è, prima di tutto, un atto di osservazione e di giudizio. Quando distinguiamo, separiamo mentalmente o fisicamente due o più cose, basandoci sulle loro peculiarità. È un esercizio dell’intelletto, una capacità di distinguere, di discernere (questo verbo lo dobbiamo ancora spiegare ma si capisce vero?), di vedere oltre l’apparenza, di riconoscere ciò che rende unico ogni elemento rispetto agli altri.
Ad esempio, distinguere un suono da un altro richiede attenzione, un ascolto che sa cogliere le note sottili e le variazioni impercettibili. Distinguere tra il bene e il male, invece, richiama un giudizio morale, una capacità di valutare non solo ciò che appare, ma ciò che è intrinsecamente giusto o sbagliato.
Il termine si estende anche a situazioni più concrete: distinguere un oggetto in lontananza significa percepirlo con chiarezza nonostante la distanza o le condizioni difficili. In questo senso, distinguere non è solo un atto mentale, ma anche fisico, legato ai nostri sensi.
Esiste anche la forma riflessiva: distinguersi. Quando diciamo che una persona “si distingue”, intendiamo che possiede una qualità o una caratteristica che la rende diversa, migliore, o semplicemente unica rispetto agli altri. Chiaramente non solo le persone possono distinguersi. Basta avere una caratteristica che fa la differenza rispetto al resto per distinguersi.
E’ interessante che per richiamare questa caratteristica si utilizzi la preposizione “per“: distinguersi per una caratteristica.
“Distinguersi per” è una modalità che porta un individuo o qualcosa a emergere dal contesto circostante, a differenziarsi, appunto, per una qualità o un comportamento specifico. Tale locuzione porta con sé un’eco di “contraddistinguere“, un verbo che segna una linea di demarcazione, un marchio, una peculiarità che rende qualcosa o qualcuno unico rispetto al resto. Abbiamo già incontrato in episodi passati sia il verbo contraddistinguere, sia le peculiarità e le prerogative, quindi sapete di cosa parlo.
La peculiarità è esattamente la caratteristica di cui si parla, la cosa per cui una persona o una cosa si distingue rispetto al resto. Quindi una persona, ad esempio, di può distinguere per la sua educazione. In pratica si nota la differenza rispetto agli altri perché questa persona è più educata. E’ la sua educazione la caratteristica che emerge prima delle altre. Parliamo di un cosiddetto “tratto distintivo“, una caratteristica che emerge e si evidenzia.
Nell’audiolibro dei segni zodiacali, se ricordate, abbiamo visto i vari tratti distintivi delle persone a seconda del loro segno zodiacale (ovviamente lo abbiamo fatto per scopi esclusivamente legati alla lingua italiana). Abbiamo visto che ogni segno si distingue per una caratteristica particolare.
I pesci ad esempio si distinguono per la loro capacità di sognare e connettersi con le emozioni più profonde, invece il capricorno si distingue per la sua ambizione e dedizione.
Parliamo di ciò che definisce un individuo come speciale, ciò che gli conferisce una prerogativa, un diritto o una qualità esclusiva, che diventa il motivo per cui viene ricordato o riconosciuto.
Questa nozione si collega anche all’idea di “fare un distinguo“, un’espressione che abbiamo non a caso già incontrato e che richiama l’arte sottile della differenziazione, del tracciare confini. “Fare un distinguo” implica il mettere in luce le sfumature, le discrepanze, i punti di discrimine, una parola che indica ciò che separa nettamente una cosa dall’altra, ciò che definisce i limiti tra categorie apparentemente simili ma profondamente diverse.
Il discrimine, infatti, come abbiamo visto, è il confine, il segno che separa ciò che appartiene da ciò che è escluso. È la radice anche di “discriminante“, che si riferisce a un criterio di valutazione, un elemento decisivo che permette di stabilire una differenza significativa.
Così, quando qualcuno “si distingue per”, una caratteristica, emerge come elemento discriminante nel suo contesto, portando con sé una qualità che funge da simbolo, da marchio della sua identità. È il momento in cui la differenza si fa valore, in cui il tratto distintivo non è solo una linea di confine, ma diventa il motore di un’identità e di una visione. Questo è il contesto in cui si preferisce usare “distinguersi per”.
Ad esempio, si può dire che un artista si distingue per la sua capacità di catturare l’essenza del reale, un leader per la sua visione carismatica, una cultura per la sua ricchezza simbolica. Tutto ciò implica una forma di riconoscimento, un atto di attribuzione che dà significato alla diversità, trasformandola in una prerogativa.
Infine, “distinguersi per” implica sempre un dinamismo: non è una qualità statica, ma un processo continuo, un “farsi notare” che richiede sforzo, dedizione, o talvolta anche una tensione drammatica verso un ideale. Riflette una aspirazione, un desiderio. È un’azione che rivela la profondità di ciò che siamo, nel confronto con ciò che non siamo.
Per cosa si distingue Italiano Semplicemente? Chiediamolo a Chatgpt. Ecco al sua risposta:
Italiano Semplicemente si distingue per la sua capacità di rendere l’apprendimento della lingua italiana accessibile, naturale e piacevole, specialmente per gli stranieri. La sua peculiarità risiede nell’approccio pratico e informale, che combina la spiegazione delle regole grammaticali con l’uso concreto della lingua nella vita quotidiana.
Infine voglio farvi notare che a seconda dei casi, si può sostituire la preposizione “per” con qualcos’altro. Es:
Marco si è distinto in matematica durante gli studi universitari.
In questo caso si vuole evidenziare un ambito o un campo specifico.
Giovanna si distingue grazie alla sua determinazione e costanza.
Qui si vuole attribuire il merito della distinzione a una causa precisa.
Si è distinto per mezzo della sua capacità di leadership.
Questa è una variante più formale che sottolinea il mezzo o la modalità.
Volendo possiamo anche dire:
Si distingue tramite/attraverso il suo approccio innovativo al lavoro.
Questa modalità è più neutra ed è riferita al processo o al metodo
Adesso mi piacerebbe che qualche membro dell’associazione mi parlasse delle proprie caratteristiche. La domanda a cui vi chiedo di rispondere è la seguente: per cosa ti distingui o per cosa ti sei distinto in passato? Nel rispondere cercate di utilizzare il maggior numero di parole o verbi o espressioni affrontate in passato.
– – –
Ripasso in preparazione a cura dei membri dell’associazione Italiano Semplicemente
Il discrimine e la discriminante
Il discrimine e la discriminante
(ep. 1162) (scarica audio)

Trascrizione

Un paio di episodi fa avevo promesso di parlare del discrimine, quindi eccomi qui.
Parliamo anche del verbo discriminare e del sostantivo discriminante.
“Discrimine” è un termine interessante e non sempre di immediata comprensione.
Questo sostantivo indica una specie di linea di separazione o un criterio distintivo tra due o più cose.
È usato spesso in contesti formali, filosofici, giuridici o accademici, per indicare ciò che distingue un concetto da un altro, o ciò che divide due categorie.
Ad esempio:
Il discrimine tra il bene e il male non è sempre chiaro.
In questo caso, il discrimine è il confine, il criterio che permette di separare il bene dal male. Non si parla di qualcosa di materiale, ma di una linea concettuale, spesso soggettiva o contestuale.
In senso più generale, “discrimine” si utilizza quando si vuole evidenziare un elemento che fa la differenza. Ad esempio:
L’età è il discrimine per accedere a questo concorso.
In questa frase, il discrimine è il criterio che stabilisce chi può partecipare e chi no.
Col verbo “discriminare” non siamo molto lontani.
“Discriminare” significa letteralmente “distinguere” o “fare una distinzione”, tuttavia, nel linguaggio comune, è usato prevalentemente con una connotazione negativa, riferendosi a un trattamento ingiusto o sfavorevole basato su differenze come razza, sesso, religione, ecc.
Ad esempio:
Non si può discriminare una persona per il colore della sua pelle.
Qui “discriminare” significa trattare in modo ingiusto sulla base di un criterio arbitrario o sbagliato.
In contesti più tecnici, come nella logica o nella statistica, “discriminare” può anche essere usato in modo neutro per indicare l’atto di distinguere tra due o più opzioni. Ad esempio:
Il test serve a discriminare tra due ipotesi.
In questo caso, il termine mantiene un significato strettamente descrittivo.
Notare che il discrimine può sembrare simile alla discriminazione, perché entrambi distinguono, ma il discrimine è neutro e non implica un giudizio e un’azione concreta.
Invece la discriminazione è un’azione: si tratta di trattare in modo diverso, spesso ingiusto, una persona o un gruppo, sulla base di criteri come razza, genere, religione, ecc.
Ha quasi sempre una connotazione negativa nel linguaggio comune, anche se tecnicamente significa semplicemente “distinguere”.
Infine, abbiamo “discriminante“, aggettivo legato al verbo discriminare. Infatti è proprio ciò che discrimina, che opera una discriminazione.
una legge discriminante nei confronti delle donne
Questa legge evidentemente discrimina le donne nei confronti degli uomini.
Ok, così lo usiamo come aggettivo, ma esiste anche la discriminante.
La discriminante è qualcosa che discrimina, cioè è un fattore o un aspetto che risulta determinante per esprimere un giudizio o fare una scelta tra cose analoghe..
Es:
tra i due modelli di automobile la discriminante è il prezzo.
Quindi la discriminante è ciò che guida la scelta, ciò che fa la differenza nella scelta, ciò che rende un modello diverso dall’altro. Torniamo al concetto di linea di separazione, di criterio distintivo tra due o più cose.
Allora quale è la differenza tra il discrimine e la discriminante?
Se parliamo di scelte, la discriminante è ciò che si usa per decidere, mentre il discrimine è ciò che distingue.
Se non parliamo di scelte, la discriminante è un elemento che distingue o che caratterizza qualcosa rispetto ad altro, quindi è un elemento distintivo che può servire a fare una scelta o a spiegare una differenza.
In altre parole, il termine discrimine è simile proprio a “differenza”, “linea di separazione” tra due cose, mentre la discriminante è simile al concetto di “fattore decisivo” alla base della scelta o il criterio che determina o che distingue.
Vediamo altri esempi con discrimine e discriminante.
Il discrimine tra il lavoro serio e il dilettantismo è l’impegno.
Cosa distingue il lavoro serio dal dilettantismo? Qual è il discrimine? È l’impegno.
È la linea di separazione tra due approcci diversi al lavoro. È ciò che fa la differenza.
Il discrimine tra verità e bugia può essere difficile da individuare.
Parliamo di un confine concettuale tra due opposti.
Il discrimine tra una critica costruttiva e un insulto sta nel rispetto.
Se c’è rispetto è una critica costruttiva, altrimenti è solo un insulto.
La capacità di assumersi responsabilità è il discrimine tra maturità e immaturità.
Il discrimine tra giustizia e vendetta è spesso l’intenzione che guida l’azione.
Parliamo di un confine morale. È l’intenzione a fare la differenza.
Passiamo alla discriminante.
Il coraggio è stata la discriminante che ha permesso di vincere la sfida.
Stavolta parliamo di un elemento decisivo, un fattore determinante.
Nel decidere chi invitare alla festa, la discriminante è stata la vicinanza.

Perché Paolo è stato invitato e io no? Quale è stata la discriminante?
Qual è stato il fattore determinante per la scelta? La vicinanza, la distanza tra le abitazioni. Coloro che abitano vicino sono stati invitati, gli altri no.
La preparazione è stata la discriminante nel successo di quel progetto.
È evidentemente la preparazione l’elemento decisivo che ha fatto la differenza.
L’onestà è stata la discriminante tra i candidati al premio.
Parliamo del criterio principale di valutazione. I candidati sono stati scelti in base alla loro onestà.
La rapidità nella risposta è stata la discriminante per scegliere l’azienda migliore.
Anche stavolta parliamo del fattore concreto che ha determinato una decisione.
Adesso facciamo un ripasso degli episodi precedenti. Qual è la discriminante che guida la scelta degli episodi da ripassare?
Ripasso in preparazione a cura dei membri dell’associazione Italiano Semplicemente
Christophe: Secondo me, il discrimine dovrebbe essere quanto ci servono nella vita quotidiana. Ad esempio, quando uso il “non pleonastico”, non sempre mi accorgo se è necessario o no, ma non appena mi sentirò più sicuro, stai sicuro che lo userò tantissimo.
Anne Marie: Già! Anche io mi confondo con questo “non”, pleonastico o meno, soprattutto quando dico cose tipo: Non è che non lo so, è che, vuoi o non vuoi, mi sbaglio spesso.
Irina: io prediligo frasi più colloquiali, tipo: Come ti dona! L’altro giorno l’ho detto a un’amica che aveva un vestito nuovo, e sembrava felice.
Khaled: E’ una frase che fa molto italiano! La stessa cosa vale per “sui generis“: Il tuo stile, ad esempio, è davvero sui generis, mi piace!.
Sofie: E come la vedete se chiudiamo il nostro ripasso con qualcosa di elegante, tipo: Dulcis in fundo, possiamo rivedere le espressioni più utili per scrivere messaggi formali. Non vorrei mettere in difficoltà il prossimo però!
Membro 6: Raccolgo la sfida! È nelle cose che, ripassando insieme, riusciamo a conseguire una maggiore sicurezza con l’italiano. Mica male eh?
Chiamarsi fuori e dare forfait: significato e differenze
Chiamarsi fuori e dare forfait
(ep. 1160)
Trascrizione

Sapete cosa significa “chiamarsi fuori”?
“Chiamarsi fuori” è un’espressione italiana che si usa per indicare che una persona decide di non partecipare a qualcosa, tirandosi indietro o escludendosi da una situazione.
Ad esempio, se un gruppo di amici decide di organizzare una partita di calcio, ma una persona non vuole partecipare, potrebbe dire:
“Io mi chiamo fuori, non fa per me.”
Significa quindi che questa persona non vuole essere coinvolta, che si tira indietro e non prende parte all’attività.
Ma attenzione: “chiamarsi fuori” può essere usato anche in situazioni più serie, come un dibattito, una decisione importante o un conflitto. Immaginate una discussione accesa tra colleghi sul lavoro. Uno di loro, stanco della situazione, potrebbe dire:
Mi chiamo fuori, non voglio avere niente a che fare con questa discussione.
Non puoi chiamarti fuori, dobbiamo raggiungere la maggioranza
Chi si chiama fuori non potrà chiedere aiuto quando ne avrà bisogno
L’espressione trasmette il desiderio di non essere coinvolti, spesso per evitare conflitti o responsabilità.
Se ad esempio in un team qualcuno chiede: “Chi vuole occuparsi di questo progetto?”, una persona può rispondere:
Mi chiamo fuori, non posso occuparmene ora.
Qui la persona si sottrae alla responsabilità di un compito.
“Chiamarsi fuori” può anche indicare la volontà di evitare una situazione rischiosa o potenzialmente problematica. Ad esempio:
In una discussione, se il tono di una conversazione si fa acceso, qualcuno può dire:
Mi chiamo fuori, non voglio litigare.
Qui la persona sceglie di non esporsi al rischio di un conflitto.
A volte non ci sono né rischi né responsabilità, ma semplicemente una scelta personale di non partecipare. Ad esempio:
Se un gruppo di amici organizza un’uscita, ma una persona non è interessata, può dire:
Mi chiamo fuori, stasera preferisco restare a casa.
Il contesto e il tono in cui viene usato aiutano a capire il motivo dell’auto-esclusione.
L’espressione è simile a “dare forfait“. Il termine forfait, di chiara origine francese, lo abbiamo già incontrato in un passato episodio di italiano commerciale dedicato ai pagamenti forfettari. Dare forfait però non ha niente a che fare coi pagamenti.
Le due espressioni *dare forfait” e “chiamarsi fuori” hanno significati simili perché in entrambi i casi si tratta di non partecipare a qualcosa, ma ci sono differenze nel contesto e nell’uso.
“Chiamarsi fuori” implica una scelta volontaria, spesso fatta prima di iniziare un’attività o una discussione. È una decisione che si prende per evitare un coinvolgimento attivo, sia per responsabilità, sia per disinteresse o altro.
La motivazione può essere disinteresse, mancanza di tempo o evitare problemi.
“Dare forfait” si usa invece quando qualcuno rinuncia a partecipare dopo aver inizialmente accettato. Spesso è dovuto a motivi personali, come malessere, imprevisti o difficoltà. Infatti un forfait in questo caso è un abbandono, un ritiro. Non parliamo quindi di un accordo o di una somma fissa, predeterminata, come nel caso di “pagare un forfait“.
Vediamo un esempio col senso di abbandono:
Avrei dovuto venire alla partita, ma devo dare forfait perché non sto bene.
Qui c’è un senso di ritiro per una causa specifica, spesso imprevista.
Inoltre, “chiamarsi fuori”: di solito si manifesta come una presa di posizione chiara e anticipata.
“Dare forfait” invece, come ho detto, è un ritiro, spesso all’ultimo momento.
Inoltre “dare forfait” si usa in contesti più specifici, come eventi, incontri, partite sportive o appuntamenti, e spesso ha un tono di rammarico.
Il tennista ha dato forfait a causa di un infortunio.
Mi spiace, devo dare forfait per la cena di stasera.
Oggi faremo un ripasso che è un augurio per il nuovo anno. Lo faremo usando 4 versioni diverse, ognuna delle quali usa parole che appartengono a categorie diverse. Usiamo le 4 categorie usate da Dante Alighieri nell’opera “de vulgari éloquentia“.
Le categorie individuate sono le seguenti: lisce, aspre, piane e scivolose.
Le parole lisce (levia) hanno un suono dolce, fluido e armonioso. Sono usate per dare eleganza e grazia al discorso.
Le parole aspre (aspera) hanno un suono ruvido o duro, che trasmettono forza o asprezza.
Le parole piane (plania) hanno un ritmo regolare e stabile, senza particolari asperità o dolcezze.
Infine, le parole scivolose (volubilia) sembrano fluide e veloci, capaci di scivolare nella pronuncia.
Ripasso a cura dei membri dell’associazione Italiano Semplicemente
_Parole asperae (aspre):_
Marcelo: Che il nuovo anno spezzi ogni catena, squarci le ombre e sortisca il trionfo di una volontà capace di resistere e corroborare le imprese più ardue.
_Parole planæ (piane):_
Ulrike: Che l’anno nuovo porti pace, serenità e dolcezza, ristabilendo l’armonia e concorrendo a costruire un mondo più giusto.
_Parole scivolose (lèvitas):_
Hartmut: Fluisca il tempo come un ruscello limpido, glissando sulle difficoltà, sortendo leggerezza e recando solo gioia nei cuori.
_Parole lenes (liscie):_
Edita: Che ogni alba del nuovo anno sorga dolcemente, accreditando speranze nuove, perfezionando i nostri desideri e diramando pace nell’animo.



